Nell’800 la corsa all’oro dei coloni americani, nel secolo successivo il sottosuolo è stato trivellato alla ricerca di petrolio. Negli anni Duemila il minerale più pregiato è il litio, capace di assicurare lunga vita alle batterie di smartphone, tablet, laptop e… auto elettriche. Tutti lo vogliono, tutti lo cercano. Se la mobilità del futuro sarà realmente elettrica, chi ha in casa uno o più giacimenti governerà il mercato. La Cina, è noto, s’è mossa per tempo, assicurandosi lo sfruttamento di miniere sparse ovunque, soprattutto in Africa. L’Europa ha abbracciato con convinzione la propulsione elettrica, ma non ha le materie prime per partecipare alla competizione ed è quindi elevato il rischio di consegnarsi mani e piedi al Dragone. Tuttavia, riemergono ciclicamente voci secondo cui anche in Italia si nasconderebbero riserve di litio. L’ultimo ad averne parlato è stato il ministro Adolfo Urso, è così?
LA RICERCA SCIENTIFICA E LE RICERCHE SUL CAMPO CHE INFIAMMANO LA FANTASIA
Se si parla di litio in Italia l’uomo da interpellare è Andrea Dini, primo ricercatore all’Istituto di geoscienze e georisorse del Cnr, cercato quasi quotidianamente dalla stampa nostrana nella convinzione che sia una sorta di rabdomante sintonizzato su quel minerale destinato a sollevare le fortune di un’intera nazione. Questo perché la notizia che diverse compagnie minerarie australiane vogliano sondare alcune regioni italiane, unita al suo studio di cui parleremo a breve, ha acceso le speranze di dormire su veri e propri filoni. Ma andiamo con ordine nel tentativo di mettere in fila i fatti.
Vulcan Energy ha ottenuto un permesso di ricerca per esplorare, nel Lazio, un pozzo scoperto da Enel nel 1974 a circa 1.390 metri di profondità. Lavorerà gomito a gomito con Altamin, in una vera e propria gara a chi tra le due arriverà per prima al giacimento, ammesso esista. Sappiamo che nella zona del lago di Bracciano, parecchio in profondità, tra i 1.500 e i 3000 metri, ci sono fluidi geotermici. Si trovano nella zona vulcanica laziale ma anche in Campania. Furono esplorati negli anni 70-80 perché erano interessanti per la produzione di energia elettrica geotermica. Il progetto non andò in porto, ma in compenso sono “venute a galla” acque salate calde che contengono molto litio, anche 500 mg per litro di soluzione.
Al momento, come Dini ha ricordato a QN, dobbiamo arrenderci all’evidenza che “nel nostro Paese non è mai stato prodotto un grammo di litio. Anche se siamo conosciuti in tutto il mondo per i nostri minerali di litio. Perché alcuni formano cristalli molto belli che vengono esposti in tutti i musei più importanti. Ma sono da collezione”.
Dini, che con Pierfranco Lattanzi, Giovanni Ruggieri ed Eugenio Trumpy ha firmato lo studio che ha ridestato le speranze, ammette che il contesto geologico italiano non è dei più favorevoli per i giacimenti di litio convenzionali (pegmatiti e salars), anche se alcune situazioni in Sardegna, Calabria e nell’arco alpino, si legge nel paper, meriterebbero un approfondimento. È peraltro presente un alto potenziale per risorse litinifere non convenzionali in fluidi profondi utilizzabili in modo sostenibile e con basso impatto ambientale.
LITIO IN ITALIA: DOVE CERCARE?
Un’accurata revisione dei dati geologici, mineralogici e geochimici disponibili sul territorio nazionale ha permesso di individuare due aree principali ad alto potenziale: la fascia vulcanico-geotermica peritirrenica (Toscana-Lazio-Campania) dove in passato sono stati intercettati fluidi geotermici con concentrazioni di litio fino a 480 mg/l e la fascia al fronte della catena appeninica (da Alessandria fino a Pescara) dove sono presenti manifestazioni termali, con contenuti in litio fino a 370 mg/l, associati spazialmente a giacimenti di idrocarburi. Questi valori sono tra i più alti riscontrati nei fluidi profondi del pianeta e permetterebbero l’estrazione del metallo con la tecnica conosciuta come Direct Lithium Extraction.
“Un’area ricca di fluidi di litio in profondità – aggiunge Dini a QN – è poi quella dell’Appennino, la zona termale tra Piacenza e Pescara. Ma di questa non si sa quasi niente perché non è mai stata esplorata”.
Resta da capire l’origine del litio e da definire – si legge sempre nello studio – un modello concettuale geologico-petrologico-geochimico che permetta di indirizzare l’esplorazione industriale di questa nuova risorsa non convenzionale. Altri paesi come Francia, Germania, Regno Unito e USA stanno già valutando georisorse simili nell’ambito delle rispettive strategie nazionali per la transizione energetica. È auspicabile che anche in Italia si inneschi una sinergia tra enti di ricerca, università e industria per conoscere questa georisorsa, per valutarne il potenziale industriale e per affinare le tecniche di estrazione del metallo dal fluido.