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Tutti i subbugli negli Usa su Covid-19

Che cosa sta succedendo negli Usa sulla pandemia da Covid-19 e il pacchetto di misure anti contagio economico. L'articolo di Marco Orioles

Per gli americani alle prese con l’emergenza da Covid-19, quella di ieri è stata un’altra giornata di passione.

I numeri del contagio d’altronde non lasciano scampo, con i casi saliti nella notte a 52.976 con una distribuzione in ormai in tutti i cinquanta Stati dell’Unione più il Distretto della Columbia. Guam, Puerto Rico e le isole Vergini. Nella sola giornata di ieri si sono inoltre registrati almeno 705 decessi, di cui 210 nella sola New York, il focolaio più preoccupante di tutti gli States.

È questo il contesto in cui Margaret Harris, portavoce dell’OMS, ha infilato il dito nella piaga parlando degli Usa come di un Paese che – visti i numeri in contino aumento, e soprattutto i trend concomitanti in discesa in altre aree del pianeta- con il “potenziale” per diventare il prossimo “epicentro” globale della pandemia.

“Ciò che stiamo vedendo adesso”, ha dichiarato Harris alla stampa, “è una poderosa accelerazione nel numero dei casi negli Stati Uniti – per questo (dico che) ha quel potenziale. Non possiamo dire che sia ancora il caso, ma ha quel potenziale”.

Chi suda freddo, in queste ore, è Andrew Cuomo,  governatore di uno Stato – quello di New York – dove il numero di casi (arrivato a 25,665, di cui 15 mila nella sola area metropolitana della Grande Mela) raddoppia ogni tre giorni e le morti per Covid-19 sono pari ad un terzo di tutti i decessi del Paese.

Il ritmo del contagio qui è tale che lo Stato pronostica di aver bisogno molto presto di almeno 140 mila letti negli ospedali, a fronte di una disponibilità di poco più di 50 mila.

Visto sotto questa luce, appare quanto mai comprensibile lo sfogo di ieri di Cuomo, che ha commentato le fosche previsioni di un consulente affermando che, se fino al giorno prima “stavamo guardando ad un treno merci passare attraverso il paese, adesso stiamo guardando ad un bullet train”.

I nervi di Cuomo erano a tal punto tesi ieri da innescare una vera e propria zuffa mediatica tra il governatore e Donald Trump, reo di aver trasferito nella trincea di New York appena 400 respiratori.

“Cosa ce ne facciano di 400 respiratori, quando ne abbiamo bisogno di 30 mila?”

Poiché l’affondo di Cuomo si è diffuso alla velocità del segnale dei quattro network tv di New York e soprattutto di una selva di emittenti nazionali via cavo – tra cui le corazzate CNN, Fox News e MSNBC – la replica del tycoon era solo questione di tempo.

“L’ho visto lamentarsi in quello show”, è stato il commento del presidente ad una vicenda da lui addebitata all’insipienza dell’accusatore, incapace – secondo la contraccusa del capo della Casa Bianca – di acquistare  da sé quei respiratori quando tutto era calmo e, tra l’altro, “a un prezzo molto vantaggioso”.

La disputa tra il n. 1 d’America e quello di New York non fa molto onore, a ben vedere, ad una situazione – quella dello Stato amministrato da Cuomo – che non può  affatto permettersi simili lussi.

Prova ne siano le parole di Deborah Birx, coordinatrice della task force governativa anti-Covid-19, che ha esortato “tutti coloro che si trovavano a New York” fino a pochi giorni fa e hanno scelto di dirigersi (o riparare) verso altri lidi “a mettersi in quarantena per i prossimi 14 giorni per assicurare che il virus non si diffonda”.

Più che un consiglio, quello di Birx è un monito suffragato da una constatazione: a Long Island si sono individuati nuovi focolai che indicano come il virus si stia spostando dal cuore di New York alle periferie e di lì al New Jersey e oltre.

Una prova diretta che i timori della coordinatrice sono giustificati l’ha fornita ieri il governatore della Florida Ron deSantis, che si è detto pronto a ordinare la quarantena obbligatoria per chiunque nelle ultime tre settimane abbia raggiunto il suo stato partendo da New York – mossa giustificata dal fatto, acclarato dai dati a disposizione di Birx, che circa il 60% dei casi di Covid-19 in Florida sono importati dall’area metropolitana di NY.

È questo il contesto nel quale le trattative tra l’amministrazione Trump e i leader del Congresso per varare il maxi pacchetto di stimolo da 2 trilioni di dollari sono giunte ieri praticamente al capolinea dopo che maggioranza e opposizione hanno concordato i necessari compromessi.

Dopo aver passato l’intera giornata a fare avanti e indietro tra il tavolo negoziale e i rispettivi colleghi di governo e partito, il Segretario al Tesoro Steven Mnuchin, il n. 1 dei Dem al Senato Chuck Schumer, il suo omologo repubblicano Mitch McConnell e il direttore degli affari legislativi della Casa Bianca Eric Ueland hanno raggiunto un’intesa di massima sulla bozza da sottoporre, probabilmente già oggi, al voto del Senato.

Decisiva, per superare l’impasse tra i due partiti, è stata la decisione di governo e Partito Repubblicano di accettare la condizione posta dai rivali democratici al varo del fondo da 500 miliardi di dollari per il bailout delle aziende penalizzate dal virus: a sorvegliare su quella montagna di denaro e sulle direzioni che prenderà – evitando che abbiano luogo elargizioni a pioggia a vantaggio della facoltosa classe imprenditoriale – ci saranno un ispettore generale e un panel nominato dal Congresso.

Su insistenza della speaker della Camera Nancy Pelosi, nel pacchetto dovrebbero finire – sempre che lo spirito bipartisan prevalga fino a questo punto – anche buoni pasto per i lavoratori colpiti dalla crisi e misure per i pensionati. E c’è lo zampino di Schumer in un’altra misura che sarebbe stata pattuita dai partiti: l’estensione di un ulteriore mese dell’assicurazione per la disoccupazione che finirà così per coprire quattro mesi di inattività del lavoratore.

Ma non è per questi motivi che ieri in Borsa si è ripresentato con prepotenza l’Orso, che nel giro di pochi minuti ha fatto fare al Dow Jones il balzo in su (salendo da 20,704.91 punti a 2,112.98, pari a +11,4%) più impetuoso dal 1933, trascinando nella stessa direzione anche lo S&P 500 (9,4%, il terzo più robusto aumento percentuale sperimentato da questo indice dai giorni della seconda guerra mondiale) e il Nasdaq (8,1%).

A sospingere il plantigrado nelle stanze di Wall Street sono state, piuttosto, le parole del super-consigliere economico di Trump, Larry Kudlow, che ha salutato l’imminente varo del “più grande programma di assistenza (….) nella storia degli Stati Uniti”.

E chi si avvantaggerà di tanta magnificenza se non le compagnie aeree, quelle di navigazione e i casino – attività economiche che il pacchetto al voto del parlamento indica espressamente come beneficiarie dei bailout – che proprio ieri in Borsa hanno messo le ali, con le azioni della triade del volo negli Usa – Delta, American e United – salite di ben il 20% e quelle di Norwegian Cruise Lines premiate con un rialzo di addirittura il 40%, che ne ha fatto la performance migliore dello S&P 500 di tutta la giornata?

Il buon umore che regnava ieri a Wall Street si è tra l’altro propagato in fretta nel resto del mondo e in particolare in Asia, col Nikkei che ha recuperato il 5,3% (anche sull’onda della notizia del posticipo delle olimpiadi all’anno prossimo), Hong Kong salita del 3% e Sidney del 3,6%. Buone notizie pure per il prezzo del petrolio, con la quotazione del Brent salita di 73 cent.

È sullo sfondo di questi numeri, e della sottostante speranza di una rinascita dell’economia Usa dopo lo schianto da virus, che va collocata la nuova esortazione di Trump a riaprire tutto in barba alle misure di contenimento volute dalla comunità scientifica.

Mentre partecipava ad un dibattito civico trasmesso in diretta da Fox News, il presidente ha non solo ribadito la sua insofferenza per la propria stessa decisione di “chiudere il paese” a causa del virus, ma ha accennato alla possibilità di porre fine alle restrizioni “entro Pasqua”.

“Penso sia possibile, perché no? (…) Ho dato due settimane (…). Possiamo mantenere la distanza sociale e andare lo stesso al lavoro”.

Peccato che sul far della sera The Donald sembri essere ritornato sui propri passi, complice probabilmente la presenza al suo fianco, durante la conferenza stampa del pomeriggio, di quella che molti americani considerano ormai la sua nemesi: Anthony Fauci.

Il direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases che lo stesso tycoon ha voluto alla guida della task force contro il virus ha contraddetto l’anelito del presidente, sostenendo che non ci sarà alcun rilassamento specialmente in aree critiche come quelle di New York.

Nulla toglie tuttavia, ha aggiunto Fauci, che possa esserci della “flessibilità in altre aree” sulla base di ciò che diranno i dati epidemiologici.

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