Quando fu approvato il provvedimento nel non lontano 2022, la competenza ed esperienza maturata in ambito ministeriale e aziendale sulle politiche attive di pari opportunità, mi portò a ricordare più volte – anche su queste pagine – che la questione del cd “bollino rosa” aveva già affondato ben due progetti ministeriali: uno nel 2006 e l’altro nel 2014 rispettivamente usciti dal Ministero del lavoro e politiche sociali e dal Dipartimento pari opportunità della PdC perché rappresentarono un flop gigantesco dato dal fatto principalmente che furono coinvolte addirittura prima dell’emanazione dello schema di bollino solo alcune grandi aziende che “dettarono con ovviamente particolare interesse i criteri per le prassi da adottare” che avrebbero poi concesso privilegi alle aziende ritenute certificate.
Ora si torna a parlare di questo terzo tentativo addirittura più volte finanziato e operativo nella missione 5 del Pnrr come sistema nazionale che accompagna e incentiva le imprese per ridurre il divario di genere nelle imprese con “nobili obiettivi” di riduzione della disparità salariali, difendere la tutela della maternità ecc. ecc. ecc.
Si è mossa una quantità di agenzie per la certificazione e non di meno quella partecipata per una percentuale considerevole anche da una deputata del Pd, molto attiva in generale sulle pari opportunità che aveva e ha puntato molto su questa curiosa certificazione che a ben vedere, non sta portando dei grandi risultati all’occupazione del genere femminile come ci dimostrano i dati sia delle dimissione dal lavoro nell’anno in corso, sia sui differenziali salariali che clamorosamente rimangono altissimi.
I problemi sono tanti e, per citarne uno, i parametri cd minimi e conformi che devono essere accertati solo da organismi accreditati e conformi UNI/PdR 125:2022 con punteggio minimo pari solo al 60% con il quale l’azienda ha poi vantaggi e agevolazioni con esonero contributivo e un punteggio premiale nella partecipazione di bandi e fondi europei, nazionali, regionali.
Ricordo che addirittura il sistema della certificazione di parità è stato anche rafforzato all’art. 46 del Codice delle pari opportunità, che istituisce appunto la certificazione prevista nel Pnrr.
Da allora si è scatenato un massiccio business della formazione soprattutto privata in forza di un sistema di gestione complesso in carico alle aziende perché i requisiti individuati dall’ente privato Uni/Pdr125 deve intendersi vincolante normativamente e concretamente nell’organizzazione dell’azienda che paga la certificazione, non meno di 12.000 euro a seconda delle dimensioni, “per avere i vantaggi previsti”.
La questione formazione peraltro è stata a livello ministeriale irrobustita con le leggi di bilancio 2022 e 2023 incrementando la dotazione del Fondo per il sostegno alla parità salariale e risorse utilizzabili proprio per l’acquisizione della certificazione da parte delle imprese e un ulteriore Fondo per tutte le attività di formazione che si riveleranno (???) propedeutiche all’ottenimento di questa certificazione.
Dunque, la questione di possedere quote di una società che vende consulenze su come raggiungere una certificazione di parità di genere è anche politica poiché si è radicata e generalizzata la tendenza a esternalizzare fuori dai luoghi di lavoro comune la gestione dell’organizzazione e di una cultura di impresa che deve essere condivisa e dalle relazioni che si creano di ambito appunto partecipativo.
Perché la parità e il rispetto tra persone che adesso rispunta in ambito scolastico con inconsistenti finanziamenti e appaltando la materia a “esperti” significa invece investire sul miglioramento personale che è un fattore motivazionale che le persone tendono a considerare intrinsecamente connesso prima al proprio percorso scolastico e formativo nella traiettoria di istruzione, e professionale poi nel lavoro. L’intelligenza emotiva, la gestione delle obiezioni, la collaborazione sono tutte abilità trasversali che facilitano sia i rapporti tra giovani che i rapporti sul lavoro e stimolano la produttività e favoriscono i cambiamenti, la solidarietà e il rispetto.
La cultura non si compra.