Sempre più analisti concordano che la decisione di Vladimir Putin di isolarsi dall’Occidente per invadere l’Ucraina abbia portato la Russia a legarsi “mani e piedi” all’alleato cinese. E una palese dimostrazione di ciò si avrebbe con riferimento all’industria automobilistica di nuovo corso, sempre meno europea, sempre più cinese ma soprattutto ben poco russa.
È noto a tutti, infatti, che i costruttori europei, tra cui la francese Renault, una delle Case del Vecchio continente più esposte in Russia, hanno via via abbandonato Mosca e dintorni in ottemperanza delle sanzioni occidentali.
FUORI GLI EUROPEI, DENTRO I CINESI?
Mosca non ha battuto ciglio, arrivando anzi a espropriare siti e infrastrutture che, nelle roboanti dichiarazioni del Cremlino, avrebbero dovuto essere la culla di auto al 100 per cento russe, per esempio riportando in vita alcuni brand storici come la Moskvich.
Potrebbe non essere proprio così dato che, a due anni e mezzo dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, nel silenzio più totale i costruttori cinesi avrebbero sostituito i rivali occidentali in Russia, agguantando più della metà del mercato. Mosca non lo racconta, avendo preferito enfatizzare che gli impianti sono tornati di proprietà di aziende russe. La Cina men che meno.
QUELLE CINESI CHE LAVORANO IN IMPIANTI UN TEMPO DI CASE EUROPEE
Lo riporta Reuters che indaga da tempo sul tema e che ha messo assieme abbastanza materiale da poter affermare che Chery, tra i costruttori cinesi più corteggiati dal governo Meloni per la costruzione di una gigafactory italiana, ha invece preferito iniziare ad assemblare auto in tre impianti lasciati liberi da marchi esteri. Per la precisione un tempo centro delle attività delle tedesche Volkswagen e Mercedes-Benz e dalla giapponese Nissan.
COSA FA CHERY A SAN PIETROBURGO
Proprio l’impianto Nissan di San Pietroburgo oggi produce la Tiggo 7, ribattezzata Xcite X-Cross 7. Per ora, i cinesi di Chery si sono rifiutati di confermare le indiscrezioni della Reuters, sottolineando come le loro strategie per il mercato russo prevedano solo l’esportazione di veicoli e non la realizzazione o l’acquisto di fabbriche.
Ufficialmente quell’impianto era stato affidato alla principale casa automobilistica russa, AvtoVAZ, che aveva avviato la produzione del modello Lada X-Cross 5 in collaborazione con un non meglio precisato “partner orientale”.
SOMIGLIANZE SOSPETTE
Sempre Reuters aveva rivelato che la Moskvich 3, crossover compatto prodotto nella ex fabbrica Renault alle porte di Mosca, fosse sospettosamente simile alla Sehol X4 di un’altra importante Casa cinese: Jac Motors.
È del resto noto da tempo che l’automotive russo andasse avanti in una economia di guerra utilizzando kit acquistati da partner della Repubblica Popolare cinesi così da aggirare le sanzioni occidentali.
Ma adesso si sarebbe compiuto un ulteriore passaggio, con l’arrivo dei cinesi in loco: in totale si parla di oltre 600mila vetture distribuite annualmente. La sola Chery nel 2023 avrebbe visto le vendite quadruplicare a poco più di 200.000 veicoli, cifra già superata nel 2024, e ora il gruppo di Wuhu controlla quasi un quinto del mercato.
CINA E RUSSIA PREFERISCONO CHE NON SI SAPPIA
In merito Mosca e Pechino tengono le bocche cucite. Ed è chiaro perché. Reuters parla infatti di fabbriche letteralmente in mano ai cinesi, in cui i metalmeccanici russi sarebbero alle dipendenze di ingegneri asiatici inviati dalle Big del Dragone per dirigerne i lavori.
Putin non vuole far trapelare che alla Russia mancasse il know-how per costruire auto moderne e preferisce ammantare tutto con la retorica della restaurazione di gloriosi marchi del passato. Allo stesso modo i marchi cinesi, in piena espansione globale (che significa occidentale) non vogliono ulteriori frizioni con esecutivi in aperto contrasto con le mire geopolitiche di Mosca come quelli americani ed europei.