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Le prossime sfide per Merkel, von der Leyen e Lagarde

Si conclude il viaggio nello Zeitgeist dell’Europa, durante il semestre europeo a presidenza di Angela Merkel. Il post di Gianni Bessi, consigliere regionale dell’Emilia-Romagna e autore nel 2020 di House of zar. Geopolitica ed energia al tempo di Putin, Erdogan e Trump. (goware edizioni)

 

Il prossimo anno l’Italia celebrerà Dante Alighieri nel 700esimo della sua morte: non si sa ancora bene come, perché la pandemia non è ancora sotto controllo, ma qualcosa si organizzerà. La domanda che mi fareste adesso è: cosa c’entra Dante con i temi di cui in genere mi occupo, energia e scenari geopolitici. Ma siamo a Natale e mi sarà concessa una licenza poetica: pensando agli impegni, e alle capacità di leadership, di Angela Merkel, Ursula von der Leyen e Christine Lagarde mi è rimbalzato nella memoria l’incipit, suggerito da un amico dantista da lunga data, di una delle canzoni più belle e importanti del Poeta, Tre donne intorno al cor mi sono venute/e seggonsi di fore/ché dentro siede amore.

L’omaggio è dovuto, perché sono loro che reggono e reggeranno i destini dell’Europa, che la dovranno traghettare – non riesco a sfuggire alle suggestioni dantesche… e da ravennate come potrei? – fuori dalla crisi provocata dal Sars Cov 2. L’unione è chiamata alla prova più dura della sua ormai lunga vita: dimostrare che non è solamente un’unione di nazioni ai fini commerciali, come la descrivono i detrattori, ma ha un cuore politico, che per noi europeisti convinti è l’equivalente dell’amore dantesco.

Christine Lagarde, e soprattutto i banchieri che rappresenta, ha compreso che senza l’intervento della Bce il virus metterà ancora più in ginocchio l’economia del vecchio continente, specialmente di quegli stati membri che hanno meno risorse per fare manovre compensative (e tra questi l’Italia). Messa da parte la teoria dell’austerità di bilancio – speriamo per sempre, ma non ci giureremmo, perché significherebbe che le iniziative messe in campo avrebbero comunque raggiunto il risultato atteso – il bazooka di Francoforte continua a essere lì dove lo aveva piazzato Mario Draghi e il programma di stimolo monetario, il Pepp, è stato rinnovato fino a marzo 2022 con l’aggiunta di altri 500 miliardi.

Dal canto suo Ursula von der Leyen, che ha respirato Unione europea fin dalla nascita (il padre Ernst Albrecht è stato uno dei primi funzionari pubblici dell’allora nascente Ue) si è trovata a gestire una delle tante grane che rallentano il cammino della più importante istituzione continentale. E l’ha fatto con la stessa caparbietà che adesso, archiviata la pratica del Recovery Fund, utilizzerà per sovrintendere a un’altra rogna non da poco, la chiusura degli accordi per la Brexit.

E Angela Merkel? Sta facendo… l’Angela Merkel, cioè sta dimostrando quale sia la differenza tra un politico e uno statista, così come fu enunciata da James Freeman Clarke e poi ripresa da Alcide De Gasperi: un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione. E Frau Angela è sicuramente una statista. Lo ha dimostrato recentemente aiutando, dietro le quinte, proprio la sua pupilla Ursula a calmare i bollenti spiriti di polacchi e ungheresi. Lo ha dimostrato commuovendosi quando ha annunciato che la Germania avrebbe dovuto adottare altre restrizioni per bloccare il diffondersi del Sars Cov 2 in attesa che il vaccino, anzi i vaccini, finalmente possano ridare speranza a un’umanità che ha compreso, toccandola con mano, quale sia la sua fragilità.

Fragilità? In questo “viaggio” attraverso l’Europa mi ha fatto compagnia preziosa Filippo Onoranti e ancora una volta, da Ph.D in filosofia riesce a scovare una citazione che calza a pennello: l’imperatore Marco Aurelio nel dialogo “A se stesso” ci ricorda, appoggiandosi alla sua sensibilità stoica, “quale debba essere la disposizione del corpo e dell’anima nel momento in cui si è colti dalla morte; la brevità della vita, il baratro del tempo che si apre alle nostre spalle e di fronte a noi, la fragilità di ogni materia”.

Una fragilità che è personale ma anche economica. È difficile dire che tipo di globalizzazione (e capitalismo) ritroveremo dopo la pandemia, ma se anche sarà la stessa non avrà quella patina di intoccabilità che pareva avere fino a pochi mesi fa. La pandemia ha scoperto i nervi fragili del modello consumistico fine a sé stesso, che ha bisogno di un ripensamento profondo, di un’elaborazione teorica – dovrei dire filosofica e politica – che tenga conto di un fattore importante: è vero che la globalizzazione ha aumentato il livello di vita, seppure proporzionalmente, in larga parte del mondo. Ma è bastata un’emergenza vera, la prima che la globalizzazione ha dovuto fronteggiare, per ricordarci che nelle crisi sono non solo i meno abbienti, i poveri del mondo, gli emarginati, che pagano il conto, ma anche la classe media europea. Anzi, i colossi dell’economia come Amazon, solo per fare un nome, ne hanno approfittato. L’economia è una materia complessa, attraversata da immani forze speculatrici ed egoistiche.  Ma chi governa deve conoscerle e seguirle o almeno dovrebbe conoscerle e seguirle per rendere stabile equo e duraturo la ricerca della giustizia sociale. Un’idea di come e cosa fare e dove arrivare. Vale la pena riflettere.

(1. Continua).

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