Diciamo la verità: quella di Laura Boldrini e di Giuseppe Provenzano non è stata una grande idea. Quella di prendere carta e penna e scrivere ad Ursula von Der Leyen, invitandola a bloccare i fondi per la Tunisia. Non lo è stata perché nei rapporti internazionali è sempre indispensabile un livello minimo di savoir-faire che, in questo caso, non c’è stato. Non deve sorprendere allora la reazione da parte di chi si sente offeso ed oggetto di una sorveglianza che suona negazione del principio di sovranità nazionale. L’aver reiterato il divieto di ingresso ad esponenti europei da parte, del Presidente tunisino, è solo la triste conseguenza di una spirale che deve essere bloccata.
L’AFFONDO, GRAVE, DI BOLDRINI E PROVENZANO
L’affondo della Boldrini e di Provenzano è stato, comunque, grave. Entrambi hanno ricoperto importanti cariche istituzionali, la prima è stata Presidente della Camera dei deputati, sebbene a digiuno di qualsiasi pregressa esperienza politica. Il secondo, giovane ricercatore della Svimez, era stato Ministro per il Sud e la coesione territoriale durante il Conte II. Prima, con Enrico Letta era stato vice presidente del partito. Oggi è responsabile Esteri dei DS. Il loro torto è quello di aver dimenticato una delle prime regole della politica. L’essere contro, in modo pregiudiziale, di solito non paga. L’arte del governo si muove meglio su un terreno propositivo, piuttosto che brandendo lo spadone del vecchio crociato. Ed ancora una volta i fatti, purtroppo, ci hanno dato ragione.
La Commissione europea, infatti, ha del tutto ignorato le sollecitazioni dei due esponenti politici della sinistra italiana. E deliberato di concedere due prestiti, per un totale di 127 milioni. Di cui 60 milioni, al fine di finanziare il bilancio del Paese e i rimanenti per la gestione dei flussi migratori. Di cui solo una parte (42 milioni) in ottemperanza alle clausole previste Memorandum of Understanding firmato tra la Tunisia e l’Unione europea lo scorso 16 luglio. Somme che dovranno essere utilizzate per fornire alla guardia costiera e alla marina tunisina imbarcazioni per la ricerca e il salvataggio, telecamere termiche, radar e altre attrezzature di sorveglianza.
È più che evidente il fatto che sia stata questa seconda destinazione ad urtare la suscettibilità dei nostri eroi, fino a far commettere loro gli errori di galateo di cui si è detto in precedenza. Dure le accuse contro il presidente Kaïs Saïed, la cui vocazione giacobina non è piaciuta alle anime bella della sinistra, non solo italiana, resosi responsabili secondo il “j’accuse”, contenuta nella lettera pubblicata da La stampa, di aver “pronunciato e diffuso un messaggio xenofobo in cui ha parlato di «orde di immigrati irregolari provenienti dall’Africa subsahariana» che sarebbero arrivati in Tunisia portando «la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati», i quali sarebbero parte di un disegno «per cambiare la composizione demografica» e fare della Tunisia «un altro Stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico».
LA TUNISIA È PARTE DEL SUD GLOBALE
Quella del Presidente tunisino è stata forse una drammatizzazione eccessiva? Per rispondere basta guardare alla composizione demografica degli abitanti della Tunisia, così come risulta dai dati forniti dalla Banca centrale di quel Paese (gennaio 2023 n.221). Lo scorso anno gli stranieri che vivevano nel Paese erano più di 5 milioni di persone. A fronte di una popolazione residente, secondo i dati del FMI, di poco più di 12 milioni. Molti gli europei e, più in generale, gli occidentali, ma, specie nel passato, una prevalenza di Algerini e Libici. Recentemente tallonati dagli Africani, cresciuti, negli ultimi anni del 76 per cento.
Si tratterebbe, secondo gli ultimi dati di circa 81 mila persone, la cui maggioranza si è stabilita a Sfax. La seconda città tunisina, ieri centro industriale (olio d’oliva) ed ittico (pesce fresco e congelato) fosfati. Oggi occupata da bande di scafisti, che producono in loco i “barchini della morte”, e sono dediti al più redditizio traffico degli emigranti. Gli abitanti di Sfax non superano le 330 mila persone. Il rapporto con l’etnia africana è quindi di circa il 25 per cento. Numeri che danno da pensare. Il problema non è la loro “africanità” ma quella molla che li ha spinti a giungere fino al terminale magrebino, in vista dell’Europa, dopo aver superato l’inferno del deserto. La cui porta si trova a poco più di 250 chilometri di distanza.
La Tunisia, per quanto sia la più occidentalizzante tra i vari Paesi del Magreb, fa comunque parte del Sud Globale. Tolto il periodo di Ben Ali, in cui il tasso di crescita del Paese fu tra i più alti tra gli Emergenti, gli anni successivi (governi di Ennahda, costola dei Fratelli musulmani) lasciarono sempre più intravedere una prospettiva malthusiana, con un tasso di sviluppo che non riusciva a sostenere il pur debole incremento demografico. Il risultato ultimo di questi processi era stato quello di una società sempre più polarizzata: da un lato una classe media, seppure numericamente contenuta, di stampo tendenzialmente europeo; dall’altro le grandi masse popolari destinate a vivere poco al di sopra dei livelli di sussistenza. La prima ospitata nelle zone più moderne di Tunisi e dintorni. Le seconde concentrate nelle grandi periferie del Sud. Di cui Sfax è tuttora un’enclave.
LE CONSEGUENZE DELL’IMMIGRAZIONE
Il crescente numero di immigrati dalle zone subsahariane ha completamente stravolto la geografia di quei luoghi. Ed in particolare di Sfax. Ha dato luogo ad una lotta tra poveri per la redistribuzione di quelle risorse (poche) che erano, in precedenza, a disposizione dei nativi. La concorrenza per accaparrarsi un qualsiasi lavoro è divenuta feroce. Per il semplice fatto che l’obiettivo dei nuovi immigrati era quello mettere insieme, nel più breve tempo possibile, la somma necessaria per comprarsi un posto nel viaggio della speranza.
Colpa del Presidente, come accusano Boldrini e Provenzano? Il cui discorso avrebbe avuto “un impatto su larga scala con conseguenti aggressioni nei confronti dei migranti subsahariani, cacciati dalle case in cui vivevano, minacciati lungo le strade, attaccati e feriti con armi da taglio, licenziati in tronco dai posti di lavoro, arrestati arbitrariamente, e dunque con nessun’altra alternativa a quella di lasciare la Tunisia. Una pericolosa onda xenofoba che mette in difficoltà anche le associazioni e gli organismi internazionali che lavorano nel paese.” Difficile crederlo.
La verità è che si parla della Tunisia, ma in effetti si ha in mente l’Italia. Nell’anno gli sbarchi sono stati pari, secondo il Viminale, a 130.620 persone. Il doppio dell’anno precedente. Quasi tre volte quello del 2021. Il 36 per cento degli immigrati non è stato ancora identificato. Del rimanente 64 per cento, oltre la metà (il 53,4 per cento) proviene dai Paesi subsahariani. Quei “dannati della terra” che sono nel cuore della Boldrini e di Provenzano, che fuggono dai loro Paesi con il miraggio di un lungo viaggio verso la terra promessa. Di cui la Tunisia rappresenta solo una tappa intermedia. Ma che l’Italia, sola contro tutti, alla fine dovrebbe accogliere. Cosa che dovrebbe apparire a tutti impossibile, se non vi fosse, invece, anche all’estero, chi rema contro.