Sono numerosi gli stabilimenti di auto elettriche cinesi che a breve dovrebbero essere inaugurati in Europa. Ma, almeno per il momento, non in Italia, nonostante il corteggiamento serrato del dicastero per il Made in Italy di Adolfo Urso che, è noto, è alla ricerca di investitori esteri da affiancare a Stellantis per riportare la produzione di auto al di sopra dei livelli di guardia. Probabilmente era già nei piani delle industrie di Pechino e dintorni aprire filiali nel Vecchio continente per agevolare l’invasione che non potrà continuare ad avvenire solo via mare, tramite gigantesche e dispendiose navi assemblate ad hoc, dato che le tensioni geopolitiche aumentano i costi assicurativi, quelli dei carburanti e possono comportare la chiusura di alcuni stretti e canali vitali nel commercio tra Est e Ovest. Ma i dazi Ue (sgraditi a un numero crescente di industrie europee) potrebbero aver spinto la Cina – furibonda – ad accelerare la localizzazione dei siti adatti.
QUALI MARCHI PENSANO DI APRIRE HUB EUROPEI
Tra i marchi cinesi più corteggiati dai leader europei c’è sicuramente Byd che ha già annunciato di voler realizzare un avamposto in Ungheria. Nonostante le politiche sovranistiche, Viktor Orbán ha coltivato un rapporto privilegiato con la Cina anche per via dei numerosi investimenti asiatici nel suo Paese per la realizzazione della Nuova via della seta: in primavera Xi Jinping è stato accolto con tutti gli onori a Budapest, mentre due mesi dopo è stato il turno del criticato neo presidente di turno dell’Unione europea ricambiare il favore e atterrare a Pechino.
UNA SECONDA CASA EUROPEA PER BYD?
Dopo l’Ungheria, Byd sarebbe persino interessata a realizzare un nuovo impianto. Lo ha detto qualche settimana fa Stella Li, Executive Vice President di BYD Company Limited e Chairwoman di BYD Europa che tuttavia ha subito spento ogni entusiasmo italiano: “Non c’è alcun dialogo in corso col governo italiano. Potrebbe essere l’Italia ma anche la Spagna, la Francia o la Germania. Vedremo”.
PRIMA DEI DAZI UE SI ERA TRASFERITA CHERY
Nessuno del resto a Roma fa più proclami e nomi. Si vuole evitare il bis di quanto accaduto con Chery, che fonti di stampa e persino qualche dichiarazione scappata al titolare del Mimit, Urso, nei mesi scorsi davano in trattative ormai avanzate col governo italiano per la realizzazione di una gigafactory nel nostro Paese.
Lo scorso 19 aprile, però, le speranze italiane si sono sfarinate di fronte alla firma dell’accordo tra l’impresa catalana Ebro-EV Motors (con il 60% delle quote) e l’azienda automobilistica cinese Chery (con il restante 40% delle quote) per produrre insieme veicoli a Barcellona, così da reindustrializzare l’ex fabbrica Nissan in Zona Franca.
ZEEKR IN EUROPA PER DRIBBLARE I DAZI UE?
Che i dazi Ue possano influenzare la geografia industriale di Geely (e dei marchi nel portafogli come l’impronunciabile Zeekr) è di fatto ufficiale: “Le vendite di Zeekr e Geely in Europa subiranno un colpo relativamente grande dai crescenti dazi sull’importazione fissati dalla Ue”, ha detto qualche giorno fa a Bloomberg An Cong hui, Ad di Zeekr e manager della controllante Geely Auto. Secondo l’ultima formulazione, i dazi imposti da Bruxelles a Geely si assestano attorno al 19,3% (la prima ipotesi li aveva fissati al 19,9).
GEELY È GIÀ TRA NOI
Geely ha radici solide nel Vecchio continente: è proprietaria delle svedesi Volvo e della divisione EV Polestar e, sempre in Svezia, di Lynk & Co, come pure della britannica Lotus mentre coi francesi di Renault ha creato la jv Horse sui motori a scoppio. Sempre a Londra si occupa dei caratteristici taxi neri, oggi elettrici, attraverso la London Electric Vehicle Company. Insomma, nei fatti Geely ha già fabbriche impiantate nel tessuto industriale europeo: ora bisognerà capire dove si posizionerà la controllata Zeekr, se in prossimità di quelle nel Nord Europa o se proverà a realizzare un avamposto più mediterraneo.
LE STRATEGIE GEOGRAFICHE DI SAIC
Medesimi ragionamenti attuati nell’ultimo periodo da un altro grande marchio cinese per certi versi già attivo in Europa: Saic, presente sul territorio grazie alla britannica Mg. In un primo momento pareva dovesse propendere per l’Ungheria o la Repubblica Ceca, attratta dai minori costi della manodopera, ma secondo le ultime rivelazioni della stampa spagnola sembrerebbero in stadio avanzato le trattative con la Galizia, comunità autonoma nel nord-ovest della Spagna sulla costa dell’Atlantico, strategicamente vicina agli impianti Mg, che con la Brexit non sono più così vicini all’Europa.
ANCHE XPENG PENSA DI FARE I BAGAGLI
Infine c’è Xpeng, su cui gravano dazi Ue al 21,3%. L’azienda cinese sarebbe nella “fase iniziale della scelta di un sito in Unione europea dove allocare la produzione”, secondo quanto rivelato dal Ceo He Xiaopeng in un’intervista rilasciata sempre a Bloomberg.
LA RISPOSTA DI PECHINO AI DAZI UE
I dazi di Bruxelles sembrano insomma aver accelerato i piani industriali di diverse Case automobilistiche che intendono cavalcare il ban comunitario del motore a scoppio. Pechino però è furente e potrebbe presto rispondere su due piani: colpendo i prodotti caseari che l’Europa invia in Cina e, contemporaneamente, le auto europee di grossa cilindrata, prevalentemente tedesche, nell’ovvio tentativo di spingere Berlino a sfruttare il proprio peso in Europa per chiedere alla prossima Commissione di riconsiderare le ultime mosse di natura protezionistica.
La partita dei dazi, insomma, è ancora tutta da giocare. E l’Europa dovrà considerare cosa sta guadagnando e cosa rischia di perdere.