Anfia, l’associazione della filiera dell’industria automobilistica italiana, e Motus-E l’organizzazione degli operatori nazionali della mobilità elettrica, hanno criticato la nuova legge di Bilancio per la “totale assenza di misure infrastrutturali per i privati cittadini, in grado di abilitare la diffusione” della mobilità a basse emissioni di gas serra.
Senza una rete infrastrutturale di ricarica adeguata e diffusa sul territorio, sia privata che pubblica, la domanda di veicoli elettrici farà fatica a crescere, sostengono le due associazioni.
LE AUTO ELETTRICHE IN ITALIA
Nei primi undici mesi del 2021 le vetture elettriche immatricolate in Italia sono state oltre 124.910. Secondo le previsioni di MOTUS-E, le automobili a batteria supereranno le 65mila unità (a novembre erano a quasi 62mila) entro la fine dell’anno.
LE SPERANZE DI ANFIA E MOTUS-E
Anfia e Motus-E parlano di “speranza di veder approvata la proposta parlamentare che prevede un piano triennale di incentivi ai veicoli a bassissime emissioni”.
“Nonostante fossero presenti alcune valide proposte per incentivare l’infrastrutturazione dei privati”, dichiarano le due associazioni, “come, per esempio, l’incentivo all’installazione di un POD unico condominiale che semplifichi le approvazioni assembleari e consenta facilmente ed in sicurezza ai singoli condomini l’accesso ad un proprio punto di ricarica, nulla è oggi presente per la discussione in aula, nemmeno una misura base come quella del credito d’imposta al 50%, in scadenza a fine anno, che non è stata prorogata e che coprirebbe la larga maggioranza di utilizzatori di auto elettriche che non accederanno al superbonus 110%”.
L’ITALIA IN RITARDO RISPETTO A FRANCIA E GERMANIA?
A detta di ANFIA e MOTUS-E, tutto questo “mette l’Italia in una posizione di svantaggio competitivo in termini sia di sviluppo del mercato, sia di crescita della filiera industriale collegata, rispetto agli altri maggiori Paesi europei – come Francia e Germania, dove i piani per lo sviluppo della rete infrastrutturale di ricarica, anche privata, sono stati da tempo annunciati o sono addirittura già in fase di attuazione”.
LA PROPOSTA
Le due associazioni considerano “utilissima” una misura per facilitare la diffusione di politiche aziendali sul rimborso della ricarica domestica effettuata dai dipendenti che possiedono un’auto elettrica propria o aziendale. Tale misura avrebbe “costo zero per l’Erario”, sostengono. “È noto che le autovetture aziendali, sono sempre in anticipo sugli altri segmenti nel rinnovo e nello sviluppo di mercato delle nuove tecnologie”.
COSA FARE CON I PUNTI DI RICARICA?
Stando a uno studio recente di MOTUS-E, attraverso una gestione accorta dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) sarebbe possibile installare in Italia 21.400 punti di ricarica per i veicoli elettrici con un risparmio fino a 250 milioni di euro.
Nel testo del PNRR si legge che l’obiettivo complessivo dell’Italia, in quanto a infrastrutture di ricarica per le automobili elettriche, “è di oltre 3,4 milioni di infrastrutture di ricarica al 2030, di cui 32.000 pubblici, veloci e ultraveloci”. Il piano prevede 750 milioni di euro di finanziamenti al 2026 per la realizzazione di circa 21.400 punti di ricarica. Il focus è tutto sui punti di ricarica fast (cioè dalla potenza di 50 kilowatt) in città e nelle superstrade.
Sul totale di 21.400 punti di ricarica da realizzare, MOTUS-E propone la seguente ripartizione: 5400 punti di tipo fast (dai 50 ai 100 kW), 10.700 di tipo superfast 1 (dai 100 ai 200 kW) e 5400 di tipo superfast 2 (più di 200 kW). La tecnologia quick (meno di 44 kW) non viene presa in considerazione.
I 5400 punti fast, si legge nello studio, dovranno essere distribuiti “intelligentemente sul territorio” e permetteranno di soddisfare le ricariche “d’emergenza”. I 16.100 punti superfast 1 e 2, invece, andranno a ridurre la cosiddetta “ansia da ricarica” dei guidatori di veicoli elettrici, permettendo loro di coprire lunghe tratte (più di 500 chilometri).
I fondi, se così ripartiti, permetterebbero di soddisfare gli obiettivi del PNRR con una spesa di 500 milioni di euro, anziché 750.