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Vi spiego i veri motivi della guerra commerciale Usa-Germania

L’approfondimento di Tino Oldani, firma di Italia Oggi, sui rapporti tempestosi fra gli Stati Uniti di Trump e la Germania di Merkel

Angela Merkel è sempre più tra l’incudine e il martello. In Germania la cancelliera perde quote crescenti di consensi ad ogni tornata elettorale (come in Baviera e nell’Assia) e si trova a guidare un governo sempre più debole. Dall’America, Donald Trump non le dà tregua. Basta leggere le 32 pagine dell’ultimo «Currency Report» che il Dipartimento del Tesoro Usa ha inviato nei giorni scorsi al Congresso, come fa ogni sei mesi. Nel fare l’analisi della politica commerciale in atto tra gli Stati Uniti e i maggiori partner mondiali, un documento ufficiale del governo americano attacca senza mezzi termini il dumping valutario e le altre furbizie di politica economica con le quali la Germania riesce ad ottenere un surplus commerciale non solo nei confronti degli Usa, ma del mondo intero.

A differenza di Trump, che un anno fa, in uno dei suoi tweet, si limitava a poche parole per criticare la politica economica tedesca («the Germans are bad, very bad»), il documento del Tesoro Usa mette a fuoco i punti cardine della politica economica che hanno consentito alla Germania di primeggiare nel commercio mondiale, sfruttando non solo la qualità dei suoi prodotti, ma soprattutto le imperfezioni strutturali della moneta unica europea, e la posizione di vantaggio sistematico che tali imperfezioni hanno garantito per anni alla Germania nei confronti degli altri paesi dell’eurozona.

In sintesi: l’euro è, nei fatti, una moneta tedesca sottovalutata del 10-20 per cento, mentre è sopravalutata per gran parte degli altri paesi dell’eurozona, cosa che ne riduce la competitività commerciale. Ciò, afferma il Tesoro Usa, è dovuto al fatto che «nel lungo periodo c’è stata una significativa divergenza tra l’inflazione interna tedesca e la crescita dei salari rispetto all’inflazione media e alla crescita dei salari nel resto dell’area euro, risultate più elevate. Ciò ha contribuito a un aumento generale della competitività della Germania rispetto a quella dei suoi vicini dell’area euro. Tuttavia, date le ampie differenze in termini di performance economiche all’interno dell’area euro, il tasso nominale di cambio dell’euro non ha seguito questo aumento della competitività tedesca». Un punto delicato, quest’ultimo: per il Tesoro Usa, anche la politica della Bce di Mario Draghi, fondata sui tassi d’interesse negativi e sul quantitative easing, «ha contribuito alla debolezza dell’euro», favorendo così soprattutto la Germania.

Risultato: il surplus commerciale tedesco è il maggiore al mondo, è pari all’8,2% del pil tedesco, e nel rapporto bilaterale con gli Stati Uniti «è eccessivo e fonte di grave preoccupazione». In chiave europea, tale surplus è ben oltre il limite del 6% indicato dal trattato di Maastricht: una violazione che finora nessun governo dei paesi dell’eurozona, Italia compresa, ha avuto la forza di denunciare con la stessa chiarezza di analisi del Tesoro Usa. Anche la Commissione Ue, sempre così sollecita nel puntare il dito contro i paesi che sforano nel rapporto deficit-pil, non ha mai aperto bocca sulla condotta commerciale tedesca. Il che, essendo l’euroburocrazia dominata da dirigenti imposti da Berlino, con l’avallo di Jean-Claude Juncker (il caso Martin Selmayr lo conferma), non è certo una novità.

Finora i giornaloni e i media più diffusi in Germania hanno preferito ignorare l’attacco del Tesoro Usa. L’unico a schierarsi, su un blog, è stato l’economista Heiner Flassbeck, 67 anni, keynesiano in passato vicino ai socialdemocratici, ex membro del Consiglio dei cinque saggi economici della cancelleria, che si è chiesto: «Perché solo gli americani capiscono cosa sta accadendo in Europa?». A suo avviso, la politica di austerità ha danneggiato anche la Germania, non solo l’Europa. Per questo condivide il suggerimento del Tesoro Usa: «Permettere in Germania un aumento della domanda interna, farebbe crescere i salari, i consumi interni e i prezzi nei confronti degli altri paesi dell’area euro, oltre alla domanda di importazioni; inoltre un livello dei prezzi relativi più alto aiuterebbe a far apprezzare il sottovalutato tasso di cambio reale della Germania. Ciò contribuirebbe a un riequilibrio globale all’interno dell’area euro».

Flashbeck, a differenza dei colleghi che da mesi, ma soprattutto in questi giorni, chiedono a gran voce la cacciata dell’Italia dall’euro, dà anche un consiglio non richiesto: «Il governo italiano dovrebbe approfittare delle critiche americane. Fino ad ora ha avuto troppa paura di attaccare ufficialmente la posizione tedesca e di denunciare apertamente le violazioni delle regole dell’unione monetaria commesse dai tedeschi. Questa potrebbe essere una tattica per avere ulteriori argomenti da spendere nel corso delle trattative con Bruxelles. Ma prima o poi qualcuno dovrà dirlo: il dumping salariale tedesco è alla base della miseria dell’euro, e la Germania ha violato in maniera sistematica le norme sulla limitazione degli avanzi delle partite correnti, senza alcuna sanzione da parte della Commissione Ue». Viva la sincerità: come nella fiaba di Andersen c’è un bambino che dice «il re è nudo» (la verità), qui è un economista in pensione e senza incarichi, una voce libera. Rara avis in Germania.

 

Articolo pubblicato su italiaOggi

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