Il pubblico ministero egiziano ha detto che gli assassini dello studente italiano Giulio Regeni rimangono sconosciuti e lunedì hanno detto che avrebbero chiuso temporaneamente le indagini sull’omicidio di Regeni, mentre i pubblici ministeri in Italia si preparano a procedere per portare al processo a Roma almeno cinque funzionari della intelligence egiziana.
Del tutto comprensibile sia la reazione dei genitori di Regeni che del loro avvocato Alessandra Ballerini, che hanno rilasciato una dichiarazione congiunta durissima in cui hanno esortato il governo italiano a “riconoscere questo oltraggio” richiamando l’ambasciatore italiano al Cairo.
Nello specifico la dichiarazione congiunta dei genitori di Regeni sottolinea come da parte delle autorità egiziane vi siano state innumerevoli ingiustizie. Non solo infatti Giulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso ma ne hanno macchiato la reputazione screditandolo, mentendo e ingannando. Semplicemente inammissibile che i pubblici ministeri egiziani abbiamo espresso “riserve” nei confronti delle conclusioni alle quali sono giunti i magistrati italiani.
Tuttavia la questione Regeni presenta un altro mistero: Matteo Renzi, che era il primo ministro italiano al momento dell’omicidio, ha dichiarato la scorsa settimana che il suo governo era stato informato del rapimento solo il 31 gennaio 2016 sottolineando che se il governo avesse saputo prima si sarebbe potuto agire in modo diverso.
Tuttavia il ministero degli Esteri italiano ha respinto le dichiarazioni dell’ex premier sostenendo che le istituzioni governative italiane e i servizi segreti erano stati informati sin dalle prime ore dopo la scomparsa di Giulio il 25 gennaio 2016. Ma d’altronde sulla credibilità di Renzi è più che lecito nutrire qualche ragionevole dubbio… soprattutto dopo l’ampia e documentata inchiesta di Report su Alitalia e su Piaggio Aerospace.
Vediamo adesso di affrontare la vicenda dei 18 pescatori di Mazara del Vallo (8 dei quali di nazionalità italiana) prigionieri da settembre delle milizie dell’Esercito nazionale libico (LNA) del generale Khalifa Haftar.
Al di là delle dichiarazioni del vicepresidente del governo di Tripoli, Ahmed Maitig, secondo il quale si sta lavorando assiduamente per la liberazione dei pescatori italiani anche grazie ai colloqui avviati con gli ufficiali di Bengasi, lo scambio proposto con i quattro trafficanti libici condannati dal nostro paese per traffico di esseri umani, rappresenta una evidente umiliazione per il nostro paese.
In primo luogo perché la detenzione dura ormai già da tre mesi — un tempo lunghissimo — ed è inammissibile per una nazione che formalmente si vanta di avere una credibilità internazionale ma che nei fatti ne è del tutto priva soprattutto sullo scacchiere libico come abbiamo più volte sottolineato su queste pagine.
In secondo luogo perché questo scambio è stato chiesto da Haftar che non è un esponente della jihad islamica ma un esponente istituzionale riconosciuto sia dall’Italia che a livello internazionale. Insomma uno schiaffo dato sia al nostro paese che alla comunità internazionale.
In terzo luogo, se un tale accordo dovesse concretizzarsi, potrebbe costituire un pericoloso precedente dal momento che autorizzerebbe implicitamente il sequestro di altre persone a scopo di riscatto.
Infine è lecito domandarsi quale utilità abbia la Marina militare italiana unitamente alle forze speciali — considerate fra le migliori a livello internazionale — se non vengono usate proprio in queste circostanze o a scopo di dissuasione nel caso della Marina da attuarsi a largo di Bengasi o per porre in essere un blitz da parte delle special forces.
Questi due casi che abbiamo in breve presentato hanno un evidente comun denominatore: da lato un dimostrano l’incapacità politica, l’assenza di decisionismo politico ma soprattutto dimostrano la totale assenza di credibilità del nostro paese a livello internazionale. Continuiamo pure ad occuparci di Maradona.