skip to Main Content

Piaggio Aerospace

C’è davvero un futuro elettrico per Piaggio Aerospace?

Fatti, analisi e scenari su Piaggio Aerospace. L'intervento di Paolo Mezzanotte, già direttore in Aermacchi, ora progettista aeronautico free lance

(Questa nota è stata scritta tempo fa, prima della notizia sul sostanziale naufragio delle trattative per vendere Piaggio Aerospace. Per questo alcuni riferimenti possono essere non del tutto aggiornati. Ma soprattutto, il tempo passato mette maggiormente in evidenza la mancanza di una linea italiana sull’utilizzazione (non solo la produzione) dell’idrogeno, in particolare per la propulsione aeronautica, un settore nel quale sarebbe ben giustificato un investimento guardando al futuro. La proposta di nuovo programma per la Piaggio Aerospace, delineata qui, offrirebbe sia una sostanziale opportunità di mercato a breve, sia una piattaforma precorritrice rispetto a qualsiasi altra iniziativa conosciuta, in vista delle tecnologie, ora in gestazione, per la propulsione a idrogeno).

Nella storia recente dell’aviazione mondiale si sono verificati episodi di interesse quasi psicopatologico e accostabili alla corsa all’oro, dalla quale pochissimi individui emersero vincitori (tra cui diversi trafficanti) mentre per la grande massa fu un disastro. Come esempio recente ed eclatante, si può ricordare l’enorme quantità di proposte e di sforzi che vennero spesi, nei primi anni del secolo, per lo sviluppo di Personal Jet o Very Light Jet (VLJ), stimolati da un’iniziativa congiunta FAA-NASA (SATS) per velivoli da trasporto personale e per air taxi. Della pletora di tentativi di sviluppo dell’epoca resta oggi un vago ricordo.

Da questa avventura sopravvivono oggi quattro modelli (Phenom 100, Citation Jet M2, Cirrus Vision, Honda Jet) dei quali gli ultimi tre, quelli di maggiore successo commerciale (anche se sempre relativo), furono sviluppati quasi una decina di anni dopo il periodo della grande corsa.

Un fenomeno analogo, ma su scala molto più ampia, si sta verificando oggi per la propulsione elettrica applicata a piccoli aeroplani, la maggior parte dei quali cade nella categoria della Urban Air Mobility, a decollo verticale). La norma emessa appositamente dall’EASA nel luglio 2019 (Doc. No: SC-VTOL-01) riporta: “EASA has reviewed more than 150 VTOL project configurations, at different stages of maturity, all aiming at addressing a potentially new market.” Le iniziative di elettrificazione sono aumentate e aumentano ogni giorno (quelle di cui si ha notizia oggi sono ben più di 200, come si vede dalla figura che segue (Roland Berger, 2019): la grande maggioranza cade nella UAM e nella General Aviation, ma le ambizioni sono cresciute progressivamente fino a comprendere progetti di aeroplani regionali e anche liner.

I progetti correnti di UAM sono stati esaminati criticamente in tanti paper, fra cui uno dello scorso anno dal titolo emblematico “Rotorcraft systems for urban air mobility: A reality check“, che si chiude con la frase: “Many important problems are discounted by discipline specialists as trivial or obvious. The history of aviation demonstrates that Obvious is the father of all disasters.” Vale la pena di valutare se un’analoga considerazione può valere anche per la propulsione elettrica in generale.

Tuttavia, la propulsione elettrica è diventata ormai il totem a cui appare retrogrado opporre valutazioni critiche. Si ripetono parole chiave come “low carbon transport”, “green aircraft”, “disruptive” “innovative, “paradigm shift in aviation”, “sustainable transport” e anche “zero emissions”, affermazione di cui va verificata la validità nella produzione a terra dell’energia e dei sistemi che poi sono usati in volo (qui, certo, in modo pulito). Insomma, come si legge nel riferimento appena citato, siamo in una “New age of innovation”, “It is not a question of if, but when”.

Le nuove forme di propulsione non sono solo un tema impiantistico ma investono, e in modo che dire radicale è ancora poco, l’intero progetto di configurazione, aerodinamico, strutturale, degli spazi interni fino alla capacità di payload e range del velivolo. Di conseguenza, le promesse di queste nuove tecnologie – certo, molto attraenti – richiedono però che l’argomento venga trattato col sufficiente approfondimento, con la visione d’insieme, in una ragionevole prospettiva temporale e prevedendo i necessari sviluppi. Non è forse banale notare anche che esistono opzioni molto diverse soprattutto nella scelta del “serbatoio di energia”: batterie, idrogeno, jet fuel per la propulsione ibrida.

Il tema è interessante in generale ma è anche di specifico interesse per l’Italia dove, secondo recenti informazioni, la Piaggio Aerospace, una delle aziende aeronautiche storiche, in sofferenza da tempo, potrebbe vedere il suo futuro nello sviluppo di un nuovo velivolo ibrido o elettrico. Su questo punto sorgono spontanei alcuni interrogativi basilari.

  • Una nuova tecnologia, da sola, può fornire uno spunto per l’accesso a finanziamenti della ricerca ma non giustifica affatto un nuovo sviluppo: occorre un progetto, cioè un punto di arrivo, che dimostri quali vantaggi – operativi, economici, di mercato – possono essere offerti rispetto ai prodotti esistenti. Questo punto di arrivo, se questo fosse il velivolo proposto nell’articolo, costerebbe non meno di 500 M€ e non 80, come apparentemente presunto nello stesso articolo. Una nuova tecnologia può anche far sorgere un nuovo mercato, ma questo deve essere bene individuato e dimostrato, specie a fronte dell’investimento richiesto appena citato.
  • L’orientamento verso un piccolo aereo regionale è singolare, dato che il mercato di questa classe di aeroplani è praticamente inesistente da decenni, come si vedrà più avanti (e gli aerei in servizio offrono ben più di 1000 km di autonomia, un valore del tutto fuori portata dal full electric di oggi, come si vedrà più avanti). Ben diversa sarebbe la situazione se il prossimo programma della Piaggio riguardasse un business jet, dal momento che la Piaggio è già presente da decenni nel settore degli aeroplani d’affari, un settore che è in piena espansione, con 700 jet venduti ogni anno per un importo di 2 B$, e che sta mostrando una notevole resilienza anche nel presente momento di profonda corsi dell’aviazione. Secondo nostre stime fondate sui dati delle vendite degli ultimi 5 anni, la nostra proposta porterebbe alla Piaggio un fatturato annuo non inferiore ai 500 M€
  • Una nuova tecnologia, per essere usata, deve prima essere posseduta (ovvero deve essere affidabile e sicura). Non si parte con un nuovo sviluppo pensando di sviluppare in corso d’opera anche le tecnologie necessarie, tanto più se si tratta di un elemento chiave come la propulsione: non si riesce nemmeno a dimensionare sensatamente una configurazione. Un progetto serio che ricorra alla propulsione elettrica, in qualsiasi sua forma, deve essere un pezzo di un programma di sviluppo tecnologico, di cui esistono in Europa esempi internazionali e nazionali, e deve prevedere tempi congruenti con la maturazione delle tecnologie necessarie. Per i programmi europei citati sopra, l’orizzonte temporale è di 15-30 anni. (E neanche per allora si prevede che le batterie potranno raggiungere la densità di energia necessaria a sostenere il volo con carico pagante e range confrontabili con quelli ottenibili con i sistemi di propulsione corrente.)

A semplice buon senso sembra ovvio che la strada da percorrere sia orientata a un business jet di nuova generazione, con innovazioni di progetto che gli assicurino un posto di assoluto primo piano nell’agguerrita gamma di concorrenti, capace quindi di prendersi – appena disponibile – una consistente quota del ricco mercato della categoria. Per partire oggi, come è necessario, il progetto deve basarsi su tecnologie ed equipaggiamenti disponibili sicuramente nel breve periodo, ma deve anche avere predisposizioni tali da assicurargli la possibilità di sfruttare le nuove tecnologie della propulsione (quale che siano quelle che emergeranno vincitrici) che matureranno nei prossimi 10-20 anni. In questo modo, lo stesso airframe offrirebbe la base per sviluppi di lungo periodo e potrebbe anche servire, nell’interim, come banco prova.

Su questi princìpi si basa la proposta che è stata sviluppata da un piccolo team di progettisti (esperti e maturi) che rappresento. Questa, secondo la nostra linea, è la strada che dovrebbe aprire alla Piaggio Aerospace la strada del futuro anche a medio e lungo termine. Il tema è importante per l’azienda, per il suo territorio, per l’intero comparto dell’aeronautica italiana, che non brilla per presenza nel settore civile. Può rivitalizzare il mercato del P180: un compratore vuole sempre vedere un futuro nell’azienda fornitrice. È importante per l’azienda nel suo insieme, che comprende una divisione motori di assoluto interesse per molti operatori istituzionali (di elicotteri e degli stessi MB339).

Le affermazioni fatte sopra richiedono una sostanziazione e meritano un approfondimento. I paragrafi che seguono sono dedicati a questi temi, con un metodo che probabilmente sarebbe piaciuto all’ing. Bazzocchi (che non ha bisogno di presentazione: “quello degli MB”), che diceva “Devi convincere anche Pierino, e Pierino sono io”. Fra le infinite informazioni disponibili sulle tecnologie di elettrificazione della propulsione ho cercato di scegliere quelle utili e di presentare un quadro magari elementare, incompleto, certamente perfettibile, ma globale e utilizzabile.

ELETTRIFICAZIONE DELLE AUTOMOBILI E DEGLI AEROPLANI

L’enorme successo della corsa all’elettrificazione degli autoveicoli è sotto gli occhi di tutti, ogni giorno. La filosofia sottostante esposta, molti anni fa, da Elon Musk era e resta tuttora valida, dal punto di vista del risparmio energetico (è assente dal ragionamento dell’articolo, ma potrebbe forse rientrarci, il tema delle emissioni, che vanno viste su scala globale, comprendendo cioè la fase di produzione dell’energia e dei sistemi). In campo automotive, l’accumulo di energia è ottenuto con batterie, anche se studi sono stati svolti per l’utilizzazione di fuel cells funzionanti a idrogeno. Un punto chiave, sempre in questo campo, è il recupero dell’energia di frenata, che rende il consumo minore nel percorso urbano rispetto a quello autostradale. Il punto centrale a favore delle batterie, bene messo in evidenza nel paper di Musk citato sopra, è la possibilità di ottenere un rendimento della generazione di energia a terra molto migliore rispetto a qualsiasi motore automobilistico tradizionale (termico): ne segue che la quantità di energia TOTALE necessaria per una certa energia UTILE per il movimento è minore per le batterie rispetto al combustibile. Il successo della formula è indubbio e l’impiego urbano delle auto elettriche è in crescita: tutti i taxi che ho visto recentemente ad Amsterdam sono Tesla (ma la Prius si era già diffusa, prima, un po’ ovunque). Così, la Tesla è arrivata ad avere una capitalizzazione pari a 100 volte la Rolls Royce motori aeronautici, complici i macroscopici errori di gestione di questa azienda.

L’impiego di questa tecnica per l’aviazione presenta ovvie differenze. Non c’è recupero dell’energia di frenata e le batterie, nonostante progressi continui ma lenti, hanno un peso enorme: ad oggi, l’energia specifica di una batteria al litio (250 Wh/kg ≈ 0,9 MJ/kg) è quasi 50 volte inferiore a quella del jet fuel (43 MJ/kg). Considerando il rendimento di un motore elettrico, col relativo sistema e l’elica o un fan, e quello, molto inferiore, di un sistema che comprende un motore termico, il rapporto fra energie “utili” è minore di 20. Queste informazioni hanno ormai raggiunto la stampa (aeronautica) generalista, dove un’uscita di Elon Musk che prevedeva il sorpasso delle batterie sul kerosene al raggiungimento di 400 Wh/kg, previsto forse per il 2035 è stata contestata con ottimi argomenti.

È certamente vero, come la nota di Musk dimostra, che le batterie offrono la migliore soluzione esistente per il risparmio di energia. Ma i “duri fatti” che ne limitano l’impiego, in aviazione, come solo “serbatoio di energia” si riassumono in una sola parola: peso.

Qualsiasi progetto aeronautico ha il peso come parametro essenziale, da cui dipende la fattibilità e la sopravvivenza; in ogni progetto sano, il contenimento del peso è visto come una necessità assoluta per la missione e per la stessa capacità di alzarsi da terra. Uno “sforamento” del peso target ha comportato l’annullamento di innumerevoli progetti, nella storia dell’aviazione. Vediamo prima un riferimento noto: la Tesla 3 ha, di tutti i modelli, le batterie più leggere per il caso “long range” (500 km dichiarati); la loro hanno densità energetica è 150 Wh/kg, il peso 480 kg, il volume 400 litri. Anche considerando opzioni con batterie molto più performanti, come indicato nel paragrafo precedente, un aereo che oggi imbarca 2500 kg di jet fuel (valore tipico per un medio aeroplano da affari o un piccolo regionale) dovrebbe portare 40 tonnellate di batterie. Col progresso previsto dalle stesse fonti citate sopra, fra 15 anni basterebbero “solo” 27 tonnellate e fra 30 anni, forse, “solo” 6000 kg con batterie di nuovo tipo come Li-air (senza poi parlare del volume). Le implicazioni sul progetto sono più che evidenti ed è inutile perderci tempo. (In realtà, è ovvio e intuitivo che ogni aumento del peso dell’aeroplano comporta il ridimensionamento della struttura, degli impianti, del combustibile per mantenerne le capacità di missione: chi mastica i rudimenti della progettazione conosce il “growth factor” dei testi di progetto, dal Roskam al Raymer etc. Senza contare che, oggi, il peso di ogni aeroplano si riduce durante il volo, e questo influisce in modo sensibile sui consumi, mentre con le batterie il peso resta costante e in futuro, con le batterie Li-air, potrebbe addirittura aumentare in volo). In sintesi: usando le batterie come il solo serbatoio di energia, per un progetto minimamente realistico l’autonomia deve essere necessariamente molto limitata. Ecco perché gran parte delle iniziative in questo settore mirano al trasporto urbano (UAM) oppure a missioni cortissime da General Aviation, spesso di addestramento. In questa categoria ricade il progetto Airbus E-Fan di cui era prevista la produzione, poi cancellata perché Airbus decise di dedicarsi a una, ben più ambiziosa, soluzione di velivolo regionale ibrido.

I PROGETTI PIÙ AMBIZIOSI DI AEROPLANI ELETTRIFICATI

Lasciando ora da parte il campo degli UAM per dare un’occhiata ai progetti di classe più alta, si trova una grande varietà di proposte, solo alcune delle quali sono mostrate nelle figure che seguono, per tentare qualche valutazione di larga massima. Si distinguono sostanzialmente due categorie di sistemi propulsivi: quelli full electric a batterie (molti con motorizzazione suddivisa fra più propulsori) e quelli ibridi. Del primo sistema, si è detto sopra. Non si contano le iniziative nella General Aviation, con autonomia generalmente limitatissima. A una classe superiore appartengono le iniziative della Magni-X; le realizzazioni presentati finora sono retrofit di aeroplani esistenti, limitati a viaggi molto brevi (15-60 min, 160 km) con sostanziali miglioramenti previsti nei prossimi anni. Il programma più ambizioso della MagniX (che prevede però, nel suo sito, di sviluppare anche sistemi a idrogeno) è Eviation Alice, che promette 440 nm di autonomia per 9 passeggeri, usando 3600 kg di batterie (60% del peso al decollo; di tipo Li-ion da 260 Wh/h). Il primo volo era previsto nel 2019 ma il prototipo fu distrutto da un incendio a gennaio 2020. Un nuovo prototipo è in costruzione. In questa categoria cade anche la recentissima iniziativa francese di Aura: un aereo regionale con 19 posti, che conta su “specially-developed batteries”, è sostenuto da 3-5 milioni della Regione Occitania e di cui si prevede il primo volo nel 2024 e l’ingresso in servizio nel 2026.

Alla stessa categoria appartiene l’iniziativa di Heart Aerospace il cui progetto, anche se chiaramente embrionale, promette di portare 19 passeggeri a 400 nm nel 2026. Certamente seguiranno altre iniziative, il cui tallone di Achille sarà sempre e comunque la ridottissima autonomia ottenibile con un carico plausibile di batterie; e infatti, anche questi progetti sono spesso dedicati alle comunicazioni in aree metropolitane. 

È importante rilevare che il mercato per questo segmento di piccoli aerei regionali da max 19 posti (quelli esistenti offrono autonomie da almeno 1200 km) è morto ormai da decenni, come mostra la figura che segue. Visto il continuo aumento delle iniziative in questo campo, è difficile sfuggire all’impressione che queste imprese siano propulse dalla onda emotiva del momento, in cui la transizione alle energie rinnovabili annunciata da parecchi governi viene scambiata per un Eldorado, senza i necessari approfondimenti.

Altri progetti fanno affidamento a soluzioni ibride, con un motore termico che genera energia per motori elettrici e batterie in quantità limitata, solo per certe fasi di volo. Qui sembra che il progetto debba necessariamente affidarsi ai vantaggi che derivano dal dimensionamento del motore termico per la sola crociera, affidando al sistema elettrico la gestione della potenza supplementare necessaria per le fasi terminali e la salita. In questo caso la presenza a bordo di jet fuel può ancora fornire autonomia sostenuta.

Nel settore esiste una vittima illustre: l’aeroplano regionale full electric Zunum, progettato per viaggi “to a thousand miles” e che pure aveva avuto l’appoggio di Boeing, ha interrotto le attività e licenziato l’intero staff per mancanza di finanziamenti successivi a quelli iniziali (qualche decina di M$). Propulsione ibrida col motore GE Catalyst ha il Trifan, a metà strada fra la UAM e il trasporto regionale, con straordinarie capacità (decollo verticale, 6 posti, 1200 nm di autonomia con decollo convenzionale) e tecnologie (comandi FBW, struttura in carbonio, Embedded Solar Film for ground power, Full Airframe Parachute). Difficile giudicarne il realismo, con i pochi dati disponibili (per esempio, nessun dato di peso). Le ultime notizie risalgono al 2019, quando un modello in scala 65% si sollevò in volo vincolato e successivamente fu scelto il motore per la serie.

Sempre britannica è la Faradair, che propone un velivolo da 18 posti con una configurazione aerodinamica a “triple box wing”. L’annuncio è dello scorso anno. Il progetto deriva da un full electric del 2014 e il primo volo è previsto nel 2026. Pochissimi i dati disponibili.

È stato recentemente rivelato il progetto di un aeroplano commerciale ibrido: il regionale britannico da 70 posti della EAG, che prevede il volo nel 2024 con un costo di programma di 5 B£st . Alla soluzione ibrida i progettisti sono arrivati dopo avere constatato che un aereo da 20 posti a batterie avrebbe, realisticamente, un range di una manciata di kilometri: “you can’t fly a meaningful distance”.

Il Regno Unito sembra avere un serio piano di investimenti e ricerca nel campo della propulsione ibrida che mira a un esito industriale nel 2030-2040, come si vede dal programma UE FutPrint, a cui partecipa l’Università di Cranfield, il riferimento universitario britannico per questa attività.

Tuttavia una recente decisione dell’Airbus merita una riflessione. Come indicato sopra, Airbus aveva lanciato, con Rolls Royce e Siemens, un ambizioso dimostratore denominato E-Fan X: un BAe146 (il “Jumbolino”) nel quale uno dei quattro motori veniva sostituito da una ventola azionata da un motore elettrico Siemens da 2 MW, a sua volta alimentato da un motore termico a turbina e da un pacco di batterie da 2000 kg. Questo dimostratore doveva volare nel 2021, ma il programma è stato fermato nell’aprile 2020. Il motivo è l’orientamento strategico di Airbus verso l’impiego dell’idrogeno come futura fonte di energia per la propulsione dei suoi aeroplani. A conferma e chiarimento di questa decisione, Airbus ha coordinato una ampia overview nella quale vengono presentate le idee sulle future piattaforme Airbus di ogni categoria, dall’aeroplano da 19 posti al regionale da 80 posti (visto ovviamente come sostituto degli ATR) fino ai liner di grandi dimensioni; in particolare, “H2-powered commuter, regional, and short-range aircraft could be commercially available in the next 10-15 years.

L’IDROGENO NELL’AVIAZIONE FUTURA: LA VISIONE DI OGGI

L’impiego dell’idrogeno come serbatoio di energia per certi sistemi imbarcati è allo studio da molto tempo, ma per la propulsione aeronautica presenta aspetti molto importanti e particolari. Si parla, naturalmente, di usarlo non per la combustione, il cui rendimento termodinamico sarebbe molto basso, ma per generare direttamente elettricità, con celle a combustibile. La stessa produzione mondiale dell’idrogeno ricorre, per la quasi totalità, a fonti non rinnovabili, ma la produzione di idrogeno “pulito” potrebbe avvicinarsi rapidamente.

Intanto, l’energia specifica dell’idrogeno (120 MJ/kg) è quasi tripla rispetto al jet fuel. Purtroppo, la sua densità è molto bassa e deve essere aumentata o con la compressione (GH2, solitamente proposta a 700 bar) o con la liquefazione (LH2, a temperatura di circa -250° C) o con entrambi, “criocompresso” (CcH2). Queste soluzioni non sono indolori. Il peso dei serbatoi (progettati per la pressione e/o per la bassissima temperatura) è sempre maggiore – se non molto maggiore – di quello del contenuto. Nel caso dell’idrogeno liquido la liquefazione a terra comporta un notevole consumo, mentre in volo, detraendo quella di liquefazione, l’energia disponibile risulta ridotta di oltre un terzo, più le perdite legate al fatto che l’ebollizione (boil-off), che necessariamente si verifica in serbatoi non completamente adiabatici, non sempre corrisponde alla quantità necessaria per la propulsione. Ma, anche se compresso o liquefatto, la densità dell’idrogeno resta molto bassa rispetto al jet fuel e richiede un volume dei serbatoi molto più alto (a parità di energia, orientativamente, da 4 a 8 volte maggiore). In sintesi, l’idrogeno è una fonte di energia estremamente attraente per contenuto energetico, per pulizia ambientale, per abbondanza in natura (anche se sempre in combinazione con altri elementi). Ma la sua utilizzazione richiede conoscenze e tecnologie ancora non interamente acquisite e criteri di progetto non applicati per i velivoli in uso oggi.

Il modo più elementare, ma qui forse più efficace, di valutare il potenziale dell’idrogeno per l’aviazione consiste nel dimensionare (spannometricamente) un futuro impianto di propulsione con questa nuova tecnologia e confrontarlo con un sistema corrente. Per un confronto significativo si imporrà, come già fatto sopra per il caso delle batterie, di ottenere alla fine la stessa energia utile, a fini propulsivi, di un medio aeroplano da affari o un piccolo regionale che oggi imbarcano 2500 kg di jet fuel.

Il nuovo sistema di propulsione considerato comprende quindi l’idrogeno con i relativi serbatoi, le celle a combustibile, il sistema di distribuzione dell’energia elettrica, una dotazione minima di batterie per gestire almeno le emergenze, i motori e le ventole. Le valutazioni che seguono sono del tutto grossolane, ma gli ordini di grandezza che ne escono difficilmente possono lasciare dubbi.

Una considerazione preliminare, sempre per un medio aeroplano da affari o un piccolo regionale: il rendimento dei sistemi di propulsione di oggi (a getto o ad elica), che usano jet fuel, inteso come rapporto fra la potenza utile (= trazione x velocità) e contenuto energetico del combustibile, non è lontano dal 20%. Questo dato, indicativo, è ricavabile facilmente dai dati dei costruttori, pesando le varie condizioni di volo. Se lo stesso calcolo viene svolto per un sistema basato sull’idrogeno, si ottiene un’efficienza grosso modo doppia, riferita naturalmente all’energia disponibile (che, come detto sopra, è minore per l’idrogeno liquido). Ovviamente, questo non è un risultato immutabile ma è funzione della tecnologia usata (rendimenti dei componenti), che migliorerà certamente col tempo.

Da questi migliori rendimenti deriva che, a pari energia utile, l’energia da imbarcare sotto forma di idrogeno è minore, rispetto al jet fuel. Il peso dell’idrogeno necessario (che, ricordiamo, ha una energia specifica altissima) è quindi molto minore del jet fuel.

Purtroppo, però, ci sono aspetti negativi: il peso dei serbatoi (anche se ben diverso per l’idrogeno compresso e quello liquido) inverte la precedente conclusione, almeno con la tecnologia di oggi: il “sistema” idrogeno più serbatoio pesa più del “sistema” jet fuel più serbatoio. Ma le attività di ricerca in questo campo, come nel campo dei sistemi necessari per la propulsione a idrogeno (fuel cells, motori, inverter, distribuzione, ovviamente batterie) sono in grande fermento. Le previsioni disponibili configurano un ampio ventaglio di scenari, riassunte anche in tesi universitarie (si vedano i ringraziamenti più avanti) e i dati forse più realistici sono forniti e usati nella pubblicazione Airbus già citata. Tutte concordano sul fatto che nell’arco di 15 anni il progresso sarà tale da ridare una posizione di vantaggio ai sistemi fondati sull’idrogeno.

Da questo quadro emerge chiaramente la conclusione, ampiamente condivisa, che la tecnologia disponibile nel 2035 permetterà di realizzare impianti di propulsione a idrogeno con peso non maggiore degli impianti di oggi, che usano jet fuel, e con un consumo più ridotto di energia, naturalmente a parità di energia utile disponibile a fini propulsivi. Sono già in corso iniziative di sperimentazione, come la Zeroavia, di questo sistema in volo, usando inizialmente piattaforme esistenti. La figura accanto, copiata dal sito dell’azienda, illustra la visione a lungo termine. Resta, tuttavia, da mettere in conto l’aspetto del volume necessario, che nel caso della propulsione a idrogeno è sempre molto maggiore e tale da precludere, ragionevolmente, ogni tentativo di convertire (se non, forse, con obiettivi limitati a fini sperimentali) le cellule esistenti. In altre parole, l’uso dell’idrogeno porterà necessariamente a progetti con forme e soluzioni nuove e diverse da quelle attuali.

A conclusione di queste considerazioni estremamente sintetiche, e necessariamente superficiali, sull’elettrificazione nell’aviazione, non si può non notare che, quale che sia la strada che si vuole intraprendere in futuro, per arrivare a progetti credibili occorrono decisivi passi avanti rispetto a quanto disponibile oggi: tipicamente nell’energia specifica delle batterie, nell’efficienza dei motori (che deve essere altissima anche per evitare grossi problemi di smaltimento del calore), nell’efficienza delle fuel cells, nel progetto di serbatoi criogenici e/o ad altissima pressione, nella generazione e distribuzione di grandi potenze elettriche che necessariamente comportano altissima tensione.

Nessuna considerazione è stata dedicata agli aspetti di sicurezza, a quelli logistici e di infrastrutture, a tutto quanto riguarda la produzione e utilizzazione a terra dell’energia necessaria, come anche alla valutazione delle emissioni gassose e magari degli aspetti legati da una parte all’estrazione e uso dei combustibili fossili, dall’altra alle terre rare necessarie per l’elettrificazione: temi assolutamente vitali, ai quali però, in un articolo come questo – già troppo lungo anche se concentrato solo sulla possibile forma delle “things to come” – non si può nemmeno accennare.

IL FUTURO DI PIAGGIO AEROSPACE

Le considerazioni esposte finora meritano di essere applicate al caso, oggi caldissimo, della Piaggio Aerospace, il cui travagliato iter di vendita sta volgendo a conclusione, sotto le gestione commissariale.

Sul tema vorrei prima riferirmi al precedente articolo di dicembre sullo stesso tema, nel quale tentavo, ovviamente da osservatore esterno, di delineare una strada di recupero dell’azienda, che prevedeva il rientro nel suo filone elettivo degli aeroplani di affari: un tema per cui la Piaggio ha le competenze, un mercato nel quale ha già (avuto) una collocazione e che, come si ricava dal panorama che è sotto gli occhi di tutti, può dare grandi soddisfazioni alle aziende che riescono a starci. In questo quadro risultava chiaramente necessario prevedere un nuovo prodotto, che il team di progettisti di cui faccio parte ha individuato e progettato, a livello concettuale: un business jet radicalmente innovativo, progettato per emergere già con le tecnologie correnti ma predisposto, come nessun aereo esistente, per il futuro.

Una recente presa di posizione da parte di una delle cordate in lizza per l’acquisto mette l’accento sull’elettrificazione come punto qualificante per lo sviluppo di un nuovo piccolo aeroplano regionale che viene proposto come il futuro prodotto di punta della Piaggio. Su questo tema vorrei proporre qualche considerazione, legata anche a quanto detto nei paragrafi precedenti.

Intanto, qualche considerazione preliminare sulla categoria degli aerei regionali. Ripeto qui quanto già indicato in un precedente paragrafo. Il mercato è quasi totalmente assorbito dalla categoria 60-80 posti e quello dei “piccoli” regionali (fino a 19 posti possono essere certificati secondo la Part 23 di FAA ed EASA) risulta quasi inesistente: dopo la cessazione della produzione di Beech 1900 e Jetstream resta, praticamente, solo il Do228 (in India). Altro tema interessante è l’autonomia che, per tutte le classi, è mediamente compresa fra 1100 e 1500 km. Ora, come si è dimostrato sopra, per autonomie come quelle correnti o previste a medio termine il peso delle batterie è del tutto proibitivo e occorre ripiegare su valori molto inferiori. Ogni alternativa – quelle in corso di studio sono la propulsione ibrida o a idrogeno – richiede un piano di ricerca a lungo termine, come quello che sta prendendo forma in UK, ma con l’occhio almeno al 2035. Non, quindi, con tecnologie disponibili, non con uno sviluppo immediato. L’apparire di una nuova tecnologia, ancora in massima parte da sviluppare, da sola non giustifica uno sviluppo e non dà un futuro a un’azienda in cerca di un ruolo, se non – appunto – con un ragionevole orizzonte temporale, in questo caso di almeno 15 anni, come per i citati programmi britannici o di Airbus (e dopo avere accertato i motivi per cui un mercato, come quello dei piccoli aerei regionali, fermo da vent’anni, dovrebbe ripartire con un nuovo aeroplano, per quanto innovativo). È illusoria ogni pretesa di arrivare a uno sbocco industriale in tempi brevi e/o senza un preciso piano di ricerca e maturazione delle tecnologie necessarie.

Ben diversa da quella dei piccoli regionali è la situazione di mercato dei business aircraft, in cui la Piaggio è presente, e in particolare dei jet.

I grafici che seguono mostrano le consegne e i fatturati e parlano da soli: anche solo nella categoria light / mid size, le vendite si contano in centinaia all’anno, i ricavi sono dell’ordine dei 2 B$ all’anno e il mercato è resiliente: non mostra, cioè, il crollo di vendite che si è ampiamente verificato nell’aviazione commerciale.

La Piaggio Aerospace ha tentato, in passato, di entrare in questo campo estremamente redditizio, ma senza successo.

Oggi, in particolare, si può entrare nel club – che è affollato da attori esperti e affermati – solo con un programma ben concepito e lungimirante.

Un’altra considerazione è importante: l’irruzione di una nuova tecnologia, anche dirompente, non comporta la riduzione di attenzione nei tradizionali campi di progetto. Quando si resero disponibili i comandi di volo Fly By Wire, non per questo (nonostante il parere di alcuni colleghi poco illuminati) venne a scemare la cura del progetto aerodinamico. Nello stesso modo il successo di un nuovo progetto, anche destinato a impiegare un sistema di propulsione innovativo, deve presentare caratteristiche di innovazione e superiorità nell’airframe: aerodinamica, strutture, abitabilità; tanto più, in presenza di un mercato affollato e aggressivo – ma ben redditizio – come quello dei business jet.

L’idea del team che rappresento, come già delineata nel precedente articolo, consiste proprio nel progetto di una configurazione di business jet radicalmente innovativa anche nel layout che tiene conto delle regole ambientali sempre più stringenti e mira a un’assoluta superiorità di mercato. Punti qualificanti sono un’architettura strutturale molto razionale, con vantaggi di peso, un’efficienza aerodinamica superiore, un livello di abitabilità e comfort senza paragoni; infine, la disponibilità e collocazione di volumi che rendono possibile la transizione ai nuovi sistemi di propulsione basati sull’idrogeno, quando saranno disponibili. Con questo la Piaggio potrebbe disporre di un nuovo aeroplano leader nella sua classe, già con le tecnologie correnti, subito dopo lo sviluppo, e pronto a trarre vantaggio, senza radicali cambiamenti della cellula, dei nuovi sistemi di propulsione previsti per il 2035.

Naturalmente, uno sviluppo di questa entità ha un costo non certo modesto, bene al di là degli 80 M€ del Recovery Plan. Il costo di sviluppo e certificazione di un medio business jet è dell’ordine di 500 M€ (o maggiore, se fosse necessario uno sviluppo di tecnologie non correnti), non dissimile da quello che richiederebbe un piccolo aeroplano regionale. Ma, contrariamente al piccolo regionale per il quale, abbiamo visto, il mercato è pressoché inesistente da decenni, uno sbocco nel mercato dei business jet col velivolo giusto assicurerebbe, secondo nostre stime fondate sui dati delle vendite degli ultimi 5 anni, un fatturato annuo non inferiore ai 500 M€ e avrebbe anche due effetti non certo secondari: rivitalizzare il mercato del P180, che rimarrebbe stagnante se il costruttore non mostrasse segni di vitalità, e anche rassicurare, sul futuro dell’azienda, i clienti della divisione motori (molti istituzionali, operatori di elicotteri come degli MB339) sul futuro. La capacità, garantita dal progetto, di dare luogo a versioni future ancora più innovative non solo aprirebbe una finestra sul futuro ma sarebbe subito un elemento di attrazione.

Piaggio Aerospace merita di avere fiducia per poi camminare con le sue gambe. L’esempio recente della vicinissima Pilatus (dove c’è una importante presenza di Italiani anche nella progettazione) è una dimostrazione di quanto anche Piaggio potrebbe ottenere.

 

**********

Ringraziamenti. Ho un debito di riconoscenza verso il prof. Trainelli, del Politecnico di Milano / DAER e i suoi colleghi, da sempre molto attivi nel campo del progetto di velivoli con soluzioni innovative della propulsione. Le tesi e pubblicazioni del Poli, oltre a una tesi della TUM di Monaco, e le relative bibliografie, mi hanno fornito gran parte delle informazioni che mi sono servite per questa nota. Naturalmente, solo mia è la responsabilità delle affermazioni e degli eventuali errori.

Nota: i link nell’articolo, che intendono solo puntare a esempi di quanto è disponibile in rete, sono attivi nel momento in cui scrivo ma il contenuto di alcuni articoli può cambiare, come è comprensibile dato che il tema trattato è attraente e in evoluzione tumultuosa.

Back To Top