Negli stessi giorni in cui, senza troppi giri di parole, il falco Christian Lindner, ministro delle Finanze e membro del Partito Liberal-Democratico tedesco ai microfoni dell’Augsburger Allgemeine mena fendenti in direzione di Bruxelles in merito al ban dei motori a scoppio che per Berlino dovrebbe invece riservare importanti deroghe sui bio-carburanti (“È il mercato che dovrebbe decidere cosa è fattibile e cosa vogliono i consumatori, non la politica e i burocrati”, ha detto l’esponente del governo Scholz saltando a piè pari la tematica ambientale), BMW annuncia la partnership con Rimac Technology per lo sviluppo di batterie per l’auto elettrica.
La notizia sta nel fatto che, una volta tanto, per l’auto elettrica l’industria automobilistica tedesca non guardi alla Cina ma ai propri vicini di casa. Rimac Technology è difatti una società dell’omonimo gruppo croato. L’intenzione delle parti è avviare una “partnership di lungo termine” per lo sviluppo di “soluzioni innovative nel campo della tecnologia delle batterie ad alta tensione per alcuni veicoli elettrici”.
CHI GUIDA IL BOLIDE ELETTRICO CROATO
Messa in piedi dal 36enne Mate Rimac, imprenditore e progettista bosniaco con cittadinanza croata, sembra una delle poche startup dell’auto in grado non solo di tenere botta in un periodo che ha riservato esclusivamente fallimenti, ma persino di crescere rapidamente avendo investito 200 milioni di dollari solo nel “Rimac Campus” che, oltre a fare da quartier generale, è un hub da 200.000 m² d’estensione di R&D. Insomma, più che somigliare alle strutture classiche in cui hanno sede i marchi tradizionali, l’imprenditore bosniaco amante dell’alta velocità ha puntato su qualcosa che somigliasse agli HQ della Silicon Valley. Solo che si trova nella periferia di Zagabria.
NON SOLO BMW, TUTTI I PARTNER DI RIMAC
BMW non è la prima Casa tedesca con cui Rimac fa affari, avendo tessuto una joint-venture con Bugatti attraverso Porsche, del Gruppo Volkswagen (in piena pandemia la Casa di Zuffenhausen ha infatti investito 70 milioni di euro per sottoscrivere un aumento di capitale dell’azienda croata, salendo così dal 15% al 24%) e una partnership anche con Mercedes.
Allargando lo zoom, ha siglato accordi anche con AMG, Aston Martin, Cupra, Ferrari, Jaguar, Koenigsegg, Magna, Pininfarina e Renault. Nonostante le voci di corridoio, sembra sempre in piedi quello da 80 milioni con le coreane Hyundai e Kia.
CHI È SALITO A BORDO DI RIMAC?
Due anni fa la Investindustrial dell’imprenditore milanese Andrea Bonomi ha investito 120 milioni di euro e più o meno nel medesimo periodo l’azienda croata ha completato una raccolta fondi da 500 milioni di euro. L’operazione, conclusa sulla base di un valutazione dell’intera Rimac di 2 miliardi, ha visto la partecipazione della giapponese Softbank (tramite il Vision Fund 2), della banca statunitense Goldman Sachs. In quell’occasione Porsche aveva detto di aver messo in Rimac una “cifra a otto cifre” per restare sempre al 20% del capitale.
Sulle orme dell’americana Tesla, Rimac ha investito parte di quei capitali nella progettazione e produzione di sistemi di accumulo energetico stazionari, vale a dire batterie di grandi dimensioni per applicazioni industriali o per lo stoccaggio di elettricità prodotta da fonti rinnovabili.
RIMAC ARRIVA IN ITALIA?
Decisa a diventare fornitore di tecnologia, non solo marchio di hypercar elettriche, Rimac aveva annunciato qualche mese fa l’intenzione di arrivare a produrre 100 mila batterie l’anno tra il 2024 e il 2026. Si era parlato persino di un suo sbarco in Italia, nella Motor Valley italiana. Ma nessun fatto concreto si è visto a seguito dell’indiscrezione.