skip to Main Content

Fca

Ecco come frenano gli stabilimenti Fca in Italia nella produzione di auto

Che cosa succede negli stabilimenti di Fca in Italia? Articolo di Giusy Caretto

Fca fatica ad ingranare la marcia. La produzione 2018 non va: lo denuncia la Fim-Cisl, che spera nel nuovo piano industriale, presentato da Sergio Marchionne ma che deve portare avanti il nuovo ad Mike Manley, per una ripresa veloce e stabile.

E se è vero che gli stabilimenti italiani dovranno fare i conti con l’addio al diesel, è anche vero che (almeno secondo il business plan) l’Italia dovrà produrre 9 degli 11 modelli destinati al mercato EMEA. Ma andiamo per gradi.

I NUMERI DELLA PRODUZIONE

Dopo 5 anni di continua crescita, il 2018 sta segnando una flessione nella produzione: dati della produzione del terzo trimestre del 2018 degli stabilimenti finali di FCA segnalano una riduzione del 3,6% rispetto al 2017 (-5,8 se si fa riferimento al solo settore auto). Si è registrato, dunque, un ulteriore peggioramento rispetto al -2,5% rilevato nel 1 semestre, ha sottolineato nei giorni scorsi Il Sole 24 Ore.

LE ECCEZIONI

Ci sono, comunque, le eccezioni: continuano a crescere, infatti, le produzioni di FIAT Professional nello stabilimento di  Sevel, e le produzioni dei due suv di Melfi, Renegade e 500x.

MENO DUE MODELLI DA LUGLIO

Ad avere un impatto sui numeri di produzione, comunque, è anche lo stop alla produzione, dal mese di luglio 2018, di Fiat Punto e Alfa Romeo Mi.To negli stabilimenti di Melfi e Mirafiori. Le conseguenze non mancano nemmeno sul fronte lavorativo: il fermo produzione “ha determinato oltre 1.600 posizione lavorative a zero ore, che in termini di lavoratori coinvolti e un numero ben più ampio. L’effetto sui volumi 2018 sarà di una contrazione di circa 14.000 vetture in meno”, spiega la FIM-CISL.

ANCORA AMMORTIZZATORI SOCIALI

Parlando di lavoro e di numeri di lavoro, in questi ultimi mesi si assiste ad un aumento dell’uso di contratti di solidarietà e Cassa integrazione. “La scelta di rallentare il completamento del piano, rinviando alcuni investimenti nel corso del 2017, il ritardo nel lancio di nuovi prodotti, ha avuto un impatto negativo sull’obiettivo della piena occupazione. Certamente non siamo nella situazione pre-piano industriale del 2014, dove l’uso di ammortizzatori sociali coinvolgevano oltre il 27% dei 66.200 dipendenti di FCA. Fino a qualche mese fa gli ammortizzatori pesavano poco più del 8% della forza lavoro, nell’ultimo periodo assistiamo ad un’inversione di tendenza con un aumento dell’uso di contratti di solidarietà e Cassa integrazione. La nostra stima è che abbia raggiunto una percentuale oltre l’11%”, spiega Ferdinando Uliano segretario nazionale della FIM-CISL.

SERVONO NUOVI (URGENTI) PROGETTI

E’ evidente che è arrivato il momento che FCA avvii nuovi progetti. Sulla carta, il piano industriale 2018-2022 destina la produzione di nove degli undici modelli previsti per l’area Europa (EMEA) agli stabilimenti italiani, ma è vero che nessuno ha ancora parlato dei tempi di attuazione del piano.

CI SI PREPARA A DIRE ADDIO AL DIESEL

Quel che è certo, intanto, è che FCA ha decretato l’uscita dal diesel entro il 2021 e che non mancheranno le conseguenze su produzione ed occupazione in Italia, come scrivono Carlo D’Onofrio e Augusto Bisegna su Start Magazine.

Sergio Marchionne ha promesso che i 3mila lavoratori impiegati dai due stabilimenti che producono motori diesel, la Vm di Cento (Ferrara) e Pratola Serra (Avellino), sarebbero stati in ogni caso ricollocati, ma non ha svelato nessun dettaglio sul caso. A pagare le spese peggiori sarà lo stabilimento di Pratola Serra (Avellino), dove si fabbricano quasi solo motori diesel: solo lo 0,5% dei 400.000 pezzi sfornati nel 2017 erano a benzina. Allo stabilimento di Cento (Ferrara) gli effetti dovrebbero essere limitati.

Back To Top