Dopo 2 anni, 9 mesi e 7 giorni dal primo caso ufficiale in Italia ho capito che il Covid c’è o non c’è a seconda di cosa decide la politica.
David Quammen molti anni fa aveva previsto la pandemia con esaurienti spiegazioni nel celeberrimo libro Spillover ma era stato giudicato un visionario da pubblicistica divulgativa. Ritornando sul tema nel volumetto “Perché non eravamo pronti” (dove teorizzava tra l’altro che l’eziopatogenesi derivasse dal pangolino prima che dal pipistrello), aveva scolpito nell’ultima pagina questo monito inascoltato: “Occorre risolvere il problema alle origini, sono necessarie altre ricerche sul campo, altre campionature di animali selvatici, altri esami sui genomi. Una maggiore consapevolezza del fatto che le infezioni animali possono diventare infezioni umane, perché gli esseri umani sono animali. Viviamo in un mondo di virus e a malapena abbiamo iniziato a comprendere questo”.
Dal canto suo, il biologo Edward Osborne Wilson, una vita a sussurrare alle formiche, aveva fatto due conti sulla sostenibilità della presenza umana sul Pianeta concludendo come dettagliatamente riferitomi in una intervista dal Prof. Arnaldo Benini, Emerito a Zurigo, che… “una volta superati i 6 miliardi di persone l’umanità è prossima all’incompatibilità con l’ambiente. La popolazione è di 7 miliardi e mezzo e cresce di 70 e più milioni l’anno. Si è estesa e dilaga in tutti gli angoli della terra, sconvolgendo ecosistemi remoti e antichi di millenni, costruendo strade, estirpando e asfaltando boschi e foreste, usando a profusione e senza criterio concimi tossici e antibiotici, inquinando aria, laghi, mari, fiumi e torrenti, trivellando in terra e in mare. L’alterazione violenta degli ambienti è una delle cause delle mutazioni degli agenti patogeni e quindi delle epidemie e pandemie. Andando avanti con questi ritmi di crescita demografica arriveremo a 11 miliardi di esseri umani a fine secolo”.
Nel frattempo abbiamo raggiunto gli 8 miliardi e secondo i Rapporti Onu e le conclusioni del COP27 di Sharm el-Sheikh siamo alla soglia di una situazione drammatica e potenzialmente irreversibile a motivo dello sconvolgimento ambientale e dell’ecosistema. Che servano decisioni drastiche e immediate era stato sottolineato con toni ultimativi anche nei lavori del COP26 a Glasgow e prima, di anno in anno a ritroso, in tutti gli incontri dei grandi della Terra. Alla fine restano i proclami e gli ultimatum, non seguiti dai fatti e da decisioni univoche.
È nota la resistenza di Cina e India ad abbandonare il carbon fossile a vantaggio di energie pulite e della green economy. D’altra parte a Xi Jinping il governo Conte nel 2019 e il cancelliere tedesco Scholz recentemente, hanno spalancato le porte dell’Europa per i traffici commerciali della via della Seta, nei terminali portuali di Genova, Trieste e Amburgo.
Appurato che il SARS-Cov-2 sia nato nel ‘Huanan Seafood Wholesale Market’ a Wuhan e da lì diffuso in tutto il mondo, attualmente si conta una recrudescenza virale in Cina: sei giorni fa sono stati registrati 926 casi a Pechino, 641 a Shijiazhuang, 26.824 nel Paese. C’è chi ipotizza che un cinese su tre sia contagiato anche se non ci sono conferme ufficiali. Ma non è che da noi si stia meglio, anzi: nella settimana dal 17 al 24 novembre sono stati registrati 229.122 contagi e 580 morti da Coronavirus.
La Cina sarà anche ‘vicina’ ma adesso siamo noi i più pericolosi dato che loro vengono da queste parti per scambi commerciali via mare: la geoeconomia cavalca la geopolitica ma nella Repubblica Popolare Cinese viene prima di tutto la difesa dell’integrità del Paese, gli ingressi sono monitorati e la vita quotidiana blindata.
È nota infatti la sua politica draconiana in regime di restrizioni sanitarie: nella situazione attuale non possiamo dire la stessa cosa qui in Italia e pure in Europa, considerati alcuni fattori oggettivi concomitanti: intensificazione dei flussi migratori dall’Africa, politiche diverse in tema di prevenzione, profilassi, vaccinazioni nei Paesi dell’Ue (e nel Regno Unito), la guerra alle porte e il sistematico massacro della popolazione ucraina in stile Holodomor da parte della Russia, che potrebbe portare a un esodo di più di tre milioni di abitanti. È l’Europa il terreno fertile del melting pot sanitario. Qui in Italia le abbiamo provate tutte: dal lockdown, allo stato di emergenza, dalle restrizioni personali, alla campagna vaccinale che ora rallenta, dallo smart working alla Dad, dalle mascherine al ‘liberi tutti’. Persino la medicina ufficiale ha espresso posizioni diversificate e nonostante le evidenze ha ceduto il passo alla politica e alle sue ondivaghe decisioni.
Si sa che conta molto il consenso e la captatio benevolentiae popolare, ma non sempre i decisori politici seguono le evidenze cliniche, certamente non ne intuiscono le derive con provvedimenti spesso improvvidi o a esse estemporanei. Da 2 anni, 9 mesi e 7 giorni c’è una rincorsa continua a tamponare, tra allarmismo e negazionismo, un colpo alla botte e uno al cerchio, l’impressione è che il Covid si possa arginare ma non sconfiggere e con esso dovremo convivere a lungo in un contesto sistemico, ambientale e demografico mutevole e impreparato.