skip to Main Content

Migrazioni

Vi dico un paio di verità non dette sull’immigrazione

Alla maturità classica del Liceo Galileo di Firenze, sono stato compagno di banco di Leonardo, un ragazzo bravissimo e comunista. Camminavamo per Firenze, in discussioni infinite, e trovammo un mendicante: feci per dargli qualcosa, mi fermò e, rivolto al poveruomo, gli urlò “ non fare la carità, vota comunista!”. Rimasi imbarazzato ma quella frase mi…

Alla maturità classica del Liceo Galileo di Firenze, sono stato compagno di banco di Leonardo, un ragazzo bravissimo e comunista. Camminavamo per Firenze, in discussioni infinite, e trovammo un mendicante: feci per dargli qualcosa, mi fermò e, rivolto al poveruomo, gli urlò “ non fare la carità, vota comunista!”. Rimasi imbarazzato ma quella frase mi restò impressa nella testa… per tutta la vita.

Mi è tornata in mente in questi giorni, vedendo le disgrazie dei migranti verso le aree ricche del mondo e il buonismo umano e caritatevole di molta gente — spontaneo — ma il più delle volte anche strumentale o addirittura cinico. Questo “buonismo” verbale  è semplice e sbrigativo: facile, insomma, come la carità al mendicante. Aiutiamoli e poi vedremo… È un’emergenza: noi siamo ricchi e loro disperati, possiamo aiutarli, chi non vuole farlo è solo nemico dei poveri e quindi “di destra”, i “buonisti” sono “di sinistra”, compresi molti  corpulenti cardinali, il Vaticano e il Papa.

Etica e politica sono cose differenti: i problemi non si risolvono con “la bontà” né con la morale, ma con il cervello e con la mediazione di bisogni diversi, a volte contrapposti… quindi con la “politica”.

Cinquant’anni fa ebbe un ruolo importante nelle nostre relazioni internazionali la Direzione Generale per lo Sviluppo e la Cooperazione del Ministero degli Esteri. Aveva il compito di elaborare piani di aiuti e di crediti per i Paesi poveri e di realizzarli in rapporti di cooperazione bilaterali e multilaterali; altrettanto facevano alcune organizzazioni internazionali come l’UNDP, Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo.

La DGSC non era né di destra  né di sinistra; obbediva al ministro di turno sulla opportunità delle scelte e della politica estera italiana, ma interveniva in concreto nei Paesi poveri, con accordi e progetti concordati. Nel 1966 l’on. Mario Pedini, democristiano, fece approvare una legge per permettere a chi non voleva fare il militare di andare nei Paesi poveri a lavorare per un periodo più lungo di quello della leva, in cooperazione bilaterale o multinazionale.  All’epoca questa politica fu considerata progressista e di sinistra (l’Europa era appena uscita dal periodo “coloniale”). La linea politica era quella di aiutare lo sviluppo delle aree più povere con la cooperazione, in una sorta di utopistica redistribuzione del reddito mondiale.

Tangentopoli accusò e condannò nella sostanza quella Direzione come centro di malaffare: in parte lo fu, come spesso accade quando si maneggiano soldi, ma non in tutto…   Questo non importò, ormai il bollo del malaffare era stato stampato e  la rilevanza di quella politica crollò.

Invece lo sviluppo dei Paesi di emigrazione è la chiave di soluzione dei problemi legati alle migrazioni selvagge, oggetto di mercimonio e di nuove tratte schiavistiche. Ai tempi dello schiavismo, portavano via la gente e la commerciavano, ora la fanno addirittura pagare per essere portata via; prima la “merce” veniva scelta, in funzione del mercato, ora trafficano con bambini, donne incinte e giovani da avviare alla prostituzione, a loro spese. Non si tratta di fermare le emigrazioni, quanto di regolarizzarle, ordinarle, umanizzarle.

Ci sono due emergenze da affrontare: quelle umanitarie causate da guerre, tragedie e carestie e quelle economiche dovute in sostanza solo alla miseria e alla povertà.

Le prime sono in gran parte imputabili alla “violenza” dell’Occidente nel provocare guerre e destabilizzazioni regionali, legate a quello che una volta si chiamava imperialismo (si vedano Iraq, Libia, Siria e guerre tribali africane, per non parlare delle cosiddette “primavere arabe”: sono stati avviati e incoraggiati conflitti, senza avere alcuna idea sulle loro possibili conclusioni, al di là dei diretti e immediati interessi dei Paesi occidentali che li hanno provocati). Anche da sole, queste migrazioni  costituirebbero un impegno di difficile soluzione per l’equilibrio europeo, che, non bisogna dimenticarlo, deve far fronte anche ai movimenti di popolazioni “interni”, dalle aree povere a quelle ricche del continente stesso (sud ed est, verso nord e ovest).

Le seconde — la miseria e la povertà registrabili in larghe regioni africane e asiatiche — sono spesso dovute non tanto alla povertà della loro terra (che spesso invece è ricca o molto ricca) quanto alla incapacità delle classi dirigenti locali ad avviarsi sulla strada dello sviluppo. In questo caso solo la cooperazione bilaterale e multinazionale può funzionare. Il mondo “ricco” e potente, con le sue Unioni (Ue e Usa), con i suoi Paesi continenti Russia, Cina, India, Brasile, Canada, Australia, per esempio, potrebbe intervenire  per interrompere questa spirale di incapacità e di disperazione, usando anche le Nazioni Unite, che stanno progressivamente andando alla deriva, discreditate e a oggi organismi burocratico-diplomatici quasi superflui.

Le soluzioni di emergenza per questo popolo della miseria, che si pensava già in cammino verso il Paradiso e  che si trova invece nell’Inferno della peggiore sopravvivenza — nelle mani di speculatori, trafficanti e “mediatori dal volto umano” — sono legate alla capacità di intervento dell’Europa, più che di questo o quel Paese, ove sovranismo e nazionalismo sono sempre più spesso dominanti, se pure in forme diverse. Forse ora è il momento del suo riscatto. Da unione burocratica e inutile, l’Unione europea potrebbe essere delegata a risolvere una contingenza storica drammatica e a ritrovare una sua vocazione pacifista, nel rispetto delle diversità culturali e geografiche del continente. Smetta di occuparsi della dimensione dei frutti o dei molluschi e guardi invece alla pace dell’Europa, al suo interno (il recente caso Francia – Italia resta molto preoccupante) e nel mondo. La pace non è solamente “non guerra”: oggi è soprattutto cooperazione, democrazia, rispetto dei popoli,  delle loro idee, delle loro culture e dei loro sovranismi, antimondializzazione.

Il “buonismo” può venire dopo, ma prima deve esserci la Politica, come diceva Nenni: la “politique d’abord”!

Back To Top