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Sudafrica

Omicron in Italia è davvero poco diffusa?

In Italia i contagi con Omicron sono meno dello 0,2% (dice l’Iss), ma siamo sicuri che va tutto bene e che i dati a cui ci riferiamo fotografano veramente l’attuale diffusione della variante nel nostro Paese? Il professore di Neurobiologia all’Imperial College di Londra, Giorgio Gilestro, non la pensa così…

 

Che l’Italia fosse indietro con il sequenziamento lo si sa da mesi, ma questo ora sta portando a conclusioni sbagliate secondo quanto sostiene Giorgio Gilestro, professore di Neurobiologia all’Imperial College di Londra. Ecco perché e cosa non sta funzionando.

IL CORTOCIRCUITO

Il presidente del Consiglio Mario Draghi, come ha ricordato nel suo tweet Gilestro, giustificando la decisione di chiedere all’ingresso in Italia un tampone anche ai viaggiatori provenienti da Paesi dell’Unione europea, ha detto in Aula alla Camera: “C’è Omicron che ha la capacità di contagio nettamente superiore alle altre varianti, da noi i contagi con Omicron sono meno dello 0,2%, in altri Paesi la variante è molto diffusa, ad esempio in Danimarca, in Regno Unito diffusissima […]”.

Tuttavia, dietro all’apparente minore circolazione di Omicron in Italia, potrebbe esserci altro.

I DATI NON TROPPO AGGIORNATI SU OMICRON IN ITALIA

Lo 0,2% (o 0,19% per l’esattezza) di casi mutati di cui si parla in Italia, però, risale a una flash survey del 6 dicembre condotta dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e dal ministero della Salute, insieme ai laboratori regionali e alla Fondazione Bruno Kessler.

Peccato che il 6 dicembre era 11 giorni fa e si riteneva che Omicron avesse iniziato a circolare da poco. L’Iss precisava, inoltre, che l’indagine non conteneva tutti i casi di varianti rilevate ma solo quelle relative alla giornata presa in considerazione, secondo quanto riferito da Adnkronos.

IL TWEET DI GILESTRO

Gilestro, citando i numeri del principale portale per la condivisione dei dati genomici Gisaid, ha fatto notare però che “negli ultimi 90 giorni, la Danimarca ha sequenziato e condiviso il 42% dei tamponi positivi”, mentre “l’Italia ha sequenziato e condiviso il 2,3% dei tamponi positivi”.

QUALI STRUMENTI POSSONO AIUTARE NEL SEQUENZIAMENTO

“Le mie fonti mi dicono che i laboratori che fanno test Covid in Italia usano prevalentemente due kit: il kit Elitech e quello Seegene”, scrive su Twitter Gilestro. Entrambi i kit, spiega l’esperto, hanno la capacità di rivelare non solo se il paziente è negativo, ma forniscono anche informazione aggiuntiva sul tipo di variante.

COSA NON FA L’ITALIA

“Usano in sostanza questa tecnica, chiamata SGTF, che permette di quantificare Omicron senza spesa aggiuntiva, con frequenza giornaliera, e con una ottima risoluzione. Gli Inglesi e i Danesi la usano in maniera estensiva e pubblicano dati ogni 24 ore. L’Italia no”.

E prosegue: “Non è arrivato un singolo dato dal Ministero né dall’Istituto superiore di sanità su crescita SGTF. Niente. Perché? I dati SGTF non vengono raccolti? Vengono raccolti ma non vengono comunicati? Qualcuno lo sa?”.

NON SOLO SINTOMI E TRASMISSIBILITÀ

Finora ci si è concentrati su quanto fosse più trasmissibile o quanto fossero gravi i sintomi di Omicron, ma Gilestro sottolinea che questo non basta a fare previsioni o a sentirsi al sicuro sebbene i sintomi finora sembrino più lievi di altre varianti.

Citando infatti i dati della Danimarca, afferma che “la velocità di crescita di Omicron mi fa pensare che ci sia qualcosa di più di una semplice fuga immunitaria. Potrebbe essere una fase più lunga asintomatica ma trasmissibile”.

PERICOLO ASINTOMATICI

Come scriveva, infatti, Start sono sempre di più gli asintomatici che stanno significativamente contribuendo alla trasmissione del virus. Ad affermarlo è uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Network Open.

I ricercatori hanno messo insieme i dati di 77 studi che hanno coinvolto un totale di 19.884 individui risultati positivi e hanno scoperto che tra le persone infette circa il 40% era asintomatico, ovvero 4 casi su 10. L’alta percentuale di casi in cui non si manifestano i sintomi mostra dunque il potenziale rischio che la variante si diffonda sempre di più soprattutto se non arginata con tracciamento e isolamento.

CHE FINE HA FATTO IL TRACCIAMENTO

Negli ultimi 30 giorni, secondo quanto riportato da Gisaid, l’Italia ha sequenziato poco più dell’1% dei tamponi positivi e condiviso circa 4 mila sequenze su più di 398 mila casi riportati.

“L’Italia fa uno sforzo enorme per sequenziare i casi positivi”, ha detto il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, “ma è evidente che deve essere fatto uno sforzo maggiore anche in investimenti. Non nego l’evidenza, bisogna impegnarsi di più, quello che viene fatto è appena o poco più che sufficiente. Dovremmo raddoppiare o triplicare il sequenziamento”.

Come Start ricordava parlando del sequenziamento in Italia, questo non rispetta quanto richiesto dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), il quale ha vivamente suggerito ai Paesi di aumentare i controlli fissando al 5% il target minimo dei tamponi positivi, nonostante sia auspicabile il doppio.

È abbastanza scontato capire che se tracci di più, scopri di più e infatti Paesi come la Danimarca e il Regno Unito vengono considerati tra quelli in cui Omicron è più diffusa, ma è anche vero che nel Regno Unito, prendendo lo stesso periodo di riferimento dell’Italia, è stato esaminato circa il 12,5% dei tamponi totali e in Danimarca il 24,7%. Non a caso, è il Paese con più casi di Omicron confermati in Europa.

Come fa quindi notare Gilestro non è che l’Italia ha meno casi, semplicemente non li cerca.

Fonte: Our World in Data

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