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Fentanyl

Che cosa dicono gli esperti sul fentanyl in Italia (e non solo)

La scoperta di fentanyl a Perugia come sostanza da taglio in una dose di eroina è il segno che il potente oppioide ha raggiunto anche l'Italia? Ecco cosa pensano gli esperti di questa sostanza che negli Stati Uniti è la principale responsabile dei decessi per overdose

 

Cinquanta volte più potente dell’eroina e cento della morfina. Il fentanyl è un importante farmaco autorizzato e utilizzato per la sedazione in anestesiologia, per curare pazienti con dolore cronico che non rispondono ad altre terapie e nei pazienti oncologici. Negli ultimi anni però purtroppo, soprattutto negli Stati Uniti, ha iniziato a essere assunto – più o meno consapevolmente – come stupefacente, da solo o in combinazione con altre sostanze.

Dati il suo costo irrisorio (pochi dollari) e la facile reperibilità, oltreoceano i suoi effetti sono già drammatici e l’Italia, considerate anche alcune avvisaglie a livello europeo, ha recentemente alzato il livello di guardia, lanciando un Piano nazionale per la prevenzione contro il suo uso improprio.

Per gli esperti siamo lontani da una situazione paragonabile a quella degli Stati Uniti ma è importante tenere gli occhi aperti per non farsi trovare impreparati.

COSA SIGNIFICA LA SCOPERTA DEL FENTANYL A PERUGIA

“Sono preoccupato per quanto sta emergendo e voglio cercare di capire se si tratta di un fatto sporadico o se ci sono episodi analoghi”, ha detto il magistrato Raffaele Cantone dopo che la procura di Perugia ha aperto un fascicolo a carico di ignoti in relazione alla presenza di fentanyl riscontrato come sostanza da taglio in una dose di eroina nella zona del capoluogo umbro.

“È ragionevole sperare che non siamo ancora all’immissione sul mercato italiano di sostanze tagliate con fentanyl – affermano gli inquirenti – ma la scoperta di Perugia è inquietante, potrebbe essere un test”.

L’OMBRA DELLA ‘NDRANGHETA

Poiché i decessi – molto probabilmente sottostimati – attribuiti al fentanyl in Europa sono dovuti a furti da canali leciti, come ambulanze, farmacie e ospedali, a preoccupare sono soprattutto i gruppi criminali organizzati.

Come dichiarava infatti il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, presentando il Piano nazionale per la prevenzione contro l’uso improprio del fentanyl, “la nostra intelligence segnala un interessamento della ‘ndrangheta” che starebbe “testando il mercato per verificare la convenienza del suo inserimento sul mercato”.

È convinto dell’interesse da parte dell’organizzazione criminale Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies di Newark, il quale ritiene che “la ‘ndrangheta dovrà essere monitorata in modo particolare, specialmente per i suoi collegamenti con i cartelli messicani e le organizzazioni criminali colombiane”.

Inoltre, non è possibile ignorare ciò che accade fuori dai nostri confini perché, per riprendere le parole di Mantovano, “in Italia non è attualmente in corso un’emergenza ma poiché il nostro è un mondo interconnesso non possiamo ignorare quanto sta accadendo negli Stati Uniti, dove negli ultimi due anni è stato responsabile di più di due terzi dei 100mila decessi per overdose nel Paese”.

USA VS ITALIA, UNA DIVERSA CULTURA NELL’USO DEGLI OPPIOIDI

A rassicurare sull’uso diverso che l’Italia fa degli oppioidi, in ambito medico, rispetto agli Stati Uniti è Simona Pichini, che dirige il Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità (Iss), dove tra l’altro arrivano le segnalazioni dei sequestri di fentanyl in Italia.

“Loro [negli Stati Uniti] usano gli oppioidi come antidolorifici, ormai dagli anni Sessanta. Sono farmaci efficacissimi ma danno dipendenza perché agiscono su recettori cerebrali. E anche il fentanyl viene prescritto con facilità e quando le compresse prese in farmacia finiscono molti ne sono dipendenti. Da noi, per il dolore si usano altri medicinali”, ha dichiarato Pichini riguardo al rischio che il fentanyl si diffonda anche in Italia.

L’esperta ha infatti ricordato che nel nostro Paese gli oppioidi vengono usati quasi esclusivamente “in chirurgia come anestetico o per controllare il dolore ma solo nelle cure palliative, per pazienti terminali oncologici”.

Concorda con Pichini il direttore del Centro antiveleni Ics Maugeri di Pavia, Carlo Locatelli, il quale a Formiche ha detto: “Nel nostro Paese l’utilizzo del fentanyl è disposto in maniera molto corretta. I nostri medici hanno criteri di prescrizione precisi, specifici e stringenti e non lo prescrivono a nessuno se non per necessità reale e irrinunciabile. E anzi viene prescritto con indicazioni di assunzione e tempistiche di somministrazione definite e limitate al tempo strettamente necessario. E sotto il costante controllo medico. Da noi, insomma, non potrebbe mai accadere quanto accadde ad esempio decadi fa negli Stati Uniti con l’ossicodone”.

NON SOLO FENTANYL

Tuttavia, il piano varato dal governo mira a contrastare anche altri oppioidi sintetici, alcuni dei quali addirittura più potenti del fentanyl. Ne sono un esempio il sufentanyl o il carfentanyl che, come ha spiegato Pichini, arrivano a essere “mille volte più potente dell’eroina”.

L’esperta ha inoltre sottolineato sul sito dell’Iss che il fentanyl viene erroneamente definito “droga degli zombie”, a cui invece si riferisce la xilazina, “un anestetico usato in veterinaria, sempre dal costo contenuto, col quale si tagliano gli oppioidi, dei quali amplifica gli effetti”. Deve il nome al fatto che “provoca lesioni cutanee profonde”, diverse da quelle dell’eroina e che, secondo Simone Feder, psicologo presso la Comunità Casa del giovane di Pavia, vanno indagate perché ultimamente sembrano essere in aumento.

Tra le altre sostanze che recentemente hanno iniziato a preoccupare ci sono i nitazeni, una classe di oppioidi sintetici anche 40 volte più potenti del fentanyl. Uno di questi, l’isotonitazene, stando all’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, dal luglio 2019 è stato implicato in più di 200 decessi per overdose tra Europa e Stati Uniti.

Tuttavia, secondo l’Osservatorio, “la sua presenza è probabilmente poco rilevata perché molte strutture di analisi non sono predisposte per testare l’isotonitazene, o altri nitazeni”.

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