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Piaggio

Quale sarà il futuro di Piaggio Aerospace?

Con la nuova, futura, proprietà la Piaggio deve disporre delle risorse necessarie allo sviluppo di un nuovo business jet. L'intervento di Paolo Mezzanotte

 

La Piaggio ha una lunga storia, non sempre di successi ma mai banale. A me personalmente, il nome richiama alla memoria l’unico concorrente della coppa Schneider senza scarponi (PC7), il solo bombardiere quadrimotore italiano (P108, su cui trovò la morte Bruno Mussolini) e, in tempi più recenti, gli addestratori primari ad elica come il P148 e i ripetuti tentativi di inserimento nell’aviazione d’affari col P166, PD808 e P180, fino all’abortito P-1XX; per non parlare dei progettisti, da Pegna a Corradino D’Ascanio fino a Mazzoni e Morelli che ebbi la fortuna di incontrare, insieme al dott. Piaggio, negli anni ’80. Insomma, una storia di progetti originali, che non abbondano nel panorama industriale nazionale di oggi.

L’attuale sofferenza dell’azienda, dopo le note vicende dei passaggi di proprietà e dell’avventura del P-1HH, merita di risolversi positivamente, per chi opera nell’azienda e per l’Italia. Anche perché l’azienda sembra avere conservato gran parte delle sue capacità di gestione dei progetti e anche di innovazione, nonostante la lunga crisi. La storia recente dell’industria aeronautica italiana non è esattamente una storia di brillanti scelte e di successi. È invece la storia, piuttosto grigia, di come le notevoli capacità aeronautiche del nostro Paese siano state spesso disperse, mentre il resto del mondo andava avanti. In quanto segue, parlando della Piaggio, ci si limita agli aeroplani. Le attività motoristiche sono state e sono essenziali per l’azienda, ma non sono oggetto di queste note.

AVIAZIONE MILITARE E AVIAZIONE LEGGERA: CENNI STORICI COMPARATIVI SU AERMACCHI, PIAGGIO, PILATUS

In Italia non mancarono iniziative pionieristiche in campo civile, fin dall’immediato dopoguerra.

Limitandoci all’Aermacchi, l’ing. Ermanno Bazzocchi progettò l’MB308, il cui prototipo, costruito clandestinamente, prese il volo il giorno dopo la rimozione delle limitazioni post-belliche e che fu poi adottato dall’AM, poi dagli Aeroclub italiani e costruito su licenza in Argentina. Poi, l’MB320 del 1949, vero precursore dell’aviazione d’affari, che avrebbe potuto avere un grande successo commerciale (è eclatante l’immagine dell’imbarco della principessa Margareth nelle colonie britanniche), ma richiedeva uno sforzo di investimenti e di trasformazione aziendale che probabilmente non era alla portata degli azionisti.

La maggiore redditività dei programmi militari finì per affossare queste iniziative davvero lungimiranti e le infinite proposte successive di Bazzocchi non uscirono mai dall’ambito del progetto preliminare. L’Aermacchi trovò grandi soddisfazioni con gli addestratori MB326 e MB339, di cui furono prodotti complessivamente un migliaio di esemplari. Molto minore soddisfazione riservò l’AM-X in collaborazione, mentre oggi l’M346 è rimasto il solo jet italiano sulla scena internazionale sulla quale si affaccia anche l’M345, ma le prospettive di mercato non sono quelle dei decenni precedenti (e la superiorità tecnico-operativa non è certo più quella dell’M326).

La Piaggio ha una lunga storia, nel dopoguerra, di sviluppi di velivoli leggeri, dagli anfibi all’addestratore iniziale P148, ma soprattutto il suo coinvolgimento nel campo degli aeroplani d’affari cominciò molto presto. È degli anni ’60 del secolo scorso lo sviluppo del bimotore a getto PD808, in collaborazione con la Douglas: impresa davvero pionieristica e lungimirante di sviluppo di un progetto di Heinemann, a cui partecipò l’ing. Mazzoni, ma a cui venne a mancare il partner americano e quindi il successo commerciale. Negli anni ’80 l’entusiasmo di Mazzoni e del dott. Piaggio portò allo sviluppo del P180 bi-turboelica, di formula avveniristica e non convenzionale, le cui caratteristiche uniche sono l’ampia abitabilità e le velocità prossime a quelle dei jet. La formula meritava un successo migliore di quello che ebbe in realtà, per motivi probabilmente legati alle partnership e a diversi aspetti produttivi, a cui si fa cenno più avanti.

A metà degli anni ‘50, mentre Bazzocchi disegnava l’MB-326, alla vicina Pilatus in Svizzera si cimentavano nello sviluppo del PC-6, un velivolo civile destinato ad un gran successo commerciale (probabilmente ben oltre le aspettative), ma tecnologicamente e costruttivamente molto indietro rispetto a quello che l’Aermacchi sapeva esprimere allora. Oggi le parti si sono invertite: la Pilatus negli ultimi venti anni ha sviluppato e certificato in totale autonomia tecnologica e finanziaria due velivoli: il PC-21, un addestratore militare turboelica avanzato ed il recentissimo PC-24, un business jet da 8300 kg al decollo che ha venduto 84 unità nel giro di 72 ore dal giorno della presentazione al pubblico e ora si avvicina probabilmente ai 200 ordini. Nello stesso lasso di tempo l’azienda svizzera, oltre ai due prodotti appena citati, ha certificato tre versioni più pesanti ed evolute del PC-12.

In realtà, il punto di svolta delle due storie è ancora un po’ più a monte, più o meno nella seconda metà degli anni 80’, quando la gestione della Pilatus decise di sviluppare e produrre un velivolo di aviazione generale ma unico nel suo genere: il PC-12. La decisione di impegnarsi in quel progetto fu una decisione molto sofferta e non unanime, ma coloro che scommisero su quel prodotto ebbero ragione: dalla prima certificazione nel 1995 ad oggi sono stati venduti quasi duemila velivoli di quel tipo. Il PC-12 ha fatto e fa ancora la fortuna della Pilatus ed ha portato un flusso di cassa continuo, tra una commessa per addestratori militari e l’altra, tale da poter finanziare il progetto del PC-24.

Nello stesso periodo, da metà degli anni novanta ad oggi, se da un lato la Piaggio perdeva di vista il “bill of materials” del P-180 Avanti (uno dei problemi del P-180 è il costo di produzione), dall’altro all’Aermacchi ci si concentrava solo nel settore militare. Ma i numeri non danno ragione alle nostre aziende, come mostrano i due grafici. A parità (all’incirca) di strutture e di impiegati, se i numeri di Pilatus sono quelli di un’azienda in piena salute, quelli nazionali indicano una situazione di sofferenza. Nel caso di Piaggio, questo è diventato di pubblico dominio solo nel 2019. Il caso di Aermacchi/Leonardo (ala fissa) è già oggetto di preoccupazione. La sofferenza degli airframer si riflette sull’indotto (normalmente molto importante) che orbita attorno ad un costruttore aeronautico e sui nostri neo-laureati in ingegneria aeronautica, molti dei quali emigrano all’estero, disperdendo altre risorse generate a spese del Paese.

È forse il corso degli eventi appena raccontato, o la più facile strada delle commesse statali soprattutto militari, la causa del generalizzato disinteresse da parte delle istituzioni e della maggiore industria nazionale (Leonardo) verso l’aviazione d’affari.

UNO SGUARDO ALLA PIAGGIO DI OGGI E UNA PROPOSTA PER IL FUTURO

Le dimensioni della Piaggio sono simili a quelle che aveva l’Aermacchi quando ci entrai e sembrano sufficienti per padroneggiare un programma complesso come quello di un moderno business jet. Nello stesso tempo, un’azienda di medie dimensioni può meglio mantenere l’agilità di pensiero e di azione che sono essenziali sempre, e oggi più che mai. Le capacità e le tecnologie, finora applicate a prodotti di limitato successo commerciale, sono tuttora disponibili. E soprattutto l’azienda opera già nel settore degli aeroplani d’affari: un settore molto sottostimato in Italia e che merita ben maggiore attenzione, per le dimensioni imponenti del mercato e (se vengono controllati gli elementi di costo di produzione) gli elevati margini di profitto. Questo tema merita di essere approfondito.

Un dato eclatante riguarda il giro di affari dei business jet, riassunto nei dati che seguono (tutti di fonte GAMA).

 

Il primo grafico indica le vendite annuali, il secondo illustra qualche storia di successo. Si tratta evidentemente di numeri molto importanti. Il prezzo unitario di vendita degli aeroplani illustrati nel secondo grafico va da 10 a 70 M$: questa gamma è del tutto analoga a quella della categoria composta dai jet trainer avanzati fino ai fighter di classe alta (e si deve considerare che, per gli aeroplani militari, il prezzo comprende una quota di prodotti e servizi accessori – simulatori e mezzi di terra, addestramento, ricambi iniziali – molto più alta che nel civile). Ma, come si è visto sopra, il mercato attuale dei business jet appare qui molto più ampio di quello dei fast jet militari.

Esistono casi ben noti di aziende che compensano, con prodotti civili e militari, l’andamento irregolare del mercato. La Dassault riuscì, proprio col suo settore di business jet di alta gamma, a superare la grande e lunga crisi del militare iniziata trent’anni fa. E, come si è detto, la Pilatus è un altro esempio di grande successo di questa strategia basata su prodotti civili e militari. Non è inutile aggiungere che fino a pochi anni fa la Pilatus aveva dimensioni e capacità non dissimili dalla Piaggio ed è poi cresciuta trovando nel successo di ogni prodotto le risorse interne per sviluppare il successivo; e che vi opera una importante componente di progettazione italiana. E non è ozioso chiedersi perché mai un successo come questo non potrebbe trovare posto in Italia.

Nel settore dei business jet la Piaggio può trovare una sua solida collocazione futura, sfruttando le sue capacità e la sua esperienza specifica. Quello dei business jet è, come detto sopra, un settore che può riservare grandi soddisfazioni, ma solo a patto di muoversi correttamente. Le aziende che operano in questo campo sono parecchie e detengono saldamente le loro fette di mercato dove godono di altissima reputazione. Lo studio del Piaggio P-1XX fu svolto, da quanto si può capire, sotto la spinta di uno dei precedenti azionisti esteri. Si trattava di un business jet transatlantico di classe alta, che avrebbe segnato una discontinuità rispetto al P180 da tutti i punti di vista. Il programma fu cancellato dopo il ritiro degli azionisti stranieri ma potrebbe essere stato inserito nel piano industriale proposto agli interessati nel corso del processo di vendita in corso, gestito dal commissario straordinario. Il programma è particolarmente impegnativo e porterebbe l’azienda a competere direttamente con giganti come Gulfstream, Embraer, Textron e Bombardier. D’altra parte, in ogni segmento di mercato la concorrenza è intensa: non ci sono più nicchie lasciate vuote dagli altri costruttori.

Una proposta alternativa è stata sviluppata da un piccolo team di progettisti di lunga esperienza, di cui faccio parte, con l’uso di strumenti moderni di progetto. Si tratta di una soluzione radicalmente innovativa anche nel layout, ma basata (in parte) su studi noti e consolidati, che tiene conto delle regole ambientali sempre più stringenti e mira a un’assoluta superiorità di mercato. L’architettura strutturale è molto razionale, con vantaggi di peso; l’efficienza aerodinamica è superiore. In sintesi, si riesce a offrire caratteristiche globali superiori a quelle della classe mid size pur restando entro limiti di peso e propulsione tipici dei business jet della classe light, certificabili in FAR/CS23 (peso max 8.600 kg), con possibili versioni successive nella classe superiore. Risulta che, prima di rivolgersi a soluzioni più ambiziose dietro la spinta di uno dei passati azionisti, studi interni di Piaggio avevano indicato preferenza per un prodotto futuro in questa classe. Lo studio (“XBJ”) è stato svolto a livello concettuale. Se i risultati saranno confermati da una verifica industriale approfondita, si conclude che l’XBJ può attaccare due segmenti di mercato dell’aviazione d’affari e una razionale previsione di vendita è di 50 XBJ (per 500-600 M$) all’anno.

Naturalmente, anche la Piaggio ha operato recentemente nel militare. Le vicende del P-1HH e del progettato P-2HH sono complesse e anche dolorose, per la mancanza di sbocchi. Quello che certamente resta del programma è l’esito dell’imponente sforzo fatto per sviluppare in casa certe tecnologie specifiche di controllo e mission management necessarie per un pattugliatore non pilotato. Non risulta, oggi, nessun interesse operativo militare, né sono stati fatti sforzi per proporre questi asset nazionali nei programmi internazionali a cui l’Italia partecipa. Ma molte di queste stesse tecnologie sono certamente utili per un futuro business jet.

Per un breve periodo, nel 2018, fu ventilato lo sviluppo e l’acquisto da parte dell’AM di 20 P-2HH, con uno stanziamento di 766 M€. Un importo parecchio inferiore a questo permetterebbe lo sviluppo dell’XBJ, le cui prospettive di vendita sono incommensurabilmente più ampie; e con queste, gli ovvi vantaggi di occupazione, sviluppo tecnologico, immagine dell’industria nazionale.

CONCLUSIONE

Il nuovo corso della Piaggio non può non comprendere un piano strategico che indichi il prodotto futuro che terrà in vita l’azienda nei prossimi anni e decenni. La conclusione del team che rappresento è che la strada più promettente, e forse unica, per dare alla Piaggio un futuro stabile, sta nello sviluppo di un nuovo business jet che, grazie alle sue caratteristiche innovative, si possa affermare in un mercato molto ricco ma saturo di prodotti convenzionali. Il mercato di questi aeroplani è estremamente consistente e in continuo rinnovamento da parte di aziende che hanno una posizione consolidata. Entrare in questo club può rappresentare il punto di svolta per Piaggio, a patto che questa porti un prodotto davvero innovativo. Una soluzione adatta è stata individuata e sviluppata, a livello concettuale, sfruttando tecnologie moderne ma disponibili e alla portata dell’azienda ed è stata proposta alla Piaggio per un approfondimento, quando le condizioni al contorno lo permetteranno. Una valutazione realistica mostra che le vendite permetterebbero all’azienda di entrare in pieno, e stabilmente, come leader nel mondo dell’aviazione d’affari. Questa strada è stata percorsa con successo dalla Pilatus, un’azienda situata poco oltre i confini italiani, che ha avuto uno sviluppo davvero impressionante basato su scelte innovative ma realistiche e sull’estrema serietà di ogni componente aziendale.

Con la nuova, futura proprietà la Piaggio deve disporre delle risorse necessarie a questo scopo (circa 500 mln di euro e un tempo di sviluppo dell’ordine di 6-7 anni). Le risorse attuali, meritoriamente messe a disposizione a vario titolo attraverso commesse pubbliche, contribuiscono a garantire la sopravvivenza per forse due o tre anni, ma il futuro all’azienda sta necessariamente in un nuovo sviluppo che faccia ricorso a tecnologie moderne – ma assolutamente alla portata dell’industria italiana – per ottenere un business jet che si guadagni un ampio spazio di mercato. Lo sforzo necessario a questo scopo e è notevole, in termini di investimenti, di costruzione di capacità interne, forse di alleanze internazionali, certamente di tempi di sviluppo e di ripristino e consolidamento dell’immagine dell’azienda. Ma il risultato a cui si mira – si dovrebbe mirare – è estremamente attraente. E anche (o soprattutto) in aeronautica non è ammissibile un approccio miope, tanto meno quando si tratta di un asset nazionale.

È interesse nazionale che l’azienda trovi, dai nuovi proprietari e/o da altre fonti, le risorse per sviluppare questo nuovo aeroplano d’affari, sfruttando per intero le potenzialità del mercato nel quale già opera. La proposta delineata sopra mostra come, secondo gli scriventi, si può arrivare a questo risultato: dall’attuale situazione di stallo si deve prendere lo spunto per una nuova vita. A meno di altre idee delle quali non c’è finora evidenza, questa strada è la sola che possa assicurare un futuro a un’azienda – il solo airframer in Italia che sia attivo nel segmento più remunerativo dell’aviazione generale – che va considerata come strategica per l’Italia, per tanti e ovvi motivi che si è cercato di illustrare in questa nota.

Paolo Mezzanotte, ingegnere aeronautico (laurea nel 1968), 2 anni al Politecnico, poi 31 anni all’Aermacchi (direttore Studi Avanzati), poi ancora co-fondatore di una micro-società di ingegneria, attualmente free lancer e docente a contratto al Politecnico di Milano (ora solo seminari). Negli anni passati ha lavorato, fra l’altro, anche su contratto della Pilatus).

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