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Mancata attuazione del piano pandemico: le accuse della procura di Bergamo

Le indagini della Procura di Bergamo: dalla mancata attuazione del piano pandemico (vecchio del 2006) al caso dei censimenti inesistenti dei Dpi

Quattromila morti. Sono tanti i decessi che, secondo la Procura di Bergamo, si sarebbero potuti evitare se si fosse istituita tempestivamente la zona rossa in Val Seriana, se avessimo avuto un piano pandemico aggiornato e se il pronto soccorso di Alzano fosse rimasto chiuso. Questi sono i tre filoni di indagine rispetto ai quali la Procura di Bergamo sta indagando.

GLI INDAGATI DALLA PROCURA

Nell’ambito di queste indagini la Procura ha spiccato avvisi di garanzia nei confronti di chi, quell’emergenza, si trovò a gestirla. Tra questi ci sono: l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, l’ex assessore al Welfare Giulio Gallera, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, l’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli. Agli indagati di spicco, politici e amministratori, si affiancano i dirigenti delle aziende sanitarie bergamasche e dell’ospedale di Alzano direttamente coinvolti nella gestione dell’emergenza.

LE INDAGINI SULLA MANCATA ATTUAZIONE DEL PIANO PANDEMICO

La mancata attuazione del piano pandemico fu segnalata sin dai primi mesi dell’emergenza. Il 13 maggio 2020 l’Oms pubblicò un documento di 102 pagine in cui valutava la gestione delle prime fasi della pandemia in Italia come “impreparata per un simile flusso di pazienti gravemente malati”, mentre la risposta iniziale degli ospedali fu “improvvisata, caotica e creativoa”. Il documento era stato redatto da un team di 11 scienziati europei dell’Oms, tra i quali anche l’italiano Francesco Zambon, ma a 24 ore dalla pubblicazione Ranieri Guerra, medico con un robusto curriculum nella diplomazia sanitaria, ne chiese la cancellazione. Il filone d’indagine sulla mancata attuazione del piano pandemico coinvolge il livello nazionale (D’Amario, Brusaferro e Borrelli) e quello regionale (Cajazzo e Gallera). Il Piano pandemico era fermo al 2006 ma, secondo la Procura, se fosse stato applicato almeno quello si sarebbe ridotto il propagarsi del virus.

LE SEGNALAZIONI DELLE AUTORITÀ SANITARIE INTERNAZIONALI

Tutte le autorità sanitarie internazionali, a cominciare dall’Oms, già dal 5 gennaio avevano diramato un’allerta “con la quale si confermava la trasmissione del nuovo virus da persona a persona” e invitava ad applicare le misure di controllo già attuate per la Sars e la Mers. Senza dimenticare che il 31 gennaio l’Oms aveva dichiarato “emergenza internazionale”, che il successivo 4 febbraio aveva incitato ad “affrontare l’emergenza pandemica anche con i vigenti piani influenzali” e che già dal 2014 le malattie da coronavirus venivano “equiparate a quelle dell’influenza”.

LE ACCUSE DI FRANCESCO ZAMBON SULLA NON ATTUAZIONE DEL PIANO PANDEMICO

Anche Francesco Zambon, ex funzionario Oms, allontanatosi a seguito di pressioni dall’organizzazione, sottolineò che il nel nostro paese non fu attivato il piano pandemico con tempestività. “L’Italia aveva un piano nazionale pandemico, seppur datato al 2006 e mai aggiornato – disse Zambon in un’intervista a la Repubblica -. Ma c’era. Ecco, io penso che da gennaio al 21 febbraio si potessero fare tante cose che non sono state fatte. Piuttosto che donare le mascherine, era necessario stoccarle, verificare il magazzino italiano, formare il personale sanitario. L’Italia non si sarebbe salvata dalla pandemia, ma avremmo potuto ridurre di molto i danni. Ma non è stato soltanto un problema italiano. Il fronte più importante è quello internazionale”.

PIANO PANDEMICO NON ADEGUATO

I magistrati stanno cercando di capire anche per quale motivo si decise di impegnare le energie per riscrivere da zero un nuovo piano anti-covid. All’epoca l’ex ministro della salute Speranza spiegò che il piano pandemico presente nostro Paese non era, in ogni caso, adeguato alla situazione. “Secondo i nostri tecnici quel piano pandemico antinfluenzale non era sufficiente – ha concluso il ministro – e quindi è stato messo in campo un piano Covid adeguato a una fattispecie nuova che era emersa. Il Covid non è una semplice influenza”.

I RITARDI E LE MANCANZE: MASCHERINE, GUANTI E PROTOCOLLI

Gli atti della Procura ripercorrono le manchevolezze di politici e amministratori chiamati a gestire, è utile sottolinearlo, un evento che si credeva confinato nei libri di storia. Tra le mancanze viene annoverata la mancata attuazione di protocolli per monitorare i viaggiatori in arrivo dalle zone a rischio con voli indiretti, e la mancanza di censimento e di approvvigionamento di mascherine, in particolare per il personale sanitario, inoltre non sarebbe stata creata “una riserva nazionale di antivirali, Dpi, vaccini antibiotici, kit diagnostici e altri supporti tecnici per un rapido impiego nella prima fase emergenziale” e, contestualmente, non sarebbero state definite le modalità di rifornimento “nelle fasi immediatamente successive”. Tale verifica fu effettuata solamente il 4 febbraio. A ciò i magistrati aggiungono che solo il 24 febbraio vennero censiti i reparti di malattie infettive e il numero di ventilatori polmonari. Questi ritardi, secondo i pm, permisero al virus di circolare in maniera incontrollata in tutto il nord del Paese. A doversi difendere da queste accuse sono l’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e Claudio D’Amario, ex direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute nel 2020, e attualmente responsabile del Dipartimento sanità della Regione Abruzzo

LA REPLICA DI BRUSAFERRO

Al presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro viene contestata la mancata attuazione del Piano pandemico “prospettando azioni alternative, così impedendo l’adozione tempestiva delle misure in esso previste”. Tale responsabilità è respinta dagli uffici dell’Istituto superiore di sanità, che hanno diramato una nota in difesa del presidente. “Non è nei suoi poteri adottare piani pandemici o dar seguito alla loro esecuzionesi legge –. La linea seguita dall’Istituto durante tutto il periodo della pandemia e sin dagli inizi è stata improntata alla massima precauzione e al massimo rigore scientifico e la cautela è stata la cifra che ne ha caratterizzato gli indirizzi”.

CHI AVREBBE DOVUTO AGGIORNARE IL PIANO PANDEMICO

Tra il 2014 e il 2017 Ranieri Guerra è stato direttore generale per la prevenzione presso il ministero della salute, proprio negli anni in cui l’Italia avrebbe dovuto aggiornare il suo piano pandemico, fermo, invece, al 2006. Inoltre Guerra è stato l’inviato in Italia dell’Oms e consulente del primo Comitato Tecnico Scientifico creato dal ministro Speranza. Il rapporto dell’Oms che aveva valutato la reazione del sistema italiano alla pandemia partiva proprio dal “vecchio piano pandemico, che è stato solo ‘riconfermato’ e non aggiornato nel 2017 – come disse Zambon al Guardian -. Il team ha controllato a fondo questo aspetto e ha scoperto che tutti i piani successivi al 2006 erano stati semplicemente copiati e incollati, senza che una parola o una virgola fosse cambiata nel testo”.

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