Non c’è pace per il mondo dell’automotive occidentale. Prima la pandemia ha azzerato le vendite, poi la guerra dei chip ha impedito di far ripartire le catene di montaggio, quindi le regole spesso schizofreniche di Ue e Usa sull’auto elettrica hanno costretto a pasticciare continuamente i piani industriali, sprecando miliardi in R&D che difficilmente rientreranno con le vendite, dato che le normative continuano a cambiare. Per tacer ovviamente dei dazi trumpiani. L’ultimo ostacolo sulla carreggiata già ampiamente dissestata su cui prova a correre l’automotive europeo e statunitense lo ha posto la Cina (che con i suoi brand già tallona e tampona le Case automobilistiche occidentali rendendo più ostica l’uscita dall’attuale stagnazione nelle vendite) e riguarda la stretta sulle terre rare.
IL MONDO DELL’AUTOMOTIVE SENZA TERRE RARE?
Come viene riportato su Bloomberg, le recenti mosse cinesi che mirano a restringere le esportazioni di terre rare nel resto del mondo stanno impensierendo parecchio i brand occidentali. Il timore infatti è che si arrivi a una nuova interruzione della produzione automobilistica globale, scenario già sfiorato proprio con i chip la cui crisi aveva avuto epicentro sempre in Asia, a Taiwan.
Mercedes-Benz comunica di avere avviato trattative con i suoi principali fornitori per costruire depositi dove stoccare scorte di terre rare. Sebbene il marchio della Stella a tre punte ostenti tranquillità (“Abbiamo imparato molto dalla situazione dei semiconduttori nell’industria automobilistica e stiamo costantemente esaminando quali rischi ancora sussistono nella catena di fornitura”) la sensazione è che comunque anche questa volta l’industria occidentale e in particolare quella europea intervenga solo dopo che i buoi sono già fuggiti dalla stalla.
LA PREOCCUPAZIONE DELL’INDUSTRIA TEDESCA
Lo stesso Joerg Burzer, membro del consiglio di amministrazione della multinazionale di Stoccarda, pur provando a tranquillizzare, ha comunque affermato che, sebbene Mercedes-Benz non sia attualmente interessata dalla carenza di scorte, sta ”monitorando attentamente la situazione” e sta ”dialogando costantemente” con i suoi fornitori. “Naturalmente, siamo in costante contatto con i nostri fornitori e discutiamo con loro quale strumento sia più adatto alla gestione del rischio. Anche la questione delle riserve fisiche gioca, naturalmente, un ruolo in questo”.
Un’altra importante Casa automobilistica tedesca, Bmw, ha già affermato che alcuni suoi fornitori sono stati interessati dalla chiusura del rubinetto cinese. Che il tempo si stia esaurendo lo si intuisce dalle parole che Hildegard Müller, presidente della Verbandes der Automobilindustrie, l’associazione di settore tedesca, ha rilasciato a Reuters: “Se la situazione non cambia in fretta, non si possono più escludere ritardi e anche interruzioni nella produzione di auto”.
LA MOSSA CINESE AMMANSISCE TRUMP?
Le interruzioni sono già state ammesse, oltre oceano, da Ford Motor che secondo il Wall Street Journal a maggio ha dovuto sospendere per una settimana la produzione del suv Explorer in uno stabilimento di Chicago. Si spiegherebbe anche perché di recente Donald Trump è tornato a tuonare contro la Cina, in una partita che il tycoon continua a spostare sul piano prettamente mediatico mentre Pechino prosegue carsicamente.
Qualcosa comunque si muove: “Ho appena concluso un’ottima telefonata con il Presidente cinese Xi per discutere di alcuni aspetti complessi del nostro accordo commerciale recentemente stipulato e concordato”, ha scritto nelle ultime ore Trump sul social di sua proprietà, Truth. “La chiamata è durata circa un’ora e mezza e ha portato a una conclusione molto positiva per entrambi i Paesi. Non dovrebbero più esserci dubbi sulla complessità dei prodotti derivati dalle terre rare»” ha aggiunto il presidente degli Stati Uniti.
ANCHE IN GIAPPONE FABBRICHE FERME PER ASSENZA DI COMPONENTI
La medesima situazione, riferisce Nikkei ripresa dall’Ansa, si sta verificando pure a Est, con Suzuki costretta a interrompere la produzione della sua utilitaria di punta, il modello Swift, a partire dal 26 maggio per via della carenza di componenti, diventando di fatto la prima azienda giapponese del comparto ad essere colpita dalle limitazioni alle esportazioni.
Se gli Usa pensavano di avere il mondo in pugno minacciando dazi a tutto spiano, i cinesi, con meno strepiti social sembrano aver ricordato all’Occidente, States in primis, che sono ormai una parte essenziale della filiera mondiale di qualsivoglia dispositivo altamente tecnologico. Chiuderli fuori, perciò, non è pensabile.