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Sanzioni

Papocchio in vista sulle politiche per la parità di genere?

L’intervento di Alessandra Servidori, docente di politiche del lavoro, componente del Consiglio d’indirizzo per l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica presso la presidenza del Consiglio

 

Tra i provvedimenti di queste ore è bene essere consapevoli di quanto in materia di politiche in favore delle donne si rischia un fallimento. Due sono le iniziative che secondo la mia personale opinione rischiano di disperdere delle risorse per le famose pari opportunità tanto declamate ma poco pochissimo realizzate. La prima è riferita ai 9 milioni stanziati per l’istituzione e il sostegno di programmi rivolti agli uomini autori di violenza domestica e di genere: non è la scelta giusta. Il Fondo, figlio del fondino per i diritti e le pari opportunità prevede di costruire un approccio strutturale, preventivo con l’istituzione di percorsi di trattamento e riabilitazione per uomini maltrattanti, e per l’anno 2022 dei 9 milioni di euro 2 milioni andranno all’azione dalle regioni, con le quali si definiscono criteri di accreditamento per i nuovi centri di riabilitazione per gli uomini maltrattanti, e la definizione di quei requisiti standard e di linee guida che si rendono poi particolarmente necessari per l’efficacia dell’azione stessa.

Tale attività dovrebbe essere gestita in modo diverso a seconda che esista o meno sul territorio una rete di supporto alle vittime ovvero che la donna si sia già rivolta ad essa o abbia scelto di non farlo. E sappiamo che i Centri antiviolenza sono rari e ancora più rare le reti territoriali che se ne occupano.La presenza di un coordinamento territoriale partecipato ed efficiente sarebbe importante poiché può permettere una circolazione delle informazioni in possesso di ciascun partecipante e di interesse per l’altrui lavoro. La gestione di questi aspetti permetterebbe infatti di abbattere il rischio di un utilizzo utilitaristico e manipolatorio della partecipazione a un percorso da parte dell’uomo a danno della donna. L’assenza di una rete territoriale oppure il fatto che la donna non sia in carico ad alcun servizio, e presuppone l’onere di attivarsi per contattare le forze dell’ordine le quali si faranno carico di valutare i rischi per la vittima. Ma il problema è che in mancanza di un Testo Unico urgente per contrastare efficacemente la violenza sulle donne, si punta sulla rieducazione del maltrattante senza però garantire alla vittima adeguata tutela: dunque risorse a spot senza una coerenza, mentre la violenza sulle donne addirittura si è intensificata.

L’altra questione in cui ravviso un sostanziale se non dannoso strumento per le donne è il famoso percorso di certificazione di parità di genere entrato in vigore il 1 luglio 2022 del dpcm del 29 aprile 2022 ,previsto nella missione 5 del PNRR come Sistema nazionale di certificazione che accompagni e incentivi le imprese.”Il conseguimento su base volontaria delle aziende della certificazione di parità di genere dovrebbe ridurre il divario di genere esistente in relazione alle opportunità di crescita professionale e di equità salariale e promuovere l’attuazione di politiche di genere e di tutela della maternità valorizzando la diversità”. Il primo problema sono i parametri cd minimi e conformi che devono essere accertati solo da organismi accreditati con prassi determinanti individuata da aree conforme a UNI/PdR125:2022 con un punteggio di sintesi complessivo almeno pari (solo!) 60% .La certificazione è diretta ad aziende che occupino tra 10 e 49 lavoratori e che si dotano di una specie di bollino di qualità che dà diritto ad agevolazioni e vantaggi . Agevolazioni e vantaggi conseguibili dalle imprese attraverso la certificazione della parità di genere, che consentirà di ottenere un esonero contributivo in misura non superiore all’1 per cento e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna azienda e poi di ottenere un punteggio premiale nella partecipazione per bandi e fondi europei, nazionali e regionali.

Inoltre la Legge 30 dicembre 2021, n.234, legge di bilancio per il 2022, incrementando la dotazione del Fondo per il sostegno della parità salariale di genere (fondo che già istituito presso il Ministero del Lavoro con la legge di Bilancio 2021), ha stanziato risorse utilizzabili proprio per l’acquisizione della certificazione da parte delle imprese. E inoltre istituisce un ulteriore fondo, per tutte quelle attività di formazione che si riveleranno propedeutiche all’ottenimento della certificazione di parità di genere. Attualmente la certificazione della parità di genere è un dispositivo non pienamente operativo, perché mancano i decreti attuativi. Nel frattempo però, si è mosso il settore della normazione tecnica privata UNI che ha pubblicato la prassi 125:2022, che ha definito un primo quadro di standard di riferimento che potranno essere utilizzati per la certificazione. Nel dettaglio la prassi UNI, al fine di misurare l’efficacia delle azioni intraprese dall’organizzazione per creare un ambiente di lavoro inclusivo delle diversità, ha elaborato un insieme di indicatori suddivisi in 6 aree (cultura e strategia, governance, processi HR, opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda, equità remunerativa per genere, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro). Il PNRR, all’interno della missione 5, infatti prevede appunto la definizione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere che accompagni e incentivi le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di genere in alcune dimensioni che incidono sulla qualità del lavoro. L’idea sottostante all’investimento è la creazione di un sistema di monitoraggio sullo stato e le condizioni di lavoro di uomini e donne all’interno dei luoghi di lavoro, con l’obiettivo di coinvolgere imprese di tutte le dimensioni, incentivando particolarmente la certificazione per imprese di medie, piccole e micro-dimensioni. L’intervento però è complicato soprattutto per le aziende di dimensione piccola come lo sono il 93% delle aziende italiane e rischia di non incentivare l’assunzione femminile perché la governance è complicata e sopratutto va incardinata strutturalmente e monitorata pena il ritiro della certificazione.

Per gli investimenti è prevista una precisa timeline che prevede entro dicembre 2022 l’effettiva entrata in vigore del sistema di Certificazione della parità di genere e dei relativi meccanismi di incentivo per le imprese (opportunità di crescita per le donne, parità di retribuzione, politiche di gestione per la diversità di genere, protezione della maternità) ed entro dicembre 2026 almeno 800 piccole e medie imprese certificate e 1.000 aziende che ricevono le agevolazioni. . La prima norma di riferimento è la legge 5 dicembre 2021, n. 162, che modifica il codice delle pari opportunità, istituito nel 1991, già riformato nel 2006, con il decreto legislativo 198 del 2006, e introduce la certificazione della parità di genere. Questo primo riferimento normativo colloca il tema della certificazione della parità di genere nel quadro più ampio del nostro ordinamento del codice delle pari opportunità, questa diviene uno strumento aggiuntivo all’interno di un quadro legislativo che già prevedeva una rete istituzionale di sostegno per la promozione delle pari opportunità. Più precisamente il sistema della certificazione della parità di genere viene disciplinato aggiungendo all’articolo 46 del codice delle pari opportunità l’articolo 46 bis che istituisce appunto la certificazione prevista dal PNRR.

Questo articolo inserito nel codice delle pari opportunità ha rimandato a una implementazione di decreti attuativi e a successivi decreti del consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delegato per le pari opportunità di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dello sviluppo economico, per andare a definire tutta una serie di aspetti attuatori di questo istituto : a) in primo luogo la definizione dei parametri minimi per il conseguimento della certificazione che devono riguardare come minimo la (retribuzione corrisposta, progressione in carriera, conciliazione dei tempi di vita e di lavoro); b) le modalità di acquisizione e di monitoraggio dei dati che sono trasmessi dai datori di lavoro e poi resi disponibili dal
Ministero del lavoro e delle politiche sociali; c) le modalità di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali da un lato e dall’altro lato delle consigliere e dei consiglieri di parità; d) le forme di pubblicità della certificazione. La normativa crea dunque una rete complessa di rapporti tra diversi soggetti coinvolti, prevedendo anche un ruolo per le rappresentanze sindacali e le consigliere di parità ( che ci si augura si preparino e bene per ottemperare a tale ruolo).

Si profila dunque un massiccio business della formazione soprattutto privata in forza di un sistema di gestione molto complesso in carico alle aziende perché i requisiti individuati dalla prassi UNI/PdR 125/2022 deve intendersi che l’efficacia di tale sistema non può che essere valutato in un ampio contesto normativo che certamente include il nuovo modello di rapporto sulla situazione del personale che l’impresa che occupa oltre 50 dipendenti è tenuta a realizzare provvedendo alla trasmissione per via telematica entro il 30 settembre 2022 (fra dunque 12 giorni!) (art. 5 comma 1, DL 29 marzo 2022) per poter usufruire degli investimenti pubblici finanziati con le risorse del PNRR e del PNC senza il quale è escluso dai bandi di gara; Le linee guida per le pari opportunità per l’inclusione di soggetti svantaggiati (dpcm 7 dicembre 2021) ; l’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara specifiche clausole sociali per meccanismi e premialità per persone svantaggiate, riorganizzare gli istituti riferiti alla legge 7 aprile 2022 n.32 ai congedi parentali ;l’incentivazione dei tempi di vita e di lavoro, l’impegno ad assumere lavoratrici e lavoratori di età inferiore a 36 anni, il tutto armonizzante la missione 5 del PNRR.

Ma in un futuro non prossimo e con una rete di professionisti molto ben preparati. Intanto gli ultimi dati di Istat denunciano un calo dell’occupazione femminile, i dati Inps sulle dimissioni dal lavoro vedono le donne ancora e sempre tra la maggioranza che rinuncia al lavoro e le lavoratrici non sono coloro che vengono riassunte con contratti a tempo pieno.

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