Chi è causa del suo mal pianga sé stesso. Se stiamo alle parole di Jean-Leonard Touadi, giornalista, ex parlamentare e docente di Geografia dello sviluppo in Africa all’università La Sapienza, il vecchio adagio si applica bene al caso della Francia che, dopo aver dettato legge per decenni nelle sue ex colonie come il Niger, si trova ora a fare i conti con un’ondata panafricana di risentimento la cui più plastica espressione è il putsch militare del 26 luglio a Niamey. Se dunque Parigi sta per essere tagliata fuori da una regione strategica come il Sahel e dalle sue preziose risorse, dovrà rimproverare solo quelli che Touadi, in questa intervista a Start Magazine, definisce i suoi “mastodontici errori”.
Touadi, un aspetto abbastanza trascurato dai media internazionali del golpe in Niger è il motivo o i motivi per cui è successo. Ce lo spiega?
Non è la prima volta che il Niger è alle prese con colpi di stato. Dall’indipendenza in poi sia il Niger che i Paesi vicini hanno avuto frequenti golpe militari o cambi di governo avvenuti in maniera violenta. In Niger in particolare ne ha conosciuto uno nel 1974, e altri due nel 1999 e nel 2010 cui vanno aggiunti vari tentativi poi sventati l’ultimo dei quali il 30 marzo 2021.
Poi c’è stata la prima transizione democratica con l’avvento al potere del Presidente Bazoum.
Sì, con Bazoum il Niger sembrava aver finalmente trovato una strada verso la democrazia e le alternanze pacifiche al potere. Il Paese si era stabilizzato, si era fatta largo una società civile molto vivace e rivendicativa. Si aveva anche l’impressione che le varie ribellioni etniche che si erano manifestate a partire dagli anni Novanta, che hanno visto protagonista la minoranza di ceppo arabo dei tuareg, si fossero in qualche modo sopite.
E i militari? Erano rientrati pacificamente nelle caserme?
In realtà i militari hanno mantenuto una forte presenza nel sistema e nella società nigerine. Il loro potere si è rafforzato molto con l’affacciarsi nel Sahel della minaccia jihadista, che è diventata prioritaria per questi Paesi. L’apparato militare in Niger ha accresciuto la sua importanza; lo stesso Bazoum, che non è un militare, aveva ricoperto il delicato incarico di ministro dell’interno.
Il Niger è all’interno di un contesto come il Sahel quanto mai turbolento.
È vero, a partire dal 2011 i Paesi del Sahel sono stati investiti da un’ondata di milizie rifornite di armamenti in uscita dalla Libia, dove avevano combattuto a fianco di Gheddafi. Penso in particolare alle bande di tuareg che Gheddafi aveva ingaggiato e che poi sono tornate a Sud quando il dittatore libico è stato assassinato. Questo la dice lunga su quanto l’Occidente abbia sottovalutato i contraccolpi degli eventi in Libia. Queste milizie, dicevo, si sono riversate verso Sud dove hanno trovato terreno fertile nelle varie rivendicazioni indipendentiste e secessioniste delle etnie che vivono a cavallo tra Niger, Burkina Faso e Mali. Dunque tutta questa fascia sahariana è diventata incandescente.
In mezzo a questo caos, sguazzano i jihadisti.
Sì, una volta perso il santuario siriano, gli estremisti islamici hanno concentrato la loro attenzione sul Sahel con un duplice obiettivo: espandersi verso Sud, nell’Africa subsahariana, e destabilizzare i Paesi a Nord, quelli del Maghreb.
Giacché stiamo parlando del contesto regionale, spicca, agli occhi di chi guarda oggi la carta geografica, l’esistenza della cosiddetta “cintura dei golpe”, ossia un’area ininterrotta che va dall’Atlantico al Mar Rosso comprensiva di Paesi che hanno avuto di recente colpi di stato militari. Qual è il trait d’union tra questi Paesi, oltre alla realtà comune dei golpe?
Si è molto parlato nelle ultime settimane del ruolo della Francia in questa regione. Tutti questi Paesi scontano anzitutto il totale fallimento delle strategie militari di Parigi. L’epicentro di questa frustrazione è il Mali dove la Francia si era impegnata pesantemente con l’operazione Barkhane, e ancor prima, con il Presidente Hollande, che nel 2012 aveva lanciato un’altra operazione militare per impedire che i jihadisti espugnassero la capitale Bamako.
In Mali i jihadisti avevano fondato addirittura un califfato, tre anni prima di quello nato a cavallo di Siria e Iraq.
Sì, è stata un’esperienza devastante, segnata dal saccheggio di Timbuktu e di importanti siti storici come varie moschee medievali, espressione di un islam locale felicemente ibridato con le tradizioni autoctone ma che agli occhi dei jihadisti rappresentava una forma di apostasia. Ed è in questa cornice che si sono innestati gli errori mastodontici della Francia.
Addirittura mastodontici?
Non saprei come altro definirli. I militari francesi non si sono limitati a intervenire a sostegno degli eserciti locali, ma hanno preso direttamente il comando delle operazioni con gli eserciti del Mali, del Burkina Faso e più recentemente del Niger che erano addirittura agli ordini di quello francese. La Francia ha cioè agito come se fosse stata in Corsica o in Martinica. Questa subalternità, a sessant’anni dall’indipendenza dalla stessa Francia, ha ovviamente creato risentimento tra le gerarchie di quegli eserciti.
Naturalmente anche la popolazione è diventata ostile.
Certamente. Anzi, l’ostilità risale ad ancor prima e rimanda ad aspetti ormai notori come la questione del franco CFO, la valuta adottata da 14 ex colonie africane francesi le cui riserve d’oro giacciono nella pancia della Banca centrale francese. Oltre a questo, Parigi ha inanellato una serie di errori clamorosi come l’intervento in Costa d’Avorio del 2011 per dirimere quella che era una mera disputa interna: ricordo che allora il presidente di quel Paese fu arrestato e consegnato al Tribunale dell’Aia che due anni fa lo ha scagionato da tutte le accuse.
A questo punto possiamo richiamare la brutale eliminazione di Gheddafi.
Quello fu un altro errore macroscopico, vissuto con frustrazione da tutta l’Africa in quanto era in corso una mediazione dell’Unione Africana che aveva inviato in Libia una delegazione che non poté atterrare a causa del diniego delle truppe occidentali. La somma di questi errori ha avuto un effetto devastante sulle opinioni pubbliche africane. Tra l’altro, nonostante lo schieramento massiccio di truppe francesi in Africa Occidentale, i jihadisti hanno continuato a imperversare e a perpetrare impunemente i loro massacri.
Insomma la Francia dovrà rimproverare solo sé stessa se ora, come pare, perderà il controllo dei giacimenti di uranio nel Niger che alimentano le sue centrali nucleari.
È proprio così. Tra l’altro ci sono dei precedenti: si ricorderà forse delle guerre francesi contro Gheddafi per il controllo della cosiddetta fascia dell’uranio in Tchad: la Francia è intervenuta più volte in quel Paese a sostegno dei regimi al potere, ma in realtà con l’obiettivo di difendere quei giacimenti. E il Niger come il Tchad è pieno di uranio che, vorrei precisare, rappresenta il 20% delle importazioni dell’Unione europea.