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Libertà

Ecco il papocchio Cura Italia-Inail anti imprese sui contagi nei luoghi di lavoro

Che cosa prevedono il decreto Cura Italia e una circolare Inail. Le proteste degli industriali. L'analisi del Sole 24 Ore. E le precisazioni dell'Inail. L'approfondimento di Start Magazine

“La somma fra il decreto (articolo 42, comma 2, decreto legge 17 marzo 2020 n. 18, il cosiddetto Cura-Italia) e una circolare dell’Inail del 3 aprile dice: se una persona con un lavoro dipendente viene contagiata da coronavirus, ne è responsabile civile e penale l’azienda per cui lavora. Sotto processo finisce l’impresa ovunque sia avvenuto il contagio. Sotto processo l’impresa qualunque sia il grado di tutela adottata, compresa l’adesione totale non solamente alle norme e ai protocollo sanitari ma perfino all’entusiasmo volontaristico di chi vuole aggiungere sicurezza a sicurezza”.

Così oggi il quotidiano Il Sole 24 Ore sintetizza la questione che sta preoccupando non poco le aziende, come sottolineato da Start Magazine il 6 maggio: “Il problema è nato con quella formula del combinato e disposto, il sommarsi del decreto e della circolare Inail. La solidarietà anche assicurativa ed economica espressa dall’Inail a chi lavora nella sanità, dove l’esposizione al virus è un terribile incidente nello svolgimento delle mansioni, ora viene estesa a chiunque abbia una busta paga. Indipendentemente dal tipo di mansione e dal luogo del contagio”.

”Si tratta di una norma gravissima, perché nella sua applicazione ha un elevato potenziale di attribuire all’impresa la responsabilità del contagio, con pesanti implicazioni sul piano civile e penale Siamo di fronte all’ennesima espressione di politica anti-impresa, con l’obiettivo, in una situazione già drammatica, della ricerca di un colpevole: l’imprenditore”, ha detto nei giorni scorsi Giuseppe Pasini presidente dell’associazione industriale bresciana, commentando la norma (art. 42, d.l. 18/2020) che equipara l’infezione da Coronavirus ad infortunio, se contratta in occasione di lavoro.

L’ALLARME DELL’IMPRENDITORE PASINI

‘La scelta, inoltre, accomuna situazioni tra loro molto diverse. Una fattispecie è, infatti, quella dei medici e degli operatori sanitari, che sono stati esposti ad un rischio elevato di contagio, proprio della professione esercitata. Altra situazione è, invece, quella delle nostre aziende – proseguiva Pasini- in larghissima parte hanno sospeso le produzioni nella fase 1 e, per ripartire, hanno implementato protocolli anti-contagio rigidissimi e dettagliati per proteggere la salute dei lavoratori, nel rispetto puntuale delle regole messe a punto dagli accordi Governo-Parti Sociali. E spesso andando anche oltre”.

LE PREOCCUPAZIONI DEGLI INDUSTRIALI

”Vorrei che comprendere come sia possibile stabilire in termini certi se un contagio COVID è avvenuto dentro l’azienda o altrove – aggiungeva Pasini -. In azienda il lavoratore trascorre 8 ore, le restanti 16 le passa in altri contesti, con stili di vita e contatti che sfuggono completamente alla possibilità di prevenzione dell’imprenditore”. Come individueranno ”i medici, chiamati a certificare la natura del contagio, il tempo ed il luogo in cui si è verificato, tenuto conto dei tempi di incubazione, per stabilire con ragionevole certezza che deve risponderne l’impresa? Con questi presupposti, la responsabilità penale, che secondo il nostro ordinamento è saldamente ancorata alla colpa e al dolo, al tempo del Coronavirus diventerebbe di fatto oggettiva. Una deriva che gli imprenditori non possono accettare. Per tutto questo urge una modifica legislativa che sani questa grave incoerenza”.

COME SI MUOVE IL GOVERNO

Il governo pare interessarsi alla questione, come si evince oggi dal quotidiano la Repubblica: “Ieri la ministra al Lavoro Nunzia Catalfo ha detto che incontrerà l’Inal per discutere proprio dei risvolti penali della equiparazione. «Nei prossimi giorni avrò un incontro anche con l’istituto per verificare tutto il processo e capire anche le istanze dei datori di lavoro», ha spiegato la ministra. Un’ipotesi potrebbe essere essere quella di prevedere solo la responsabilità per dolo o colpa grave, non lieve”.

IL PUNTO SECONDO REPUBBLICA

“«Tutte la malattie da virus sono da sempre considerate infortunio sul lavoro», fanno notare dall’Inail. Questo perché lo sviluppo della patologia è improvviso e violento. Visto che risalire al contagio non è facile, si è deciso di creare due categorie di lavoratori. Se si ammalano quelli della sanità e quelli che stanno al pubblico si presume che appunto il contagio sia avvenuto al lavoro, che è a rischio per sua natura. Comunque si può provare il contrario. Per gli altri invece è il dipendente a dover dimostrare di essersi ammalato durante lo svolgimento della sua attività professionale. Se c’è l’infortunio, anche dopo un approfondimento da parte di Inail, l’istituto paga le indennità previste al lavoratore.Il problema arriva dopo, e ha a che fare con la responsabilità penale, che può essere legata a dolo o colpa del datore. È su questo che ci sono state le proteste delle aziende, perché per provare di non avere quella responsabilità bisogna dimostrare di aver usato tutte le precauzioni, aver valutato il rischio e adottato le misure di prevenzione previste per la singola attività”.

L’APPROFONDIMENTO DI JACOPO GILIBERTO SUL SOLE 24 ORE

Ha commentato oggi Jacopo Giliberto del Sole 24 Ore: “Sembra una sciarada della Settimana Enigmistica, il suono di appena due lettere cambia una parola in un’altra di senso opposto. Ecco la frase centrale — la chiave risolutiva della sciarada della Sfinge — contenuta nella circolare emessa il 3 aprile dall’Inail: «La causa virulenta è equiparata a quella violenta». La causa virulenta diventa violenta. Così, una pennellata di un paio di lettere, il virus da malattia diventa incidente sul lavoro. Il contagio da coronavirus che tante vittime ingiuste ha prodotto fra il personale degli ospedali, delle case di cura, degli ambulatori medici e delle case di riposo è stato ceduto dall’Inps (malattia) all’Inail (infortunio sul lavoro). Giustamente. Però poi il decreto Cura-Italia del 26 aprile ha esteso questo trattamento infortunistico a qualunque persona subisca il contagio e sia al tempo stesso titolare di una busta paga da dipendente. Senza che vi sia alcuna possibilità di dimostrare il rapporto fra i due fatti (lavorare a stipendio e ammalarsi), la responsabilità viene attribuita in modo automatico all’attività lavorativa. La denuncia di infortunio deve essere svolta sul modulario dell’Inail e il medico viene forzato a indicare come esatti e dimostrabili perfino i dati sempre indeterminati e indimostrabili dell’avvenuto infortunio sul lavoro, cioè il contagio. Da ciò la paura delle imprese. Basta un magistrato un po’ più livoroso del consueto o un ispettore più fegatoso del dovuto e parte l’avviso di garanzia, il cui effetto immediato è il blocco di tutti gli appalti. Non a caso il comparto dell’edilizia sembra più esposto di altri”.

LA PRECISAZIONE DELL’INAIL

“La denuncia di infortunio da infezione di nuovo coronavirus non determina alcun automatismo nel riconoscimento da parte dell’Inail”. E’ la precisazione giunta oggi dal presidente dell’Inail sulla disposizione del decreto legge Cura Italia che qualifica come infortunio sul lavoro “i casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro”. Il presidente Inail ha tenuto a precisare che “la denuncia di infortunio da infezione di nuovo coronavirus non determina alcun automatismo nel riconoscimento da parte dell’Inail. L’Istituto, ai fini della tutela infortunistica, deve comunque valutare le circostanze e le modalità dell’attività lavorativa, da cui sia possibile trarre elementi gravi per giungere ad una diagnosi di alta probabilità, se non di certezza, dell’origine lavorativa della infezione”.

I PRESUPPOSTI PER L’EROGAZIONE DELL’INDENNIZZO

“Non si possono confondere i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail con quelli per la responsabilità penale e civile”, ha aggiunto il numero uno dell’Inail, sulla scia delle polemiche anche della circolare datata 3 aprile. In merito ai profili della responsabilità civile o penale del datore di lavoro, Franco Bettoni ha precisato che “il riconoscimento come infortunio sul lavoro dell’evento del contagio per motivi professionali non costituisce presupposto per l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro”, sottolineando che “non si possono confondere i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail con quelli per la responsabilità penale e civile, che devono essere rigorosamente accertate con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative”.

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