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Meno fusioni e acquisizioni, più partnership: così cambia l’automotive. Report

I cambiamenti in atto nel settore automotive spingono le aziende della filiera, dai costruttori ai fornitori fino alle imprese tecnologiche, a sperimentare alleanze e partnership, scorpori di divisioni e investimenti in capitale di rischio aziendale

Il report annuale di Bain & Company sulle fusioni e acquisizioni aggiunge un ulteriore tassello che, collegato agli altri approfondimenti pubblicati in quest’ultimo periodo, permette di capire come si sta muovendo il settore dell’automotive, alle prese con le profonde trasformazioni dovute alla rivoluzione tecnologica in atto – rappresentata sia dal concetto che si sta via via imponendo di auto as a service, sia dal crescente numero di software proprietari da installare a bordo, sia naturalmente dalla transizione ecologica dei propulsori – che sta ridisegnando intere filiere.

FUSIONI E ACQUISIZIONI: COSA È SUCCESSO DAL 2020 A OGGI

Nel 2022, il settore automobilistico ha da un lato registrato un primo semestre promettente, con 30 operazioni (nel medesimo periodo del 2021 erano state poco più della metà, 19) dal valore in aumento da 11 miliardi di dollari dell’anno prima a 21 del ’22, che si è poi frantumato contro un terzo trimestre letargico, con attività in calo da 29 a 14 in termini numerici e da 36 miliardi a 10 miliardi di dollari sul fronte della portata economica.

Un dato che stona se comparato persino con gli anni del Covid. Nel 2020 costruttori, fornitori e gli altri player della filiera della mobilità avevano concluso 29 operazioni per un totale di 20 miliardi di dollari mentre, l’anno successivo, quello di uscita dalla pandemia, ben 64, dal valore complessivo di 53 miliardi di dollari (circa 49,4 miliardi al cambio attuale). Naturalmente la crisi sanitaria, che aveva colpito particolarmente coi lockdown il comparto dell’auto, aveva contribuito a determinare numeri simili.

I CAMBIAMENTI NEL COMPARTO AUTO

Mai come ora il mondo dell’automotive è un fiorire di startup e spin-off universitari, spesso foraggiati direttamente dallo Stato, come in Cina, ancora più frequentemente da investitori di prim’ordine che possono essere Case automobilistiche già affermate o big del Tech desiderose di sfruttare la rivoluzione tecnologica in atto per approdare in questo settore (pensiamo ad Amazon con Rivian, o all’attenzione manifestata da Google nello sviluppo di programmi per l’autopilot).

Il cambiamento più disruptive del settore, caratterizzato da diverse novità – su tutte gli investimenti per la guida autonoma – riguarda naturalmente gli Electric Vehicle (EV), ovvero l’arrivo delle auto elettriche, oggi ancora pochissime ma presto sempre più presenti sulle nostre strade, anche per volontà del legislatore europeo.

Proprio le nuove motorizzazioni elettriche determineranno, secondo tutti gli analisti interpellati, una mutazione duratura della domanda di veicoli e una riconversione dei processi produttivi che porterà beneficio ad alcuni settori collegati, ad esempio quello della produzione di batterie elettriche e della componentistica auto ad alto contenuto tecnologico, mentre altri player, come quelli concentrati sulle propulsioni tradizionali, dovranno percorrere grandi progetti di trasformazione che a loro volta nel prossimo futuro dovrebbero altre operazioni straordinarie.

I RISCHI E LE MINACCE PER I PLAYER DELL’AUTOMOTIVE

Le pressioni inflazionistiche sulle materie prime, i problemi di approvvigionamento riguardanti alcuni fattori produttivi (chip e non solo, se si allarga la visuale alle terre rare essenziali per le batterie delle auto elettriche) e le tensioni geopolitiche rappresentano secondo una pluralità di report elaborati negli ultimi mesi  la sfida più complessa da affrontare per le imprese del settore.

Sappiamo inoltre che la situazione è ancora più complicata per l’IM&A (Industrial Manufacturing & Automotive) del Vecchio continente, stretto tra la road map indicata da Bruxelles sul bando dei motori endotermici, l’Ira di Biden, la concorrenza cinese e la mancanza di aiuti comunitari.

Molti analisti sono concordi nell’affermare che il mercato delle operazioni straordinarie vedrà ancora alcune transazioni in distressed assets, rappresentate dalle aziende che in passato hanno avuto problemi di liquidità o hanno continuato a insistere su troppo su prodotti e tecnologie ormai obsolete.

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