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Ecco le industrie che in Europa non gradiscono dazi contro la Cina

Si complica il rebus per la prossima maggioranza Ursula. Il mondo dell'auto, ma non solo (anche quello dei prodotti alimentari, della nautica e della agricoltura) chiede alla ventura Commissione Ue di rivedere i dazi ai prodotti cinesi. Tutti i dettagli

Il colpo di coda della Commissione Ursula non è piaciuto al mondo dell’auto del Vecchio continente, sebbene si sapeva che la Ue avrebbe preso una decisione sui dazi da imporre alle auto elettriche cinesi entro l’inizio di questa estate.

CHI VINCE E CHI PERDE NELLA PARTITA DEI DAZI AI CINESI

Per Ursula von der Leyen la finalizzazione dei dazi sui marchi cinesi altro non è che un modo per ribadire, anche alla maggioranza che si sta faticosamente compattando attorno alla sua figura, che il Green Deal comunitario non è in discussione.

Per alcuni Stati (tra cui la Spagna e l’Ungheria) il pacchetto di dazi rappresenta una possibile accelerazione nel riuscire ad attrarre investitori cinesi. Ma dei due Paesi appena citati solo la Spagna, è noto, a livello governativo è stato sponsor di questo nuovo balzello doganale. L’Ungheria invece non lo vuole, come verrà dettagliato meglio in seguito.

Per l’automotive continentale e, in particolar modo, quello tedesco – strettamente interlacciato con Pechino – la recente misura è solo fumo negli occhi e rappresenta un possibile calo negli affari, soprattutto se il Dragone dovesse attuare contromosse commerciali altrettanto dure.

CHI È CONTRARIO AI DAZI AI CINESI

E proprio nelle ore in cui a Bruxelles le prime sedute del nuovo Europarlamento danno forma e sostanza al prossimo governo europeo, una coalizione di 31 importanti associazioni imprenditoriali europee afferenti a una pluralità di settori che esonda dall’industria dell’auto si è riunita per chiedere una “politica commerciale ambiziosa e aperta” a sostegno della “competitività e della prosperità economica della Ue”.

Il risultato dell’incontro tra gli industriali è stato riportato in una lettera breve e senza fronzoli che sarà recapitata al prossimo presidente della Commissione europea, nella quale i dazi ai marchi cinesi non vengono mai esplicitamente citati, ma restano prepotentemente sullo sfondo. Un gigantesco elefante nella stanza che è il principale motivo dell’insoddisfazione del mondo imprenditoriale comunitario che a Bruxelles chiede un “commercio aperto”.

I FIRMATARI

I firmatari rappresentano di fatto il cuore dell’industria comunitaria. C’è Acea, che riunisce i costruttori del Vecchio continente, seguita da Clepa (componentistica). A loro si sono aggiunte, dal mondo alimentare, Caobisco (cioccolato e biscotti), Ceev (vino), Eda (prodotti lattiero-caseari), Unafpa (pasta), Cec (calzature) e Unesda (analcolici).

C’è poi il mondo dell’agricoltura con Cema (macchinari per l’agricoltura) e Coceral (commercio di beni agricoli). Quello della nautica da diporto rappresentato da Ebi, delle calzature (Cec) e dei giochi, riuniti sotto il vessillo di Tie.

firmatari contro dazi cinesi

COSA CHIEDE LA FILIERA DELL’AUTO (E NON SOLO) A BRUXELLES

I 31 firmatari al prossimo governo comunitario chiedono di “dare priorità alle politiche che aprono mercati nuovi e diversificati attraverso accordi commerciali e riducono gli ostacoli tecnici al commercio”.

Il mondo dell’auto ricorda come “Il commercio rimanga una pietra angolare della forza economica dell’Unione, offrendo vantaggi significativi ai consumatori e attraendo investimenti esteri”. Inoltre, i 31 chiedono che la Ue “continui a sostenere l’Organizzazione mondiale del commercio e un sistema internazionale basato su regole” che garantiscano un “contesto commerciale equo e prevedibile” anche con una “maggiore collaborazione con i partner” esteri.

Con Pechino niente prove muscolari sulla falsariga di quelle americane, insomma, solo diplomazia. Il gargantuesco non detto, del resto, è che a differenza degli Usa l’Unione europea non ha una filiera alternativa né tanto meno le materie prime “a chilometro zero”. Oggi quasi tutti i comparti economici dipendono, in qualche modo, dagli scambi commerciali con la Cina.

QUALI PAESI POTREBBERO ASCOLTARE QUESTA RICHIESTA?

La partita sui dazi imposti ai prodotti cinesi non è del resto ancora finita, dovendosi disputare l’ultimo match in seno al Consiglio Ue. Tra i Paesi più critici nei confronti di tale misura protezionistica figura, a sorpresa, l’Ungheria del super-sovranista Viktor Orban, principale sponsor della Nuova Via della seta e, per questo, obiettivo di una pluralità crescente di investitori cinesi. I dazi europei in realtà sembrano aver accelerato l’arrivo di hub asiatici su suolo ungherese, perciò non è dato sapere quale sarà la sua posizione definitiva nel Consiglio Ue.

Dovrebbe mantenere se non inasprire la propria posizione critica sui balzelli alle auto elettriche made in China anche Berlino, le cui Case automobilistiche hanno solidi rapporti commerciali con Pechino e una forte presenza in Cina. Inoltre, l’economia tedesca ultimamente ha tossito parecchio ed eventuali contromosse cinesi in risposta ai dazi europei potrebbero rallentarla ulteriormente.

Per molti osservatori, Finlandia, Polonia e Repubblica Ceca, le cui economie sono strettamente allacciate a quella tedesca, faranno muro alla misura voluta fortemente dalla Francia (Emmanuel Macron chiedeva persino una versione europea dell’Ira statunitense) e dalla Spagna. E poi c’è la Svezia, preoccupata per le sorti di Volvo, controllata dalla cinese Geely.

E L’ITALIA?

L’Italia formalmente è favorevole ai dazi, ma la decisione non è così semplice, perché Roma sta contrattando da tempo con diversi marchi di Pechino e dintorni affinché investano nel nostro Paese così da dare fiato a una industria dell’auto ormai asfittica per via del progressivo disinteresse di Stellantis.

E poi c’è il comparto del lusso, che rappresenta il cuore pulsante del Made in Italy, fortemente preoccupato delle possibili ripercussioni di Pechino. Anche per questo il governo italiano nei recenti incontri con la presidente della Commissione in pectore ha deciso di frenare sul Green Deal europeo.

LA DATA DA SEGNARE SUL CALENDARIO E LE PROSSIME MOSSE

Entro l’inizio di novembre (l’ultima data disponibile oltre la quale non si potrà andare è il 2) il Consiglio Ue dovrà procedere con la ratifica o il rigetto delle disposizioni di Bruxelles esprimendo un voto a maggioranza qualificata: per bloccare il provvedimento serve il voto contrario di 15 Paesi membri che rappresentino il 65% della popolazione del Vecchio continente.

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