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Francia Psa Renault

Che cosa significa la vittoria di Macron contro Le Pen

La riconferma di Macron è – per dirla con l'editorialista Nicolas Beytout – una scelta liberale, pro-business e pro-europea. L'approfondimento di Andrea Mainardi

 

Come previsto Emmanuel Macron resta all’Eliseo. Secondo i primi dati (proiezioni Ipsos) il 58,2%% dei francesi lo riconferma ottavo presidente della Quinta Repubblica. In calo rispetto a cinque anni fa, quando fece il 66%, ma largamente davanti a Marine Le Pen che si ferma al 41,8%. Non vince, ma sembra fare molto meglio rispetto al 2017 quando ottenne solo il 33%. Nessun presidente in carica è stato rieletto dopo Jacques Chirac nel 2002 – sia il conservatore Nicolas Sarkozy che il socialista François Hollande sono stati eletti solo una volta. L’astensione è al 28,2%. Alta per le presidenziali. Era al 25,44 nel 2017.

L’Europa festeggia

Per Macron, Champ de Mars affollato, di giornalisti, militanti, bandiere francesi ed europee. L’abbinata Francia-Ue racconta molto della campagna elettorale. Tra i primi a complimentarsi via twitter Charles Michel, presidente del Consiglio europeo: “In questo periodo turbolento, abbiamo bisogno di un’Europa forte e di una Francia pienamente impegnata per un’Unione europea più sovrana e più strategica”.

Quindi la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: “Congratulazioni per la tua rielezione a Presidente della Repubblica. Insieme faremo avanzare Francia ed Europa”.

Le Pen giudica comunque una vittoria il suo risultato

Marine Le Pen ha parlato pochi minuti dopo le 20 dal suo quartier generale di Parigi. Saluta, “malgrado due settimane di metodi ingiusti e violenti”, il fatto che le idee “che rappresentiamo raggiungono nuove vette. Il risultato rappresenta di per sé una clamorosa vittoria”. La candidata del Rassemblement lancia infine la battaglia elettorale delle elezioni legislative.

Mélenchon guarda al “terzo turno” delle legislative

Subito dopo Jean-Luc Mélenchon ha deriso i risultati delle elezioni presidenziali e il nuovo mandato di Emmanuel Macron. “Le Pen è stata battuta, la Francia ha chiaramente rifiutato di affidarle il suo futuro e questa è un’ottima notizia. Macron è il più mal eletto dei presidenti della Quinta Repubblica. Galleggia in un oceano di astensioni, schede bianche e non validi”, ha detto, prima di lanciare “il terzo turno”. Il voto legislativo di giugno, “per battere Macron”.

Macron festeggia alla Tour Eiffel

All’ombra della Tour Eiffel sembra di essere alla convention-spettacolo di inizio aprile. In attesa del presidente trionfante, i simpatizzanti festeggiano da più di un’ora, con un dj set di musica elettronica e luci al cielo. Più che una vittoria presidenziale sembra si celebri quella di un talent. Le tv avevano lanciato il conto alla rovescia per l’annuncio dei risultati alle 20. Come a Capodanno.
Alle 21.33 scatta la Nona di Beethoven. Suonano l’inno europeo. Macron entra a Champ-de-Mars tenendo Brigitte per mano. Lo affiancano, e seguono, bambini e ragazzi. La République en marche non ha età. Si alternano anche fari blu e gialli, i colori dell’Ucraina.

“Dobbiamo rispondere alla rabbia di chi ha votato a destra”

Finalmente parla. Ringrazia i suoi e chi lo ha fatto da altre forze “per bloccare le idee dell’estrema destra. Voglio ringraziarli e dire loro che sono consapevole che questo voto mi lega per gli anni a venire”. Si professa “custode del loro attaccamento alla Repubblica”. Saluta Marine Le Pen. Solidarizza con la sua delusione. A un cenno di fischio a Le Pen invita a smetterla. Ovviamente dice: No, perché sono il presidente di tutte e tutti. Aggiunge: “Dobbiamo rispondere efficacemente alla rabbia che è stata espressa”. Incalza: “Oggi avete scelto un progetto umanista e ambizioso per l’indipendenza del nostro Paese, per l’Europa. Un progetto europeo, sociale, ecologico, basato sul lavoro e sulla creazione, un progetto per liberare le nostre forze accademiche”.

“Questo voto mi obbliga per gli anni a venire”

Fa un cenno all’Ucraina: “La guerra in Ucraina ci ricorda che la Francia deve alzare la voce per mostrare la chiarezza delle sue scelte e mostrare la sua forza in tutti i settori”. “Gli anni a venire non saranno certo tranquilli, ma storici, e potremo scriverli per la nostra generazione”. E promette: “Questa nuova era non sarà la continuità del quinquennio che sta finendo”, annunciando un ” metodo rifondato”. Si chiude con la Marsigliese. Toni sobri rispetto al 2017. Comincia un nuovo mandato in tempo di guerra.

Macron, vince più per rifiuto di Le Pen che per convinzione?

I francesi hanno scelto Macron da questo tandem che non voleva come un sequel del 2017 con gli stessi interpreti, e che ha allarmato gli analisti europei. Da settimane avvertono del pericolo Le Pen, la femme d’État malgrado il putinismo. La leader dei professionisti del nazionalismo contro (una certa idea di) Europa, mercato, globalizzazione e Nato. Sconfitta dal fronte repubblicano “contro” questo, più che a “favore” di Macron e dei professionisti dell’europeismo. O di un certo europeismo tecnocratico, enarchiano. Un’elezione segnata più dal rifiuto che dal supporto.

Ha vinto il liberalismo dei tecnici

La riconferma di Macron è – per dirla con l’editorialista Nicolas Beytout – una scelta liberale, pro-business e pro-Europa. Lo stesso Macron ha qualificato le elezioni come un referendum sull’Ue. “Un referendum a favore o contro ciò che siamo profondamente, da dove veniamo, cosa dobbiamo fare”, diceva mercoledì al dibattito Tv con Le Pen. Enfasi retorica a parte, un buon riassunto dello scontro. Più che mai, non appena tra centro e destra.

La scelta tra due France

La posta in gioco, questa volta, era la scelta tra due France. La scelta di un sistema. Tra una Francia privilegiata, quella dei centri cittadini e delle categorie benestanti, e una Francia popolare, una Francia sofferente, vittima della globalizzazione e della deindustrializzazione. L’elettorato di Macron è poi fortemente sovrarappresentato tra i dirigenti, mentre Marine Le Pen attira i voti dei lavoratori. Al primo turno l’elettorato di En Marche era più anziano e urbano. Il 10 aprile Macron ha ottenuto il 41 per cento dei voti degli over settanta. Più giovane e diffuso nella Francia profonda, quello di Le Pen. Certo, non si può governare affidandosi a due o tre categorie di popolazione. Il divario socio-politico è però innegabile. Ma la domanda resta: come interpretarlo? Al secondo turno l’elettorato si distribuisce. Macron domina ancora tra i pensionati, ma conquista voti tra i giovani.

Tiene il fronte repubblicano ma Le Pen non sfigura

E ancora, il “fronte repubblicano” ha davvero funzionato al secondo round? La definizione teorica è semplice: sostenere qualsiasi candidato repubblicano contrario a un candidato antirepubblicano. Ovvero estremo, antisistema. Nel 2002 tutti chiedevano un voto a favore di Jacques Chirac contro Jean-Marie Le Pen. Quest’anno è la terza qualificazione dell’estrema destra al secondo turno (2002, 2017, 2022). E forse c’è un cambiamento. La destra teme che una partecipazione a un “fronte repubblicano” non venga più percepita solo come un puntuale sbarramento di secondo turno, ma come sostegno politico. E chi ha votato per lei è parte di un’estrema destra non eclatante ma significativa. Sono gli elettori di Eric Zemmour (7,07%) e Nicolas Dupont-Aignan (2,06%). Marine Le Pen, inoltre, non è Jean-Marie Le Pen. Il padre assunse o addirittura incarnò le battaglie perdute dell’estrema destra. Marine appartiene a un’altra generazione.

Anche la sinistra radicale vota Marine

La sinistra “antiliberale” si trova di fronte allo stesso dilemma. Ancora più lacerante. Da un lato, opporsi al progetto di Marine Le Pen su immigrazione, sicurezza e identità. Dall’altro, esitare a partecipare a un “fronte repubblicano” a supporto di Emmanuel Macron, il cui progetto economico, sociale ed ecologico è in contrasto con tutte le sue lotte. A La France Insoumise guardano i gilets jaunes. Quanti elettori di Jean-Luc Mélenchon il 10 aprile – il 21,95% – non avranno votato oggi Le Pen o Macron? Secondo Ipsos il 17% dei melenchonnisti l’ha scelta, il 10% in più di cinque anni fa. Una maggioranza relativa del 42% degli elettori di Mélenchon ha votato per Macron, 10 punti in meno rispetto al 2017.

Tutti sereni gli osservatori europei per lo scampato pericolo? Su Europa, guerra, energia, il boccino francese è nettamente in mano a Macron. Linee, sfumature e politica interna dipendono e si smussano con i prossimi appuntamenti: la scelta del nuovo governo e soprattutto le fondamentali elezioni legislative di giugno.

La campagna elettorale ricomincia per le legislative

Per il governo c’è poco di ufficiale. Macron ha detto che il suo primo ministro, Jean Castex, rimarrà in carica nei prossimi giorni. Ma non è una riconferma a lungo termine. Una settimana, aveva detto Macron alla fine della sua campagna venerdì. Il terzo arrivato al primo turno, Jean-Luc Mélenchon ha chiesto ai francesi di eleggerlo primo ministro votando per una maggioranza di France Insoumise alle elezioni legislative di giugno. Macron non ha risposto in attesa del risultato di oggi.

Evaporano i partiti storici, la destra en marche

Alle presidenziali, Macron da solo ottiene la maggioranza, secondo le prime proiezioni, di poco inferiore al 60 per cento. Le Pen il 42% raccogliendo dai repubblicani più estremi. Poi soprattutto dall’ultrà Éric Zemmour e da Nicolas Dupont-Aignan di Debout la France. Ma anche un 17 per cento dei voti della sinistra radicale che al primo turno aveva scommesso su Mélenchon. Al di là di chi ha seguito la candidata del Rassemblement National al secondo tour, c’è in Francia una maggioranza antisistema e radicale. Un malaise français che non può non avere a che fare, nelle urne, anche con l’evaporazione dei partiti tradizionali.

L’incognita del nuovo Parlamento, le sfide di Macron

La socialista Anne Hidalgo (1,74%) e la repubblicana Valérie Pécresse (4,78%) hanno ottenuto al primo turno i risultati più umilianti per i due storici partiti di governo. I loro voti sono affluiti nel tempo nel bottino di Macron che così entra nella storia. Ma l’effetto è che così anche Le Pen entra nella storia con il 41,20. Era il vanto di Macron. L’esito del lavoro iniziato nel 2017, con una tripartizione del panorama politico. Ha digerito i partiti di governo – repubblicani e socialisti –: resta solo un grande polo centrale e due estremi, destra e sinistra. Estremi che però son sempre più grandi. Pochi minuti dopo la chiusura del primo turno, domenica 10, il presidente ha chiamato a fondare, al di là delle “differenze”, “un grande movimento politico di unità e di azione”. Lo ha ripetuto anche dopo il secondo turno. Fino ad oggi non pare essergli riuscito.  A che prezzo? La République en marche più che un partito sembra un comitato elettorale all’americana, plasmato sul candidato. Esauriti i prossimi cinque anni di presidenza che accadrà? Specie se il prossimo parlamento eletto a giugno non fornirà un’ampia maggioranza per Mr. le Président. 

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