Caro direttore,
ho letto con interesse l’articolo con cui avete riportato le dichiarazioni di Giorgetto Giugiaro. Ho molta stima del suo lavoro: se oggi made in Italy è più di un mero slogan, lo dobbiamo soprattutto a lui. E ti devo dire di avere anche ghignato pensando che a John Elkann e a Carlos Tavares, non proprio due campioni di simpatia, ultimamente siano arrivati così tanti scappellotti proprio mentre festeggiavano il compleanno di Fiat e provavano a lanciare la Grande Panda serba.
Però a mio avviso occorrerebbe anche meno ipocrisia e dire le cose come stanno davvero in ogni singolo aspetto, abbi la pazienza di ascoltarmi. Giugiaro ha ragione da vendere quando dice che con Stellantis la produzione è crollata ed è passata da due milioni di vetture annue a ottocentomila e, leggo sempre sul tuo giornale, per il 2024 ne sono previste appena 500mila, se tutto va bene. E ha anche ragione quando dice: “Ora che abbiamo venduto tutto alla Peugeot, sono loro che decidono”. Perché i dati raccontano la medesima versione: Stellantis non solo si concentra sulla Francia e su quell’ecosistema fiorito attorno alle sue Peugeot e Citroen, lasciando appassire la nostra filiera (pensiamo a quello che accade in Magneti Marelli) ma va a produrre dove più le conviene (liberissima, se solo non avesse contratto con lo Stato italiano, con noi tutti, un debito immenso fatto di aiuti di Stato che non ripeterò perché qua su Start avete sgranato in più occasioni).
Però – ed è un però bello grosso – le storie vanno raccontate tutte, fino in fondo. E Giugiaro dimentica di dire che dal 2010, ben prima che Fca si fondesse con Psa, vendette la sua Italdesign ai tedeschi di Volkswagen. Prima il 90% e poi cinque anni dopo l’ultimo spicchio in suo possesso, finito sotto Lamborghini controllata da Audi. Poi lui certamente potrà ribattere che il cuore e il cervello restano italiani, che Wolfsburg non decide e non ne ha fatto un soggetto berlinocentrico, ma tant’è, a mio avviso quando si difende l’italianità bisogna essere irreprensibili, no? E non discuto che Italdesign sia rimasta italianissima, ma intanto il presidente è Dirk Grosse-Loheide di Volkswagen.
Anche perché, a voler malignare sul Giugiaro-pensiero, si potrebbe dire che imputa ai francesi soprattutto questo: “la creatività è passata non agli italiani ma ad altri soggetti nel cui Dna non c’è questa tradizione”, che sembra suggerire minori chance di collaborazione con i designer italiani.
Insomma, Giugiaro – ma è solo una mia interpretazione – sembra dire che i francesi, che in fatto di design sono sempre stati convinti di saperne più di tutti (sono abbastanza anziano da ricordarmi le linee tonde da Ufo della Citroen DS, che tutti descrivevano come una macchina bellissima, ma vogliamo parlare della nostra Alfa Romeo Disco Volante che uscita nel 1952 non sfigurerebbe in strada nemmeno oggi?), vogliono fare da soli.
Il caso più eclatante è la nuovissima Topolino, spacciata per italianissima (un modello si chiama Dolcevita) ma oltre a essere fatta in Marocco è una copia in cartacarbone della Citroen Ami. Insomma Giugiaro oltre a lamentare la disoccupazione per gli operai, almeno secondo la mia interpretazione starebbe anche lamentando la disoccupazione dei designer italiani: quei pochi modelli che Fiat, Lancia e Alfa Romeo ancora sfornano non vengono realizzati da chi è passato dalla sua scuola. Sarà davvero così? Ah, saperlo!
Ti lascio con questa provocazione,
Tuo
Francis Walsingham