Dopo tanti avvertimenti, allarmi e previsioni nefaste finalmente una buona notizia sull’antibiotico-resistenza. Infatti, un rapporto congiunto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e Agenzia europea per i medicinali (Ema) afferma che il problema si sta ridimensionando grazie a un minor consumo di antibiotici.
Il traguardo positivo è stato raggiunto anche grazie a una diminuzione dell’uso di agenti antimicrobici non solo nell’uomo ma anche negli animali da produzione alimentare. Su questo, però, l’Italia non è tanto virtuosa.
I NUMERI DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA IN EUROPA
La resistenza antimicrobica è stata recentemente più volte al centro dell’attenzione delle autorità sanitarie in quanto si stima che ogni anno provochi la morte di oltre 35.000 persone nell’Unione europea e nello Spazio economico europeo (UE/SEE). Inoltre, comporta un onere significativo sui sistemi sanitari europei, con un costo approssimativo di 11,7 miliardi di euro all’anno, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
MENO ANTIBIOTICI MENO RESISTENZA
A fine 2022, l’Ecdc dichiarava che la tendenza all’aumento di patologie legate a batteri resistenti era stata generale nel 2016-20, con un rallentamento dal 2019 al 2020. E il maggior numero di malattie era stato causato dal batterio Escherichia coli (E. coli), responsabile di malattie intestinali e del tratto urinario.
Ora, adottando un approccio One Health, che riconosce la connessione tra la salute delle persone e degli animali, le tre agenzie hanno analizzato, per la prima volta nell’ambito di questo progetto, le tendenze del consumo di antimicrobici e della resistenza antimicrobica nell’E. coli sia negli esseri umani che negli animali destinati alla produzione alimentare.
Dal rapporto, che presenta dati raccolti principalmente tra il 2019 e il 2021, è emerso che i batteri E. coli sia negli animali che nell’uomo stanno diventando meno resistenti agli antibiotici poiché il consumo complessivo di antibiotici si è ridotto. Nel caso degli animali, infatti, tra il 2014 e il 2021, è diminuito del 44%.
COME VA IN ITALIA
Nella classifica pubblicata nel 2022 dall’Ecdc dei Paesi europei con più decessi provocati da batteri resistenti agli antibiotici, l’Italia, con circa 11mila morti, era seconda solo alla Grecia e il consumo di antibiotici era leggermente superiore alla media europea con 17,5 dosi medie assunte giornalmente per 1.000 abitanti rispetto a una media UE/SEE di 16,4 dosi.
L’anno scorso, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), degli oltre 30.000 decessi a livello europeo per infezioni da germi antibiotico-resistenti, un terzo erano avvenuti in Italia, rendendoci il Paese con la più alta mortalità in Europa.
Ora, in quest’ultimo rapporto, nel nostro Paese si registra un consumo di antibiotici per uso umano in linea con la media UE (129,4), anche se leggermente superiore. Di contro, però, si ha il terzo dato peggiore di tutto il continente per consumo di antibiotici agli animali destinati alla produzione alimentare (173,5). Peggio di noi solamente Cipro (296,5) e Polonia (175,5).
LA CONNESSIONE TRA UOMO E ANIMALI
Dall’analisi appare evidente che la resistenza batterica negli esseri umani può essere collegata alla resistenza batterica negli animali destinati alla produzione alimentare e, dunque, ridurre in questi ultimi il consumo di antibiotici genera risultati positivi anche nell’uomo. Oltre che con Escherichia coli, casi simili sono il Campylobacter jejuni e il Campylobacter coli che, se presenti negli animali destinati alla produzione alimentare, possono diffondersi alle persone attraverso il cibo. Questi due batteri provocano la campylobatteriosi, una delle malattie batteriche gastrointestinali più diffuse al mondo.
“Utilizzare meno antibiotici nella produzione animale dà i suoi frutti: nella maggior parte dei Paesi che hanno ridotto l’uso di antibiotici, abbiamo osservato una corrispondente diminuzione dei livelli di resistenza. Ciò significa che gli sforzi nazionali funzionano. Ciò evidenzia inoltre l’impegno dell’Ue nell’approccio One Health, salvaguardando sia gli animali che salute pubblica globale”, ha dichiarato Bernhard Url, direttore esecutivo dell’Efsa.