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Vi racconto come s’incendia il governo sull’ìmmigrazione

Perché Matteo Salvini e Luigi Di Maio duellano. I Graffi di Damato

 

I francesi, beati loro, ma più in generale tutti quelli che nel mondo ne hanno condiviso lo sgomento e le preghiere di fronte alle fiamme che hanno dilaniato Notre-Dame, possono contare di vedere risorgere l’imponente cattedrale di Parigi entro cinque anni, secondo l’impegno preso dal presidente della loro Repubblica, più bella e forte di prima. Così hanno detto anche due uomini che se ne intendono come l’architetto Renzo Piano e lo storico dell’arte Vittorio Sgarbi, contestando una certa disperazione retorica che sempre si affaccia in queste circostanze, a dispetto dei progressi compiuti e dimostrati dall’umanità anche per riparare alle disgrazie e ai propri errori.

Con le ceneri provvisorie di Notre-Dame sparirà anche il cattivo gusto, a dir poco, di chi ha voluto fare ironia pure sui sentimenti religiosi, come l’autore della “cattiveria” di giornata sulla prima pagina del Fatto Quotidiano. Dove si è potuto scrivere, con la pretesa di far ridere, che “le reliquie” custodite nella cattedrale parigina “sono tutte salve” ma “resta da accertare perché non abbiano funzionato” per scongiurare l’incendio scoppiato nel cantiere del restauro in corso da mesi.

Noi italiani, decisamente meno fortunati, non possiamo purtroppo sapere se e in quanto tempo riusciremo a vedere restaurato o ricostruito -anche qui più forte di prima- il senso dello Stato saltato letteralmente in aria con l’inaudito scontro fra i Ministeri dell’Interno e della Difesa, e le cosiddette autorità civili e militari, di ogni ordine e grado, su come fronteggiare l’aumento del già esponenziale fenomeno dell’immigrazione di fronte all’aggravamento della situazione in Libia. Il cui capo del governo riconosciuto e garantito dall’Onu ha cercato di mobilitare anche l’Italia, che pure lo ha sinora aiutato, contro l’assalto sferrato dal generale Haftar, e da quanti gli stanno dietro, prospettando la fuga di ottocentomila disperati verso l’Europa e le sue prime stazioni marittime, che sono appunto quelle italiane.

Prima ancora che da Tripoli si levasse questa minaccia, vera o strumentale che fosse, già correva sulle acque del Mediterraneo per prestare soccorsi ai profughi, al comando dell’immancabile e notissimo contestatore Luca Casarini, reduce da una sua visita di ristoro a Montecitorio, la nave…caritatevole Jonio. Che di recente era stata prontamente sequestrata per un’analoga operazione ma altrettanto prontamente dissequestrata a Lampedusa con tutti i bolli necessari.

Senza trattenersi dalla voglia di indicarla esplicitamente, o esplicativamente, come obiettivo il vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell’Interno ha emesso una circolare di “intimazione”, destinata anche alle autorità e unità militari dipendenti dal Ministero della Difesa, finalizzata alla sostanziale chiusura, o richiusura, dei porti italiani. Dove la nave Jonio e ogni altro mezzo, compresi quelli militari, non possono contare di sbarcare quanti hanno soccorso rendendosi di fatto complici di un traffico di clandestini, da altri invece considerati e definiti rifugiati perché in fuga dalla guerra. Ne è nata una rivolta di carta dei generali, con tanto di nota dello Stato Maggiore della Difesa condivisa e rilanciata dalla ministra grillina Elisabetta Trenta, già altre volte scontratasi con Salvini su versanti diversi. Al manifesto, sempre felicemente immaginifico nei titoli, hanno chiamato sulla prima pagina “battaglia navale” quella che si è aperta con i comunicati, ma si potrebbe chiamare anche scontro o caos istituzionale.

Il presidente della Repubblica, capo anche delle Forze Armate per dettato costituzionale, almeno sino al momento in cui scrivo, forse per non aggravare la situazione rendendola più esplicita e riconoscibile, ha evitato di convocare il Consiglio Supremo di Difesa e di cercare di mettere ordine in questa Babele scoppiata fra il Viminale e il dicastero quasi limitrofo al Quirinale, che è quello guidato da Elisabetta Trenta. Ma Sergio Mattarella deve averne parlato lo stesso -si spera- col presidente del Consiglio Giuseppe Conte, da lui convocato per essere sostanzialmente richiamato all’ordine su un altro aspetto, non meno inquietante e grave, dell’attività di governo: l’abitudine di approvare per finta in Consiglio dei Ministri decreti-legge con la formula della “riserva d’intesa”. Che viene poi cercata, e non sempre trovata davvero, fra i ministeri e i ministri interessati, senza un altro passaggio collegiale. Cui invece Sergio Mattarella ha ricordato a Conte che nessuno può sottrarsi senza mettersi sotto i piedi la decenza istituzionale . Le parole, magari, saranno state diverse, ma il contenuto della protesta e del monito del presidente della Repubblica è stato ed è questo.

Si dirà che pure questo spettacolo, chiamiamolo così, è il prodotto tossico della campagna in corso per le elezioni europee e amministrative di fine maggio, nella quale i due partiti di governo si combattono fra di loro più di quanto insieme non facciano per attaccare o difendersi dalle opposizioni. Ma questa della campagna elettorale è una ben magra consolazione, anche perché -torno a ricordare, sino alla noia- la lotta intestina da urne continuerà nella maggioranza gialloverde anche dopo, in vista delle elezioni regionali dell’anno prossimo, e con l’ombra sempre più corta delle elezioni politiche anticipate

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