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Italvolt

Italvolt non si farà? Dopo Silk Faw sfuma l’opportunità di un’altra gigafactory italiana

In Piemonte a rischio l'investimento per una gigafactory di batterie per le auto elettriche nei terreni della ex Olivetti che dovrebbe occupare circa 4-5 mila persone. Dopo mesi di silenzio parla l'imprenditore svedese dietro Italvolt

Potremmo chiamarla “la maledizione delle gigafactory estere”. Dopo aver visto sfumare il progetto di Silk-Faw, joint venture sino-americana che intendeva trasferirsi in Emilia per produrre hypercar totalmente elettriche, adesso potrebbe essere il turno della svedese Italvolt.

I NUMEROSI NODI DEL PROGETTO ITALVOLT

Che la gigafactory piemontese fosse impantanata, avendo subito diversi rallentamenti che la stessa realtà aveva in un primo momento attribuito all’improvviso avvicendamento a Palazzo Chigi della scorsa estate, lo si sa da tempo. Ma solo adesso l’imprenditore dietro al progetto, Lars-Eyvind Carlstrom, classe 1965, nato a Lulea, seconda città della Svezia per abitanti (poco più di 50mila), alle porte della Lapponia, parla apertamente di come stanno le cose.

NON C’È ENERGIA?

«In quell’area – ha spiegato il manager alla Stampa – c’è un grande problema che riguarda la connessione alle rete elettrica degli impianti. Dobbiamo assicurarci che il sito possa ospitare le funzionalità di cui abbiamo bisogno, una fabbrica come la nostra consuma una quantità enorme di energia, stimiamo fino all’1% di tutta l’energia elettrica disponibile in Italia, per cui l’infrastruttura deve essere all’altezza. Ma ci troviamo in una situazione in cui la connessione alla rete potrebbe richiedere fino a quattro anni di lavori per essere raggiunta: noi non abbiamo tutto questo tempo perché la produzione, secondo i nostri piani, deve partire nel 2025. Stiamo lavorando per capire se è possibile accelerare i tempi e cosa possiamo fare ma non abbiamo rinnovato l’accordo con Prelios: di conseguenza non abbiamo più l’esclusiva sul sito».

La società fondata dall’imprenditore svedese Lars Carlstrom con l’obiettivo di realizzare in Piemonte, alle porte di Ivrea, una delle più grandi gigafactory d’Europa, non ha infatti esercitato nei tempi previsti (12 mesi) l’accordo vincolante con Prelios Sgr, gestore del Fondo Monteverdi, per l’acquisto dell’area da un milione di metri quadrati ex Olivetti. Questo naturalmente non vuol dire che il progetto non si farà, ma certamente che sta subendo importanti battute d’arresto, come ammesso dopo mesi di silenzio dallo stesso Carlstrom.

ITALVOLT RESTA IN PIEMONTE?

«Ad oggi – spiega il manager al principale quotidiano del Nord Ovest – abbiamo già speso circa 10 milioni di euro in questo sito per vari lavori ingegneristici, perizie e per il futuro allestimento della fabbrica. La nostra volontà resta quella di concludere questo processo, anche perché a livello burocratico è tutto pronto ma non possiamo farci cogliere impreparati ne nel caso di ulteriori imprevisti».

«Dobbiamo salvaguardarci nel caso in cui non sia possibile ripristinare la connessione alla rete elettrica perché se ci vorranno effettivamente quattro anni, per noi diventa un problema enorme». Nel caso la gigafactory non potesse essere realizzata alle porte di Ivrea, avrebbero precedenza altre zone in Piemonte, «che possano essere una valida alternativa a Scarmagno nel caso la situazione non dovesse sbloccarsi».

L’INCIAMPO DI BRITISHVOLT

In tutto ciò il proverbiale elefante è rappresentato da Britishvolt, la gemellina da 3,8 miliardi di euro e 3 mila lavoratori che si sarebbe dovuta costruire nel Nord dell’Inghilterra, a Blyth, in collaborazione con Pininfarina, Siemens, Aston Martin e Lotus. Nelle ultime settimane, però, si è scoperto che non ha trovato capitali ed è finita in amministrazione controllata.

A onor del vero, qui Carlstrom c’entra poco dato che due anni fa era stato costretto a rassegnare le dimissioni inseguito dalle polemiche per una condanna per evasione fiscale che negli anni novanta gli era costata 10 mila euro di multa e 60 ore di servizi sociali in Svezia.

Anche se il debito con la giustizia e col fisco era stato pagato, difficile presentarsi ai diffidenti investitori britannici con un casellario giudiziale macchiato in tal modo. Tuttavia, anche senza Carlstrom alla guida, quei capitali per costruire la gigafactory britannica non sono mai arrivati.

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