skip to Main Content

Chip Stellantis

Ecco l’impatto dell’assenza di chip sugli stabilimenti italiani di Stellantis

Gli ultimi lockdown imposti da Pechino e la mancanza di chip causano altri stop agli impianti italiani di Stellantis. Tutti i dettagli

“Le difficoltà di approvvigionamento di materiale sono presenti ormai da alcuni mesi e stupisce come il quarto produttore mondiale di veicoli non riesca a organizzare la produzione scaricando, ancora una volta, il costo di questa ennesima fermata sulle tasche dei lavoratori, già in difficoltà per l’aumento del costo della vita, con molti di loro che hanno anche già acquistato gli abbonamenti settimanali per il trasporto pubblico per recarsi a lavoro”. Lo ha scritto la Fiom, in merito all’ultimo stop di fine estate (avvenuto nel pieno di quella che un tempo sarebbe stata la ripresa post ferie) dello stabilimento Sevel di Val di Sangro, in Abruzzo, dove vengono costruiti i veicoli commerciali del gruppo Stellantis e della fabbrica delle Jeep, a Melfi, in Basilicata, vicino a Potenza. Il comunicato ricorda come la crisi dei chip, finora ignorata dalla politica nostrana, ci riguardi da vicino, dato che coinvolge impianti Stellantis già in difficoltà e sui quali pende la spada di Damocle di numerosi licenziamenti.

STELLANTIS BLOCCATA DAI CHIP (E NON SOLO)

“L’ennesima fermata produttiva – denunciano i sindacati – questa volta per la mancanza di fornitura di motori per i furgoni Citroen e Peugeot, getta ulteriore preoccupazione sulle prospettive del sito”. Sugli stabilimenti italiani di Stellantis, come spiegato dal Corriere, si sono addensate nuvolacce nere da tempesta perfetta: non mancano solo i chip, ma anche materiali provenienti dalla Cina, alle prese con gli ultimi – si spera – colpi di coda del Covid-19. Le interruzioni nelle fabbriche di Shanghai e la chiusura del principale porto asiatico avvenute a inizio anno rappresentano il classico batter d’ali della farfalla che, dall’altro capo del mondo, dopo qualche mese provoca danni fatali.

“Le continue fermate produttive – lamentano dalla Fiom – stanno mettendo in seria difficoltà anche i lavoratori del settore della camperistica che non riceve mezzi da trasformare e conseguentemente non riesce a rispondere a un mercato in forte espansione”.

“Stupisce l’assenza nel dibattito politico della campagna elettorale e nei programmi delle forze politiche – rilevano Simone Marinelli, coordinatore nazionale Automotive per la Fiom-Cgil e Alfredo Fegatelli, segretario generale Fiom-Cgil Chieti – del tema del rilancio del settore della mobilità, un settore strategico per l’industria, l’economia e l’occupazione”.

TAGLI IN VISTA

Nel disinteresse della politica che, come evidenziamo da tempo, non si occupa nemmeno di attrarre capitali esteri per costruire nuove gigafactory (come stanno invece facendo la Spagna, la Francia e la Germania), gli stabilimenti già esistenti procedono a singhiozzo.

 

“Preoccupazioni sul futuro che aumentano per le revisioni al ribasso del numero di furgoni da produrre in Val di Sangro e questo vale anche per l’indotto anche se alcune aziende stanno limitando il danno fornendo parte della produzione allo stabilimento “gemello” di Gliwic (Polonia)”, dicono sempre dalla Fiom.

A Mirafiori si produce la Fiat 500 elettrica; a Cassino la Grecale di Maserati e il trittico Alfa Giulietta, Giulia, Stelvio; a Melfi le Jeep Renegade e Compass più la Fiat 500 X; a Pomigliano la Fiat Panda, la Tonale dell’Alfa Romeo e il Dodge Hornet, troppo poco, ricorda il Corriere, per avere la piena saturazione degli organici. Il gruppo Stellantis, in più, prevede di ridurre, entro la fine del 2022 i dipendenti di 1.800 unità, passando dai 50.800 del 2021 a circa 49 mila e, sempre da via Solferino fanno sapere che «si vocifera che voglia scendere a 48 mila nel 2023». Si tratta di uscite volontarie incentivate che hanno già riguardato oltre 2.700 lavoratori.

COSA HA DETTO GIORGETTI SUL FUTURO DELL’AUTO

Dal governo, il titolare uscente del MiSE, Giancarlo Giorgetti, nelle ultime ore ha ricordato le misure fatte: “mentre quelle sulla domanda sono già state effettive quest’anno, quelle sull’offerta implicano un processo di ristrutturazione del settore delle imprese e, quindi – rassicura -, entrerà in pieno dispiegamento a partire dall’anno prossimo”.

Ma poi il leghista ha ammesso che l’Italia è parecchio indietro in tema di transizione ecologica, che è ormai il futuro dell’industria dell’auto: “è necessario fare un ragionamento che vada oltre l’ambizione di fare una transizione green verso un mondo più sostenibile, ma che tenga anche conto di missioni strategiche, ad esempio da dove arrivano le componenti che vengono usate nell’automotive elettrica, per non ritrovarci domani esattamente nella stessa situazione con la Cina, come ci troviamo oggi con la Russia”. E questo “anche tenendo conto la realtà della nostra manifattura, del nostro sistema economico e dei tanti lavoratori impiegati in questo settore”.

Parole di buon senso, certo, ma che arrivano ormai in ritardo di almeno un lustro sulla tabella di marcia europea e mondiale, dato che gli altri Stati non stanno più discutendo su quale tecnologia abbracciare, ma stanno già correndo verso l’elettrico. La stessa Ue ha ormai deciso di privilegiare i motori EV e molto presto potrebbe dare un colpo di grazia a chi, come noi, è rimasto indietro, escludendo i propulsori endotermici dal mercato.

Giorgetti, sempre di recente, ha ammesso la diversità di vedute tra Roma e Bruxelles: “noi abbiamo fatto una trattativa, abbiamo ottenuto dei piccoli risultati. Quello che è positivo, a mio giudizio, è che negli ultimi tempi questa sorta di dottrina non contestabile è stata messa in discussione: ci sono case automobilistiche che sono tornate sui loro passi e hanno capito che il giusto approccio è la neutralità tecnologica. Non c’è soltanto l’elettrico ma anche altre forme per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale”.

L’indecisione politica e l’attendismo industriale rischiano di rendere sempre più marginale il nostro Paese nel settore dell’automotive. Anche perché, come ha recentemente ricordato al Corriere Gerardo Giannone, un operaio addetto al montaggio linea plance di Pomigliano: “Sergio Marchionne era amato e odiato nello stesso tempo ma era il punto di riferimento italiano a difesa della produzione italiana. Tavares fa i risultati, questo è ciò che conta per gli azionisti”.

Back To Top