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Mes

Conte, Salvini e le liti temerarie sul Mes. I Graffi di Damato

Le tensioni sul Mes (Meccanismo europeo di stabilità) tra il premier, Giuseppe Conte, e il leader della Lega, Matteo Salvini, viste dal notista politico Francesco Damato

 

Va bene che le piazze piene di sardine, per stare alla quasi metafora del titolo di copertina del manifesto, si può ben cadere nella tentazione di fare fuori stagione un bel pesce d’aprile. Va bene pure che con l’abitudine invalsa di delegare alla magistratura compiti che non le appartengono si può cadere nella tentazione, condivisa sia dal presidente del Consiglio sia dal capo dell’opposizione, in ordine d’importanza istituzionale, di portare in tribunale la vertenza politica esplosa anche all’interno della maggioranza giallorossa, e non solo fra questa e il centrodestra, sul cosiddetto fondo europeo salva-Stati o revisione del Mes, acronimo del Meccanismo europeo di sviluppo. Alla cui adesione corrisponderebbe, secondo il leader leghista Matteo Salvini, un alto tradimento della Costituzione da parte del presidente del Consiglio. Che potrebbe risponderne appunto nelle aule giudiziarie con le procedure del cosiddetto e ordinario tribunale dei ministri, visto che dal 1989, per fortuna, i giudici speciali del Palazzo della Consulta possono processare per questo tipo di reato solo il capo dello Stato.

Va bene, ripeto, tutto questo, che già è una enormità. Ma temo che questa volta, pur provocato dall’offensiva dell’opposizione e dal solito dissenso della principale forza di governo, il Movimento 5 Stelle attraversato – dice francescanamente lo stesso presidente del Consiglio – da difficoltà di “transizione”, Giuseppe Conte si sia fatto prendere la mano dalla sua inesperienza politica o, se preferite, dalla sua eccessiva esperienza forense, tradottasi questa volta nell’annuncio di una causa temeraria. Così a me sembra, come un giornalista un po’ avvezzo alla politica, la querela per calunnia annunciata dal presidente del Consiglio con la sfida a Salvini, in veste di senatore, a rinunciare all’immunità parlamentare ancora sancita dall’articolo 68 della Costituzione, pur dopo le mutilazioni impostogli nel 1993 dalla furia popolare, diciamo così, scatenata dalle inchieste giudiziarie sul finanziamento illegale della politica e sulla corruzione, concussione e quant’altro potesse accompagnarlo.

“I membri del Parlamento -dice ancora l’articolo 68 della carta costituzionale- non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Ed è probabilmente a questa garanzia che deve avere pensato Salvini quando, intervistato dalla Stampa, ha reagito all’annuncio o alla minaccia di Conte invitandolo sarcasticamente a mettersi “in fila dopo Carola”, la giovane tedesca da lui liquidata come “una zecca” quando lo sfidava come ministro dell’Interno, speronava una motovedetta della Guardia di Finanza e sbarcava in Italia migranti raccolti al comando di una nave del cosiddetto volontariato battente bandiera straniera. E meno male che Salvini si è fermato a Carola e non ha aggiunto alla fila la denunciante Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano purtroppo morto non per la droga di cui faceva uso ma per le percosse subite in una caserma, dove egli aveva tutto il diritto di essere protetto e sorvegliato, non ridotto in fin di vita.

Nato per sua e nostra fortuna solo nel 1964, Conte aveva solo undici anni quando i poveri Alcide De Gasperi e Mario Scelba, rispettivamente presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, subirono la pesante offensiva politica soprattutto dei comunisti contro una legge elettorale da loro proposta, e fatta approvare dal Parlamento fra proteste e tumulti, per garantire un premio di maggioranza a chi avesse già conquistato di suo il 50 per cento più uno dei voti: e non molto meno, come sarebbe stato poi proposto e deciso da maggioranze comprensive degli eredi del Pci.

Quella legge fu bollata da Palmiro Togliatti e compagni come “truffa”. A De Gasperi e a Scelba, quest’ultimo peraltro avvocato di professione, non venne minimamente in testa l’idea di querelare Togliatti, o altri non coperti da immunità parlamentare, per calunnia. E se lo avessero fatto su suggerimento di qualche studio forense anticipatore dello studio o del semplice avvocato pugliese Giuseppe Conte, sarebbero stati inseguiti per strada dai loro stessi elettori per manifesta inadeguatezza alla politica, e non solo al governo.

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