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Cortisone Farmaci Variante Africana Virus Sars-Cov 2 Anticorpi Moniclonali

Tutti i farmaci che funzionano (e non funzionano) contro Covid

Cortisone, eparina, remdesivir, idrossiclorochina e plasma: tutte le novità sui farmaci per la cura di Covid-19

 

Non ci sono ancora armi efficaci per combattere il Covid-19. Ad oltre 10 mesi dall’inizio della pandemia le strade provate per trattare la malattia da Sars-Cov-2 sembrano essere senza uscita. Anche il remdesivir, il primo farmaco ufficiale consigliato per la cura del Coronavirus seppur nato per curare l’ebola, non sembra essere più efficace.

Bocciato anche il plasma iperimmune, mentre il Consiglio di Stato riabilita l’idrossiclorochina. Andiamo per gradi.

CORTISONE ED EPARINA

Partiamo dalle piccole certezze. Per trattare Covid-19, per cui non esiste ancora una cura valida, si utilizzano cortisonici ed eparina. Su quest’ultima, scrive Aifa, sono chiare “le prove di efficacia e sicurezza disponibili sia relativamente al dosaggio profilattico, sia al dosaggio intermedio/alto”.

TROPPE POCHE CERTEZZE

“Al momento restano come frecce nel nostro arco contro questo maledetto virus i cortisonici per contrastare la tempesta citochinica (la reazione immunitaria e infiammatoria che caratterizza le fasi più acute della malattia) nelle polmoniti ospedalizzate, in Italia utilizzati tempestivamente anche durante la prima ondata grazie a un protocollo promosso dagli Ospedali Riuniti di Trieste, e le eparine per evitare le complicanze tromboemboliche. Francamente un po’ poco”, ha scritto lo pneumologo Sergio Harari sul Corriere della Sera.

REMDESIVIR

A deludere sul fronte efficacia sembra essere anche il remdesivir, che la Fda aveva promosso a primo trattamento anti Covid. Sempre più utilizzato per curare i pazienti in ospedale, ora il farmaco viene sconsigliato da un panel di esperti internazionali che opera in seno all’Organizzazione mondiale della sanità. Per gli scienziati, infatti, non ci sono evidenze che ne migliori la sopravvivenza, né che incida sulla necessità di ventilarli.

LO STUDIO

Le nuove evidenze arrivano dal confronto e dalla revisione dei dati di 4 studi randomizzati internazionali che hanno coinvolto oltre 7mila pazienti ricoverati per Covid-19. Il remdesivir “non ha effetti significativi sulla mortalità o su altri risultati importanti per i pazienti, come la necessità di ventilazione meccanica o il tempo necessario per il miglioramento clinico”, scrivono gli esperti Oms.

POSSIBILITA’ DI DANNI IMPORTANTI?

Gli esperti si spingono oltre la valutazione dei benefici del trattamento Covid: “Data la possibilità di danni importanti, nonché i costi relativamente alti e le implicazioni in termini di risorse da impiegare per dar corso all’uso di remdesivir (che deve essere somministrato per via endovenosa)”, gli scienziati ne sconsigliano l’uso.

NUOVI STUDI

La valutazione, comunque, non si ferma e con l’obiettivo di definire il ruolo del remdesivir nella pratica clinica gli esperti promettono “l’arruolamento continuato negli studi che valutano il remdesivir, soprattutto per fornire una maggiore certezza delle prove per gruppi specifici di pazienti”.

AIFA LIMITA UTILIZZO

In attesa di nuove evidenze, intanto, Aifa ne limita l’utilizzo. “Per quanto riguarda il remdesivir, l’Agenzia stabilisce che, alla luce delle nuove evidenze disponibili, anche nell’ambito della popolazione ammessa alla rimborsabilità (soggetti con polmonite da COVID-19 in ossigenoterapia che non richiedono ossigeno ad alti flussi o ventilazione meccanica o ECMO e con insorgenza dei sintomi da meno di 10 giorni), l’utilizzo potrà essere considerato esclusivamente in casi selezionati, dopo una accurata valutazione del rapporto benefici/rischi”, scrive Aifa.

IN ATTESA DELL’EMA

A dare qualche indicazione in più sull’uso del farmaco, nelle prossime settimane, sarà l’Ema. “L’organismo regolatorio europeo che tanto avremmo voluto avesse sede a Milano, sta valutando il da farsi, cosa che potrebbe anche tradursi in una sospensione dell’immissione in commercio per questa indicazione”, scrive lo pneumologo Sergio Harari.

CLOROCHINA ED IDROSSICLOROCHINA

Bocciato anche l’utilizzo della clorochina e dell’idrossiclorochina. Clorochina e idrossiclorochina, utilizzate off-label per il trattamento da Covid-19, “non hanno mostrato alcun effetto benefico in ampi studi clinici randomizzati”, scrive l’Ema.

LO STUDIO AMERICANO

Conferme dell’inefficacia arrivano dall’America. “I ricercatori americani e canadesi hanno condotto uno studio in doppio cieco randomizzato, placebo controllato, in soggetti che avevano avuto un contatto stretto con qualcuno che era poi risultato essere positivo al virus e dopo quattro giorni hanno loro somministrato o l’idrossiclorochina per cinque giorni o il placebo. Nessuna riduzione del rischio di infezione si è registrata nel gruppo trattato con il farmaco antimalarico, mentre invece si sono avuti un certo numero di effetti collaterali sebbene non gravi”, racconta Harari.

DISTURBI PSICHIATRICI

E i due farmaci sembrano avere quale effetti collaterali anche disturbi psichiatri.

“La clorochina e l’idrossiclorochina sono autorizzate nell’UE per il trattamento di alcune malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide e il lupus, nonché per la profilassi e il trattamento della malaria” e utilizzate off-laber per il Covid-19 “anche utilizzate a dosi approvate per indicazioni autorizzate , possono causare un ampio spettro di disturbi psichiatrici. I disturbi psicotici e il comportamento suicidario sono elencati nelle informazioni sul prodotto di alcuni medicinali contenenti clorochina o idrossiclorochina come effetti collaterali rari o effetti collaterali che si verificano con una frequenza sconosciuta”, scrive l’Ema.

AIFA BLOCCA IDROSSICLOROCHINA

Le prima evidenze avevano portato anche l’Aifa a sospendere l’utilizzo del farmaco. “Al momento attuale tuttavia, nuove evidenze cliniche relative all’utilizzo di idrossiclorochina nei soggetti con infezione da Sars-CoV-2 (seppur derivanti da studi osservazionali o da trial clinici di qualità metodologica non elevata) indicano un aumento di rischio per reazioni avverse a fronte di benefici scarsi o assenti. Per tale ragione, in attesa di ottenere prove più solide dagli studi clinici in corso in Italia e in altri paesi (con particolare riferimento a quelli randomizzati), l’AIFA sospende l’autorizzazione all’utilizzo di idrossiclorochina per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2, al di fuori degli studi clinici, sia in ambito ospedaliero che in ambito domiciliare. Tale utilizzo viene conseguentemente escluso dalla rimborsabilità. Si ribadisce altresì che l’Agenzia non ha mai autorizzato l’utilizzo di idrossiclorochina a scopo preventivo”, si legge in un comunicato Aifa.

LO STUDIO SU LANCET

La decisione Aifa si era allineata ai dubbi dell’Oms, preoccupata dopo la pubblicazione di uno studio sulla rivista medica Lancet, che riterrebbe non solo inefficace, ma persino controproducente l’uso per contrastare il Covid-19 (qui l’approfondimento).

LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO

Ma la decisione Aifa sulla sospensione dell’idrossiclorochina è stata bocciata dal Consiglio di Stato. Il presidente della terza sezione del Consiglio di Stato Franco Frattini, infatti, ha riabilitato l’uso dell’idrossiclorochina  per la cura del Covid, anche se nel bugiardino questo utilizzo non è indicato.

LE RAGIONI DEL CONSIGLIO DI STATO

L’ordinanza specifica che “la perdurante incertezza circa l’efficacia terapeutica dell’idrossiclorochina, ammessa dalla stessa Aifa a giustificazione dell’ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati, non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l’irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte dei medici curanti”.

PLASMA

Contro Covid-19 non funziona il plasma iperimmune, che all’inizio aveva fatto per sperare. A sostenerlo è uno studio realizzato dall’Hospital Italiano de Buenos Aires e pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine, “ la rivista «bibbia» della medicina”, ha commentato nei giorni scorsi Hahari sul Corriere.

LO STUDIO

Nello studio condotto in Argentina “non si è registrato nessun beneficio nella mortalità a 30 giorni e neanche nella necessità di dovere ricorrere alla terapia intensiva e alla ventilazione meccanica nei soggetti curati con il plasma. La terapia è stata ben tollerata senza particolari effetti collaterali nel gruppo di pazienti che l’ha ricevuta, ma sostanzialmente inefficace.”, spiega lo pneumologo, aggiungendo che: “Alcuni aspetti tecnici di questo studio, molto ben condotto, restano da approfondire e necessitano di ulteriori conferme e in questo potranno essere molto utili i risultati del trial italiano denominato «Tsunami» proposto dall’Azienda ospedaliero-universitaria Pisana e promosso dall’Istituto superiore di sanità e da Aifa, che saranno disponibili appena terminato il reclutamento dei pazienti”

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