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Giorgetti

Vi racconto l’incendio in Forza Italia

Che cosa succede in Forza Italia? I Graffi di Damato

Cotta e mangiata, direi. Preceduto da un editoriale del Giornale di famiglia sulla necessità del centrodestra di non mancare, dopo la sconfitta nelle elezioni amministrative, “la prova del nove” del Quirinale – ha scritto il direttore Augusto Minzolini – con una condotta unitaria, a cominciare dalla scelta del candidato, Silvio Berlusconi ha fatto mangiare questa minestra nell’incontro conviviale avuto a Roma, nella sua villa sull’Appia Antica, agli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Che avevano ben poco da resistergli per le responsabilità avute nella sconfitta subita dalla coalizione soprattutto nei ballottaggi comunali di Roma e di Torino, e nella conferma un po’ stentata del sindaco azzurro di Trieste giunto ormai al suo quarto e ultimo mandato.

Alla Meloni, peraltro, come con ironia ha osservato il cronista del Foglio, Berlusconi da buon padrone di casa com’è non ha fatto mancare a conclusione del pranzo le predilette pere cotte con la marmellata. Ed anche un supplemento di colloquio -aggiungo- dopo il commiato di Salvini, che ha sempre un’agenda molto fitta da rispettare, anche a costo di perdersi qualche volta un incontro o un’appendice preziosa, con o senza i cagnolini del Cavaliere festosamente tra i piedi.

E’ comprensibile la soddisfazione del Giornale nel trovare tradotto il suo auspicio, se non lo vogliamo chiamare indirizzo, nel comunicato conclusivo del vertice sulla “unità” concordata, confermata e quant’altro a proposito della partita quirinalizia.

Ma, a parte la oggettiva problematicità della candidatura di Berlusconi, accreditata dall’editoriale del quotidiano di famiglia, per l’età dell’ex presidente del Consiglio, per le incognite abituali delle votazioni parlamentari obbligatoriamente a scrutinio segreto e per i trascorsi o pendenze giudiziarie dell’ex presidente del Consiglio, su cui naturalmente si è affrettato a dilungarsi col suo solito linguaggio Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, che paradossalmente ha così mostrato di essere forse quello che ritiene più probabile una riuscita dell’operazione con l’aiuto palese o nascosto di parti del centro o persino della sinistra; a parte tutto questo, dicevo, si è improvvisamente aperta o riaperta una falla grossa come una casa in Forza Italia. Dove l’acclamazione dello sportivo Paolo Barelli a capogruppo alla Camera, designato da Berlusconi su proposta di Antonio Tajani, senza la votazione a scrutinio segreto chiesta dai sostenitori di Sestino Giacomoni, già collaboratore stretto del Cavaliere, ha fatto insorgere la ministra Mariastella Gelmini. Che, pur mostrando di prendersela più con Tajani che con Berlusconi, costretto dalle sue condizioni di salute a seguire a distanza le vicende politiche, ha contestato duramente la linea del partito troppo remissiva verso gli alleati che si fanno concorrenza tra loro su posizioni di destra alquanto spinta.

Fra l’altro, rimediandosi accuse di slealtà e di irriconoscenza dalla senatrice Licia Ronzulli e dal sottosegretario Giorgio Mulè, la Gelmini ha lamentato la sottovalutazione, e ancor più da parte dello stretto giro berlusconiano, della delegazione forzista al governo, come se essa fosse composta da infedeli o traditori, al servizio quasi personale di Mario Draghi. Del cui arrivo a Palazzo Chigi Berlusconi pur si attribuisce il merito, condividendolo al massimo col presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ci vorrà una bella squadra di pompieri per spegnere questo incendio interno al centrodestra e al partito che se ne considera un po’ garante in Europa.

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