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Cancro

Cancro, cosa prevede il nuovo piano oncologico nazionale

Il 4 febbraio si celebra la giornata mondiale contro il cancro: è un buon momento per discutere del nuovo piano oncologico nazionale. L’intervento di Alessandra Servidori

Il 4 febbraio in tutto il mondo è la giornata dedicata alla lotta contro il cancro: il World Cancer Day.

Sarebbe l’occasione anche stavolta, come abbiamo già cominciato a fare da alcuni anni come associazioni  e come TutteperItalia, ad una informazione e anche formazione vera su questa malattia devastante. Noi ci proviamo perché non tutti gli italiani sono stati debitamente informati che il 26 gennaio scorso è stato finalmente approvato il nuovo Piano oncologico nazionale, già ratificato dalla Conferenza Stato-Regioni, che ha come obiettivo di innovare profondamente gli strumenti socio sanitari dedicati a questa flagellante malattia che ha ripercussioni drammatiche anche sul lavoro.

COSA PREVEDE IL PIANO ONCOLOGICO NAZIONALE

Il piano oncologico nazionale, documento di pianificazione e indirizzo per la prevenzione del contrasto del cancro 2023-2027, approvato dopo un lungo iter, è legato ad un Fondo per la sua implementazione, che nasce nel decreto milleproroghe, con una dotazione pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni, ed è destinato al potenziamento delle strategie e delle azioni per prevenzione, diagnosi, cura e assistenza del malato oncologico, definite nel piano.

Le potenzialità di detto piano sono rappresentate da un approccio globale intersettoriale, con una maggiore integrazione tra prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico, compreso il miglioramento delle cure e la prevenzione delle recidive, ponendo l’attenzione sulla centralità del malato e sulla riduzione o eliminazione delle diseguaglianze nell’accesso agli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione.

Le misure per “facilitare l’integrazione sociale e il reinserimento nel luogo di lavoro, compreso l’adattamento delle condizioni di lavoro per i malati di cancro – si legge nel Piano – dovrebbero essere parti integranti del percorso dei pazienti”.

GLI OBIETTIVI DELLA COMMISSIONE EUROPEA

È giusto rilevare  che questo documento fissa soltanto le linee di indirizzo da perseguire per ridurre l’impatto dei tumori sulla società. Per confermare la volontà di svolgere la propria parte per ridurre l’epidemia dei tumori, serve che il governo metta a disposizione adeguate coperture finanziarie perché attraverso la Mission on Cancer e il Piano europeo di lotta contro il cancro, la Commissione europea ha chiesto a tutti gli stati membri di impegnarsi concretamente per salvare almeno tre milioni di vite e aumentare dal 47 al 75 per cento il tasso di sopravvivenza per tutti i tumori entro il 2030.

Traguardi che, secondo il piano d’azione stilato dalla Commissione, possono essere raggiunti agendo lungo chiare direttrici: potenziando i servizi di prevenzione (quasi 4 casi di cancro su 10 sono evitabili), migliorando l’accesso anche alle terapie più avanzate e la qualità della vita di chi ha superato la fase acuta della malattia (oltre 1,2 milioni di persone in Italia).

Per dare seguito a questi obiettivi, i singoli stati membri possono contare anche su una serie di iniziative e finanziamenti messi a disposizione da Bruxelles per complessivi 4 miliardi di euro. Sostegni che, per essere erogati, richiedono però che ogni paese specifichi le voci di spesa necessarie per il raggiungimento degli obiettivi fissati nel Piano. È il momento di stanziare le coperture finanziarie necessarie al rispetto di ogni singola voce indicata nel Piano per rafforzare la prevenzione, incrementare la diagnosi precoce, migliorare l’accesso alle terapie e garantire a tutti i sopravviventi i servizi sanitari e sociali di cui si continua ad avere bisogno anche una volta superata la fase acuta della malattia.

LE DISCRIMINAZIONI SUL LAVORO VERSO I MALATI DI CANCRO

Nonostante le tutele garantite dalla legge, molte persone subiscono penalizzazioni sul lavoro a causa di una malattia oncologica: discriminazioni, mobbing, demansionamento o comunque mancati avanzamenti di carriera. Sono forme di discriminazioni subdole, spesso difficili da contrastare perché sfuggono al controllo della legge: il cambiamento di un ruolo, l’allontanamento da compiti di responsabilità ricoperti prima della malattia, l’eccessiva rigidità nell’applicazione delle regole. E le cose sono più complicate per i lavoratori autonomi che godono di minori tutele: in questo caso la malattia può essere vista dai clienti come causa di scarsa affidabilità.

La legge considera discriminazioni sanzionabili quelle in cui una persona è trattata  meno favorevolmente di quanto sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga a causa di una condizione personale (per esempio, non ottenere una promozione per le condizioni di salute), oppure quelle in cui comportamenti apparentemente neutrali messi in atto dal datore di lavoro in realtà sono finalizzati a penalizzare una specifica persona (assegnare un premio di produttività esclusivamente sulla base del numero di giornate di presenza sul luogo di lavoro).

Si possono affrontare e gestire le diverse disabilità oncologiche sul luogo di lavoro, individuando le mansioni più idonee ed eventualmente adattandone le modalità di svolgimento alle specificità del singolo lavoratore anche in modalità smart, recuperando in tal modo professionalità che altrimenti potrebbero andare perdute. Alla medicina di precisione o medicina personalizzata devono corrispondere “accomodamenti personalizzati” sul posto di lavoro.

I RISCHI DELL’AUTONOMIA REGIONALE

Una ragionevole preoccupazione è la recente approvazione del DDL che consente  la regionalizzazione differenziata di tutte le 23 materie; prevede un avvio della regionalizzazione con un finanziamento dei servizi trasferiti calcolato sulla “spesa storica”, a regime prefigura tasse regionali e il trattenimento dei tributi su base territoriale, rompendo ogni idea di perequazione. Ad esempio una maggiore autonomia legislativa, amministrativa ed organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi darebbe l’avvio a un sistema assicurativo – mutualistico al di fuori di qualsiasi, anche labile (come attualmente), normativa nazionale.

La richiesta di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, a cui si aggiunge una autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero professionale mette in atto una concorrenza fra Regioni e provocherà un ulteriore trasferimento di personale nelle Regioni più ricche, determinando un aumento della mobilità interregionale, in particolare dal Sud al Nord e un incremento delle diseguaglianze; già attualmente le differenze regionali, specie per il personale infermieristico, sono rilevantissime  e vanno ridotte, non certo aumentate. Inoltre metterebbe dei freni alla contrattazione collettiva a livello centrale, la stipula di contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” per i medici, alternativi al percorso delle scuole di specializzazione; la programmazione delle borse di studio per i medici specializzandi e la loro integrazione operativa con il sistema aziendale; l’adozione di decisioni basate sull’equivalenza terapeutica, tra medicinali contenenti differenti principi attivi alle quali AIFA dovrà rispondere entro 180 giorni nel merito adottando un parere obbligatorio e vincolante sull’intero territorio nazionale.

Nell’ambito di un Servizio sanitario nazionale volto ad assicurare il diritto alla salute per tutte le persone, se a bisogni differenti non si deve rispondere con uguali criteri, a problematiche identiche è indispensabile offrire soluzioni unificate a livello nazionale.

L’autonomia differenziata in sanità, dando luogo ad una molteplicità di sistemi organizzativi, rischia di eliminare ogni coerenza fra alcuni sistemi “regionalizzati” e i principi fondativi del Servizio sanitario nazionale, che inverano l’articolo 32 della Costituzione; avvia, in assenza di un “principio di supremazia” presente nella costituzione degli Stati federali, una irreversibile frammentazione del servizio sanitario, anche di fronte a grandi emergenze di carattere nazionale.

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