“Abbiamo fallito a causa dell’avidità del Nord [del mondo, ndr]”. È l’ammissione di Mike Ryan, responsabile delle emergenze sanitarie dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), parlando dell’iniquità dei vaccini che persiste tra il Nord e il Sud del mondo in occasione del World Health Summit 2022, una delle principali conferenze sulla salute che si tiene ogni anno a Berlino in ottobre.
I COLPEVOLI
“È molto facile guardare alle istituzioni internazionali e multilaterali e dire che la colpa è tutta lì. In questa pandemia ci sono molte colpe da attribuire, ve lo assicuro”, ha detto Ryan, che tra i maggiori responsabili ha indicato i Paesi ricchi e le aziende farmaceutiche.
L’AVIDITÀ DI PAESI RICCHI (E BIG PHARMA)
L’avidità delle nazioni ricche e delle Big Pharma ha prevalso e anche Covax, il programma internazionale guidato dall’Oms che doveva garantire un accesso equo ai vaccini anti Covid nei Paesi a basso reddito, ha fallito. Insieme all’Oms, hanno contribuito alla sua creazione l’Onu e l’alleanza Gavi in collaborazione con Cepi e Unicef.
Ryan non fa sconti a nessuno e costringe l’establishment sanitario mondiale a interrogarsi oltre che a ricordare i pericoli dello squilibrio di potere nella sanità pubblica: “Abbiamo fallito. Chiediamoci perché abbiamo fallito. Abbiamo fallito a causa dell’avidità del Nord, abbiamo fallito a causa dell’avidità dell’industria farmaceutica, abbiamo fallito a causa dell’interesse personale di alcuni Stati membri che non erano disposti a condividere”.
PERCHÉ COVAX NON HA FUNZIONATO
E qui l’affondo di Ryan è ancora più significativo perché, ricorda Quartz, la Germania – Paese che ha ospitato la conferenza – era tra le nazioni che si sono schierate al fianco delle aziende farmaceutiche nell’opporsi alla rinuncia ai brevetti per i farmaci anti Covid.
“Tutti i fallimenti che si sono verificati nel Covax – ha detto Ryan – sono avvenuti perché i Paesi non volevano condividere, non perché il Covax fosse mal progettato”.
GARA DI SOLIDARIETÀ?
Fin dall’inizio il programma Covax è stato attaccato per non essere stato in grado di mantenere la promessa di donare vaccini a Paesi che non avevano capacità produttive o budget.
Come si può vedere dalla tabella di Our World in Data risalente a dati Covax del marzo 2022, tra chi ha annunciato di voler donare di più ci sono gli Stati Uniti al primo posto con 900 milioni di dosi, seguiti da Unione europea (526,6 milioni) e Germania (175 milioni).
Sempre secondo la tabella, però, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Delle dosi annunciate mancherebbero all’appello 386,30 milioni di dosi da parte degli Stati Uniti, 131,30 milioni dall’Ue e 49,50 dalla Germania, più quelle degli altri Paesi che seguono nel grafico.
L’Italia, scrive Il Foglio, a oggi “ha donato oltre 58 milioni di dosi, di questi circa 53 milioni attraverso il programma Covax”.
GLI OBIETTIVI MANCATI E I NUMERI DI COVAX
L’obiettivo originale di Covax era consegnare entro il 2021 due miliardi di fiale alle 187 nazioni parte del meccanismo, tra cui le 92 più povere del pianeta.
Finora, si legge su Avvenire a fine agosto, “sono state consegnate 1,63 miliardi di dosi a 146 nazioni”, ovvero “400 milioni in meno a quelle promesse e la distribuzione è avvenuta in quasi il doppio del tempo previsto”.
Pagella Politica che cita dati più aggiornati di Our World in Data afferma che “al 22 settembre erano oltre 1,4 miliardi le dosi di vaccino donate dai Paesi che partecipano all’iniziativa, ma non tutte erano state distribuite […] Le dosi effettivamente spedite ai Paesi a basso reddito erano invece 880 milioni”.
SPRECHI E SQUILIBRI
Secondo Our World in Data, il 68,3% della popolazione globale ha ricevuto almeno una dose di vaccino, di cui però solo il 23,3% delle persone si trova in Paesi a basso reddito. Gli evidenti squilibri poi si osservano andando a guardare nello specifico alcune nazioni.
Come ricorda Avvenire, in Yemen, per esempio, solo il 2,2% degli abitanti ha ricevuto la prima iniezione, in Congo il 4%, in Madagascar il 5%. E circa 30 Paesi hanno vaccinato meno del 10% dei cittadini.
Quelli più ricchi, invece, scrive il quotidiano, “hanno accumulato un surplus di 1,2 miliardi di dosi di cui un quinto rischia di finire nella spazzatura se non sarà utilizzato al più presto”.