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Auto Elettriche Cinesi

Cosa cambia per le auto elettriche cinesi con l’entrata in vigore dei dazi Ue

Con la fine di ottobre le auto elettriche cinesi dovranno pagare i nuovi balzelli. La misura è destinata a durare cinque anni, ma la debolezza industriale europea è tale da far pensare che la Ue voglia strappare alla Cina promesse di investimenti. Tanto più nel caso in cui, se negli Usa vincesse Trump, l'America dovesse varare nuove misure protezionistiche.

Il dazio è tratto. L’Unione europea si è presa fino allo scoccare del termine dei 13 mesi dall’indagine su eventuali pratiche commerciali scorrette poste in essere dai marchi di Pechino e dintorni. E alla fine nonostante i molteplici contatti col Dragone, Bruxelles nei giorni scorsi ha varato i nuovi dazi che andranno a colpire le auto elettriche cinesi. Una mossa sulla quale pendevano gli avvertimenti del Paese asiatico: la Cina ha già varato diverse contromisure e probabilmente ne disporrà altre.

COME FUNZIONANO I DAZI SULLE AUTO ELETTRICHE CINESI

Le nuove tariffe doganali sono entrate in vigore lo scorso 31 ottobre, non sono retroattive (inizialmente pareva lo fossero), verranno riscosse direttamente nei porti e devono essere sommate all’attuale aliquota del 10% che veniva imposta a chiunque fosse l’esportatore. Viceversa, i dazi frutto dell’indagine anti dumping sono diversificati per marchio.

Ci sono insomma Case automobilistiche che pagheranno di più o di meno, a seconda dell’aiuto di Stato appurato e, soprattutto, della collaborazione offerta alla Ue in sede di indagine. Quelle che pagano di più in linea di massima non hanno nemmeno risposto alle richieste dei funzionari di Bruxelles.

I DAZI EUROPEI A SECONDA DEL MARCHIO

Nell’ultimo periodo comunque molti dei principali marchi hanno deciso di collaborare al fine di ottenere un regime di favore. Ecco perché si registrano numerosi “sconti” rispetto alle aliquote annunciate in estate.

Byd per ogni vettura esportata dovrà pagare non più il 17,3% ma il 17%, le auto elettriche cinesi del gruppo Geely ottengono una revisione che ha portato l’imposizione dal 19,3% al 18,8% e pure Saic ottiene una diminuzione, benché sia il marchio che pagherà di più: dal 36,3% al 35,3%.

La collaborazione di Tesla ha spinto i funzionari Ue a scendere dal 9% al 7,8%, mentre cala dal 21,3% al 20,7% la tariffa su tutte le altre aziende che non sono state incluse nel campione oggetto dell’indagine anti-dumping ma hanno collaborato con la Ue. Infine, per tutti gli altri costruttori, il dazio sarà del 35,3% e non più del 36,3%.

LE CINESI HANNO FATTO SCORTA DI AUTO ELETTRICHE

La misura è entrata in vigore con la pubblicazione della norma sulla Gazzetta Ufficiale europea. Motivo per il quale nel mese di settembre la Cina ha esportato nell’Unione Europea oltre 60.000 veicoli elettrici, con spedizioni che hanno raggiunto il secondo livello più alto mai registrato. Il numero è subito balzato all’occhio dei funzionari che controllano i traffici dei porti perché rappresenta un aumento del 61% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

E se è vero che, proprio a settembre, dopo mesi con il segno meno, le vendite europee di auto elettriche hanno rappresentato il 17,3% del totale dei nuovi modelli immatricolati (+9,8% su base annua), rispetto al 14,8% di settembre 2023 è altrettanto vero che, diminuendo lo zoom fino a ricomprendere i primi nove mesi dell’anno, le vendite elettriche da inizio anno in Europa sono inferiori del 5,8% rispetto al medesimo periodo del 2023.

L’ALTRO PRECEDENTE “SOSPETTO”

Insomma, non è stata certo la domanda interna ai Ventisette a spingere le varie Case a intensificare le spedizioni di auto elettriche cinesi. Del resto, come è stato scritto poco sopra, le 60.517 auto a batteria approdate nei porti europei per essere spedite nei concessionari dei 27 Paesi non costituiscono il record di vetture alla spina esportate dal Dragone in Europa.

Il primato guarda caso risale all’ottobre 2023 – pari a 67.455 unità – ovvero lo stesso mese nel quale la Commissione Europea aveva annunciato di voler avviare un’indagine per dumping sulle Case automobilistiche cinesi. E con ogni probabilità si registreranno arrivi record anche nel mese di ottobre appena archiviato.

CHE SUCCEDE ORA?

La misura che mira a colpire le auto elettriche cinesi ha una durata quinquennale, ma sono pochi gli osservatori che sostengono che l’Unione europea intenda realmente avviare una guerra commerciale con la Cina.

LA UE STRETTA TRA USA E CINA

Tanto più dopo che l’Ira di Joe Biden ha di fatto indebolito gli scambi commerciali con gli Stati Uniti che potrebbero chiudersi a riccio nel caso in cui tornasse alla Casa Bianca Donald Trump. L’ex presidente repubblicano, infatti, ha già promesso che in caso di rielezione aumenterà i dazi a tutti i costruttori esteri.

LA CRISI DI VW E STELLANTIS INDEBOLISCE L’INTERA UE

Una pessima notizia per i player del Vecchio continente, già profondamente in crisi, con Volkswagen che per la prima volta nella sua storia ha annunciato la chiusura di almeno tre dei suoi stabilimenti in Germania oltre un quarto marchiato Audi a Bruxelles con il conseguente taglio di decine di migliaia di posti di lavoro.

Le medesime difficoltà sono registrate da Stellantis nel Vecchio continente ma pure in quello che era il suo principale mercato di riferimento: gli Stati Uniti. La debolezza di due colossi per l’Europa rischia di voler dire la chiusura di centinaia se non migliaia di fornitori. Tra le Case in affanno non si dimentichi poi Mercedes. Altri marchi europei si stanno ancora leccando le ferite a seguito della fuga dalla Russia, dove hanno lasciato fabbriche e investimenti che Mosca sta di fatto regalando ai competitor asiatici.

Insomma, in uno scenario simile è difficile che Bruxelles intenda realmente andare allo scontro con Pechino sulle auto elettriche cinesi, specie considerato che al momento non hanno un mercato a dispetto del venturo ban dei motori endotermici.

È più facile che la Commissione Ue miri a trovare accordi di altra natura, per esempio spingendo i marchi cinesi a investire nei Ventisette e a rilevare gli impianti che i marchi europei stanno dismettendo per colpa della crisi.

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