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Vi racconto la vera lotta sotterranea dei partiti su Draghi

Che cosa è emerso dall'assemblea di Articolo 1. Le tensioni all'interno della maggioranza. E la vera questione Draghi fra Pd e Lega. Il punto di Paola Sacchi

 

Enrico Letta, Giuseppe Conte, Roberto Speranza, il rappresentante delle Sardine, altri esponenti della sinistra. E penta-sinistra. Più o meno la stessa (ad eccezione di Letta al posto di Nicola Zingaretti) che avrebbe voluto un Conte ter al posto del governo Draghi.

Le immagini che sono arrivate ieri, via web, dall’assemblea di “Articolo 1“, di cui è leader Speranza, con tanto di conferme di alleanze tra Pd, sinistre e Cinque Stelle, in vista delle elezioni politiche cui saranno, seppur a seconda dei casi, propedeutiche quelle alle amministrative, laddove, dice Conte, sarà possibile, rimandano alla maggioranza giallo-rossa che fu. E appaiono oggettivamente il vero paradosso che cozza in modo stridente con i propositi del segretario del Pd di apparire come l’alleato più solido nella nuova maggioranza extra-large di Draghi. Un alleato, Letta, che prima chiede che il governo si dia “una missione” più ampia in vista delle riforme indispensabili perché in Italia arrivino i fondi del Recovery plan e poi torna ad ingaggiare una dura polemica con Matteo Salvini che, con La Repubblica e Il Corriere della sera, si era detto scettico sul fatto che questa maggioranza possa fare riforme come quella della Giustizia.

Letta lancia un nuovo aut-aut (o dentro o fuori) al leader leghista che ha deciso di raccogliere sulla Giustizia le firme con i Radicali. Insomma, di nuovo quello che Salvini e la Lega interpretano come un chiaro invito a uscire dal governo. Il tutto fa parte della dura dialettica politica, naturalmente, ma quello che appare come il vero paradosso è che Letta lanci il suo nuovo diktat proprio mentre rilancia il suo progetto di alleanza, che ricostituisce la vecchia maggioranza giallo-rossa, con quelle forze che avrebbero voluto il Conte ter, un mondo rispetto al quale il governo Draghi sta segnando ogni giorno di più una netta discontinuità. Sono caduti e stanno cadendo, uno dopo l’altro, infatti, personaggi simbolo di quel “vecchio” mondo che ruotava attorno all’ex premier Conte.

Dall’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, sostituito con il generale Francesco Paolo Figliuolo fino al terremoto nei Servizi segreti con la recente sostituzione di Gennaro Vecchione con l’ambasciatrice Elisabetta Belloni al vertice del Dis. Operazioni di rottura con il passato che portano la firma di Draghi, proprio quel premier di cui il segretario del Pd tende, invece, ad accreditarsi come l’alleato più credibile per cercare di estromettere Salvini e la Lega.

Ma il governo Draghi di emergenza nazionale e non di unità nazionale, come ha ricordato il capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari, in tv, a Stasera Italia, è nato per far fronte a tre punti sull’onda della pandemia (sanitario, economico, sociale) e certamente per presentare il Pnrr, per l’impiego dei fondi Ue. “Letta ora invece gli vuole allargare la missione”, osserva Molinari. E piazza anche, dal ddl Zan allo ius soli, una serie di bandierine di partito in parlamento. Mentre Salvini si muove con il suo pressing sulle riaperture, comunque se ne pensi, nell’ambito della missione per la quale l’esecutivo è nato.

Non risulta almeno finora che il leader leghista abbia, tanto per fare un esempio, ripiazzato bandierine per ripristinare i suoi decreti sicurezza. Sarebbe venuto giù il mondo. Evidente ormai, in tutto questo, secondo smaliziati osservatori delle cose di Palazzo, il pressing partito da sinistra perché Draghi resti al governo fino al 2023, mentre il leader leghista è tornato ad apprezzarne una eventuale candidatura per il Colle (“Sempre che lui lo voglia”) nel 2022, aggiungendo che questo il Pd non lo vorrebbe anche perché “ha già una decina di candidati”.

E così tutte le strade delle polemiche interne alla maggioranza rimandano sempre spediti a quello che succederà tra meno di un anno sul colle più alto. Mentre in ambienti di sinistra si starebbe accarezzando l’ipotesi di chiedere al presidente Sergio Mattarella di restare per un altro mandato. Ipotesi però smentita a fine 2020 dallo stesso Capo dello Stato.

Ma tornando alla nuova-vecchia ex maggioranza giallo-rossa, andata in onda via web all’assemblea di “Articolo 1”, quello che colpisce oggettivamente è l’assenza, in quel “gruppo di famiglia in un interno” , di volti come quello di Matteo Renzi o di Carlo Calenda, candidato a Roma che non parteciperà alle primarie del Pd. Non si sa ancora cosa farà il centrodestra, che a sua volta registra ritardi, nella capitale. Ma, se tutte le strade delle polemiche portano al Colle, molte non c’è dubbio che portano anche a Roma. Ovvero la grande incognita di una sinistra che sembra ancora muoversi come se il tempo si fosse fermato e il governo Draghi non fosse mai arrivato.

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