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Tunisia

Tutte le sfide del governo Draghi fra Roma e Bruxelles

L'analisi di Gianfranco Polillo

 

Purtroppo si sapeva. Anche se molti speravano in un piccolo miracolo. Le previsioni d’inverno della Commissione europea sono risultate, invece, impietose. Con l’Italia all’ultimo posto come tasso di crescita complessivo. Guardando alla Spagna, si pensava che questa volta la maglia nera spettasse ai cugini iberici. Ed in effetti così è stato, ma solo per il 2020: anno in cui la decrescita ben poco felice sarà in Italia dell’8,8 per cento, mentre nella patria del flamenco dell’11 per cento. Peggio della stessa Grecia (meno 10 per cento). Ma nella prospettiva del triennio (2020–2022) tutta un’altra musica. Il negativo cumulato dell’Italia (meno 2,2 per cento) sarà il massimo sia nell’Eurozona che nella UE a 27.

Si spiega allora la generosità dimostrata dalla Commissione europea nell’assegnare le risorse del Recovery Fund. Occorreva fornire al malato d’Europa una cura ricostituente che fosse adeguata al suo stato di salute, nella speranza che i dottori, chiamati al suo capezzale, fossero all’altezza della situazione. Cosa quanto mai incerta, finché Palazzo Chigi era presidiato da Giuseppe Conte. Ora molto meno grazie a Mario Draghi.

Questo l’antefatto. Ma quel che più conta sono le prospettive. Ed esse sono segnate dall’accelerazione. Si comincerà a discutere quanto prima del ripristino della legalità, al momento sospesa: le nuove regole sul Patto di stabilità (PSC), che la pandemia, insieme alla vita di tante persone, aveva spazzato via. Varie le ragioni all’origine di una decisione che ha notevolmente sorpreso gli osservatori. Innanzitutto la posizione dei Paesi “frugali”, da sempre ostili a consentire maggiori margini fiscali. Hanno dovuto cedere sul Recovery Fund, ed ora cercano se non una rivincita, ameno una compensazione.

Quindi le pressioni di quei Paesi che chiedono di conoscere, in anticipo, quali saranno le nuove regole, dopo la “general escape clause”. Le loro procedure di bilancio sono più complesse e richiedono tempi più lunghi. L’inizio di primavera sarebbe quindi il momento giusto per prospettare i nuovi scenari. Non tutti, però, sono d’accordo con questo timing. Paolo Gentiloni non nasconde le sue preoccupazioni. Teme una stretta destinata a colpire l’Italia, che è ancora ferma in mezzo al guado. Ed in attesa di poter beneficiare dell’impulso del Recovery Plan. Sempre che lo stesso sia approvato in tempo utile e la sua attuazione in linea con le eventuali premesse.

In questo intervallo l’Italia non può rimanere con le mani in mano, in attesa che “l’ora segnata dal destino batta” ancora una volta. Deve avanzare delle sue proposte, tenendo ovviamente conto del più generale contesto legislativo, relativo ai Trattati. Finora l’interpretazione che ha prevalso è stata quella del Patto di stabilità e crescita, approvato nel giugno del 1997. Alla cui origine erano tuttavia le disposizioni del Trattato di Roma, poi modificate da quello di Maastricht del 1992 (articolo 194 C) ed, infine dal Trattato di Lisbona. Ora articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE). Patto di stabilità e non Fiscal compact: dato che i regolamenti che istituirono questa seconda disciplina, ancor più restrittiva, non furono mai inserite nell’ordinamento giuridico europeo a seguito di una bocciatura preventiva del Parlamento.

È bene, quindi, che di questa scadenza si tenga debito conto, mobilitando, fin da ora, tutto ciò che si deve mobilitare. Che si apra una discussione pubblica sulle proposte da portare al tavolo della Commissione europea, al fine di dimostrare che l’Italia, a differenza del passato, non è il destinatario passivo delle decisioni altrui. Ma vi contribuisce, facendo valere i propri interessi nazionali. Ciò, che per la verità non è riuscito quasi mai.

Torna alla mente la discussione che accompagnò la nascita dell’euro. Allora Carlo Azeglio Ciampi si spese molto per evitare un’esclusione preventiva dell’Italia. Negoziò un ammorbidimento delle regole di Maastricht: una boccata d’ossigeno per la nostra economia, ma non molto di più. Ed infatti all’indomani del varo della moneta unica i problemi italiani divennero ben più gravi. Oggi la situazione è certamente più seria. L’Italia ha, tuttavia, risorse che prima non aveva, ma che non riesce ad utilizzare, per le regole europee. È da qui che bisogna partire nel delineare una diversa governance. Per cercare di esplorare quelle “terre incognite” di cui parlava Mario Draghi, qualche tempo fa, per giustificare le sue “politiche non convenzionali”.

(prima parte; domani la seconda parte dell’analisi)

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