A breve il virus del vaiolo delle scimmie, o monkeypox, cambierà nome. La decisione arriva in seguito alla denuncia di alcuni scienziati che ritengono “stigmatizzante” e “imprecisa” l’attuale denominazione.
Della modifica si occuperà l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
LA RICHIESTA DEGLI SCIENZIATI
Su Virological, un forum di discussione per l’analisi e l’interpretazione dell’evoluzione molecolare e dell’epidemiologia dei virus, un gruppo di scienziati ha pubblicato un articolo intitolato Urgent need for a non-discriminatory and non-stigmatizing nomenclature for monkeypox virus.
Nel testo, gli autori usano il nome “hMPXV” per indicare l’infezione umana e distinguerla da quella animale.
LE RAGIONI
L’appello di cambiare urgentemente il nome del virus è dovuto al fatto che gli esperti lo ritengono “inaccurato”, “discriminatorio” e “stigmatizzante” a causa dei riferimenti all’Africa occidentale e centrale, regioni che danno il nome ai due differenti ceppi del virus.
Gli autori, infatti, mettono in guardia da “una narrazione crescente nei media e tra molti scienziati che cercano di collegare l’attuale epidemia globale all’Africa, all’Africa occidentale o alla Nigeria” e criticano l’uso di foto di pazienti africani con lesioni da vaiolo.
A tal proposito, riferisce il documento, l’Associazione della stampa estera in Africa ha rilasciato una dichiarazione in cui esorta i media mondiali a smettere di utilizzare immagini di persone africane per evidenziare l’epidemia in Europa.
OUR STATEMENT:
The Foreign Press Association, Africa registers its displeasure against media outlets using images of black people alongside stories of the #monkeypox outbreak in North America and the United Kingdom. pic.twitter.com/u32yWLELJg
— FOREIGN PRESS ASSOCIATION, AFRICA (@FPA_Africa) May 21, 2022
PERCHÉ RISCHIA DI PASSARE UN MESSAGGIO SBAGLIATO
“La percezione prevalente nei media internazionali e nella letteratura scientifica – si legge nell’articolo – è che il monkeypox sia endemico nelle popolazioni di alcuni Paesi africani. Tuttavia, è assodato che quasi tutti i focolai di monkeypox in Africa, prima dell’epidemia del 2022, sono stati il risultato di una trasmissione dagli animali all’uomo e solo raramente sono stati segnalati casi di trasmissione prolungata da uomo a uomo”.
Come ricordano gli scienziati, sebbene l’origine del nuovo focolaio globale di monkeypox sia ancora sconosciuta, “vi sono prove sempre più evidenti che lo scenario più probabile è che la trasmissione umana criptica attraverso i continenti sia in corso da più tempo di quanto si pensasse”.
LA RISPOSTA DELL’OMS
Non ha tardato ad arrivare la risposta del direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, il quale ha dichiarato che l’organizzazione sta “lavorando con partner ed esperti di tutto il mondo per cambiare il nome del virus”.
Un annuncio, fa sapere il Dg, sarà fatto “il prima possibile”.
COVID E VARIANTI
Non è la prima volta che l’Oms decide di cambiare nome a un virus per evitare discriminazioni. Anche quello del Covid-19, chiamato in modo dispregiativo dall’ex presidente americano Donald Trump e dai suoi sostenitori “il virus di Wuhan”, era stato subito rinominato “Sars-Cov-2”.
Così come le successive varianti che ne sono derivate. Gli aggettivi “inglese”, “sudafricana”, “brasiliana”, “indiana” e così via, che indicavano dove era stata identificata la prima volta la variante, sono state sostituite con le lettere dell’alfabeto greco per non stigmatizzare quei Paesi o regioni applicando divieti di viaggio e altre restrizioni nei loro confronti.
QUESTIONI GEOPOLITICHE
Addirittura, dopo la lettera Mu (variante passata in sordina perché considerata “di interesse” e non “di preoccupazione” secondo i gradi attribuiti dall’Oms) sono state saltate Nu e Xi.
La motivazione, come aveva spiegato al Corriere della sera la portavoce dell’Oms Margaret Harris, ha a che fare con due ragioni diverse. Nu, in inglese, era troppo simile a “new”, cioè “nuova” e questo avrebbe creato confusione nel pubblico anglofono; mentre Xi (attuale Omicron), oltre a essere un cognome estremamente comune, è in particolare quello del presidente cinese stesso, cosa che Pechino non avrebbe apprezzato particolarmente.
“Le nostre linee guida impongono di non utilizzare nomi che possano danneggiare gruppi culturali, sociali, nazionali, regionali, professionali o etnici”, aveva detto Harris.
BURIONI ALL’ATTACCO
In merito alla decisione dell’Oms, il virologo Roberto Burioni, docente dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, ha sarcasticamente twittato: