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Perché in Italia si muore per Covid più che negli altri Paesi?

La triste conclusione è che in Italia per Covid si muore più che negli altri Paesi e che questa distanza è progressivamente cresciuta. Di chi è la colpa? E si poteva fare qualcosa di diverso? Il commento di Gianfranco Polillo

“Sono alla guida di una squadra che sta lavorando molto bene, benché sottoposta a uno stress incredibile di emergenza sanitaria, sociale ed economica”: parola del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nella sua lunga intervista a Maurizio Molinari, il direttore di Repubblica. Chi si loda s’imbroda, verrebbe da dire, ricordando un antico proverbio. Ma al di là di ogni altra considerazione, un problema resta comunque irrisolto. Come valutare l’azione finora svolta dal governo, evitando due opposti pericoli? Vale a dire: il rischio dell’inutile piaggeria da un lato e quello opposto, ma altrettanto fuorviante, del pregiudizio, che impedisce di comprendere.

Esercizio necessario per non vanificare quanto di buono gli italiani hanno dimostrato di aver fatto, rispetto agli stereotipi internazionali. Quel senso di disciplina e di rispetto che ha smentito ogni cattiva previsione e che, a differenza di altri Paesi, non ha visto scendere in piazza orde di negazionisti, pronti a rivendicare, contro il virus, spazi di libertà da pagare, poi, a caro prezzo. All’impegno profuso da milioni di cittadini è poi corrisposto un intervento governativo altrettanto lodevole? Questo è l’interrogativo. C’è stata una consonanza tra Paese reale e Paese legale? Oppure il relativo distacco è progressivamente aumentato? Domanda cruciale: vista l’impossibilità di giungere, quanto prima, alle necessarie verifiche elettorali. Necessarie: date le contorsioni politiche – una doppia maggioranza parlamentare programmaticamente agli antipodi, ma guidata da uno stesso premier – che in questo anno bisesto si sono materializzate a livello governativo.

Le difficoltà nell’analisi sono soprattutto sul piano economico e sociale. Gli eventuali successi o insuccessi della politica governativa si vedranno solo nel tempo. Al momento restano solo le diverse previsioni, sulle quali è difficile costruire. Avranno ragione i tecnici di Via XX Settembre con i loro dati sulla Nadef o le più recenti valutazioni dell’Istat? E che dire delle non collimanti analisi della Commissione europea a loro volta così diverse rispetto al giudizio delle società di rating? Siamo, come minimo nell’opinabile.Gli stessi documenti governativi che indicavano impegni di spesa – certificati dalla Ragioneria generale dello Stato – per oltre 216 miliardi nel quadriennio 2020/2023, vanno presi con le molle. Quanti di questi impegni resteranno solo sulla carta? Ad una variazione del fabbisogno per l’anno (i soldi necessari per farvi fronte) indicata in oltre 117 miliardi, alla fine di settembre, corrispondeva un aumento di 80 miliardi scarsi. Meno del 70 per cento.

Conviene pertanto abbandonare, almeno per il momento, questo campo e guardare altrove. Ed allora è bene interrogarsi sulla dinamica della pandemia. Guardare all’Italia, ma in un’ottica comparata. I dati sono quelli forniti dalla Johns Hopkins University. Che raccoglie gli elementi di base dai principali enti sanitari internazionali e nazionali tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO); i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) americani; l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC); e gli analoghi cinesi: NHC e DXY. Il data base comprende 170 Paesi. L’ultimo in graduatoria è Antigua e Barbuda con soli 144 casi di Covid-19 e 4 morti.

Dal punto di vista della diffusione del virus, l’Italia si colloca al 32° posto, con oltre 1,7 milioni di casi, pari al 2,8 per cento della popolazione. Peggio, in Europa, stanno il Belgio (5,1%), la Svizzera (4%) la Spagna (3,6%) la Francia (3,5%) l’Austria (3,4%) e il Portogallo (3%). Sempre a livello europeo occupa l’11° posto, ma tra i grandi Paesi, solo la Germania ha fatto meglio: 1,1 milioni di casi, pari all’1,4 per cento della popolazione. La metà dell’indice italiano. Se la diffusione del virus è dipeso soprattutto dai comportamenti collettivi (distanziamento sociale, mascherine ed igiene personale), gli italiani hanno dimostrato grande senso di responsabilità.

Dove invece le cose sono andate peggio è lungo il fronte dei “case – fatality”. Definizione usata dall’università per indicare il rapporto tra il numero dei deceduti e quello dei contagiati. Tra i Paesi che hanno subito più di un milione di contagi, l’Italia si colloca al terzo posto per numero dei deceduti, con una percentuale pari al 3,5 per cento, dei casi osservati. Prima dell’Italia c’è solo il Messico (9,4%), l’Iran (4,9%), e la Gran Bretagna (3,6%).

Rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia si colloca non solo al primo posto, ma con una percentuale che è pari al doppio della media (1,7 – 1,8%), a seconda se riferita all’Eurozona o ai 27 Paesi. Ma con un crescendo degli ultimi 7 giorni – si preoccupa di precisare il sito tedesco “Statista”, noto per la mole di dati di cui dispone – che vede l’Italia superare nettamente con i suoi 4.361 casi sia il Messico (3.931 casi) che la Gran Bretagna (3.931 casi) e l’Iran (2.562 casi)

La triste conclusione è che in Italia per il Covid si muore più che negli altri Paesi e che questa distanza è progressivamente cresciuta. È colpa del governo? Non essendo né virologi né epidemiologici non siamo in grado di rispondere. La spiegazione spetta ad altri. Una cosa, tuttavia, da modesti osservatori, ci sentiamo di dire: basta con i trionfalismi. Non sono motivati dall’evolversi della situazione effettiva. Forse non ci sarà stato null’altro da fare. Ma un dato è certo. Le strutture sanitarie si sono mostrate troppo deboli rispetto alla sfida e non certo per colpa di coloro che, al loro interno, hanno dato il sangue, oltre che la vita, come spesso è capitato. Si poteva fare qualcosa di diverso? La scorsa primavera, in attesa della seconda ondata, si potevano potenziare le diverse strutture? È stato giusto rinunciare, con motivazioni tutt’altro che convincenti, ai prestiti del Mes sanitario: che a questo dovevano servire? Questi sono gli interrogativi che restano senza risposta. Ma solo in apparenza.

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