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Global South

Tutte le sfide del Sud globale al dollaro Usa e non solo

I paesi del Global South stanno cercando di prendere le distanze dall'ordine mondiale e finanziario definito dagli Stati Uniti. Ecco propositi, limiti ed errori americani.

Con l’espressione Global South si intende quell’insieme ampio ed eterogeno di Paesi emergenti che rischiano oggi di finire nell’orbita cinese e russa e rimettere in discussione l’ordine mondiale faticosamente costruito da Washington nel secondo dopoguerra. Questo è il tema di un recente approfondimento di Bloomberg che mostra come dietro queste spinte vi siano quasi sempre ragioni di ordine economico.

Global South vs America?

Liberismo; dollaro; Bretton Woods; Gatt e Wto: Washington Consensus. Queste sono state, dal secondo dopoguerra, le pietre miliari dell’ordine mondiale, che ha funzionato sula base di idee, regole e istituzioni generate in America a cui il resto del mondo doveva semplicemente accodarsi.

Adesso tuttavia quegli stessi pilastri vengono messi in discussione da quell’insieme di attori che siamo usi definire collettivamente come Global South, ossia quel gruppo di Paesi che, anziché obbedire ciecamente e seguire i riflessi del passato, stanno scrivendo un loro copione.

Egemonia del dollaro? L’India esibisce con vanto la diffusione dei pagamenti digitali con le altre nazioni emergenti.

Queste ultime, nel frattempo, stanno riprendendo il controllo delle loro risorse naturali emancipandosi dai legami con i Paesi importatori ancora in odore di colonialismo. Dopo Namibia e Zimbabwe, adesso è il Ghana che si sta preparando a bandire le esportazioni di litio, ossia di un materiale fondamentale per le auto elettriche e dunque ricercatissimo in Occidente. L’Indonesia a sua volta ha proibito l’esportazione di minerale di nickel.

E sempre a proposito di auto elettrica e della sottostante competizione tra Cina e Occidente: Argentina, Brasile, Cile e Indonesia stanno dando la preferenza agli investimenti cinesi per impianti di prodizione di batterie per EV piuttosto che a quelli americani.

Dedollarizzazione?

Ci sono poi processi incipienti di dedollarizzazione, guidati da un Presidente come il brasiliano Lula che, visitando la Cina in aprile, si è chiesto “chi abbia deciso che il dollaro” debba essere la valuta egemone nel mondo.

A remare verso un mondo liberato dall’influenza del biglietto verde sono i Brics, ma anche in altri Paesi si avverte lo stesso fermento. La Banca di Tailandia sta diversificando le sue valute di riserva con l’obiettivo di emancipare il valore del baht da quello del dollaro.

L’Indonesia e i Paesi vicini hanno lanciato sistemi di pagamento digitali anche con l’obiettivo di ridurre il bisogno di ampi quantitativi di dollari per i pagamenti quotidiani.

È sempre in cantiere, poi, il progetto di creare una valuta panafricana.

Geopolitica del non allineamento

Anche a livello geopolitico l’influenza americana si sta corrodendo, come mostra l’elevato numero di Paesi emergenti, tra cui spiccano India e Brasile, che si sono rifiutati di unirsi al coro di condanna della Russia per l’invasione dell’Ucraina, o quello degli Stati che non si schierano a priori con Washington nel suo scontro con la Cina.

Si moltiplicano di giorno in giorno le dichiarazioni come quella del Primo ministro bangladese Hasina che spiegano il proprio non allineamento con variazioni sul tema “siamo amici di tutti”.

E non sono più rari comportamenti come quello dei ministri della Difesa dei Paesi asiatici che, riuniti al Forum sulla sicurezza di Singapore, hanno scelto di non condannare la provocazione di una nave da guerra cinese contro una nave americana nello Stretto di Taiwan perché, a loro giudizio, bisogna fare di tutto per evitare un conflitto.

Sempre a proposito della Russia e degli sforzi occidentali per isolarla con le sanzioni, vanno segnalati gli acquisti massicci dell’oro nero di Mosca da parte dell’India, le presunte forniture di armi alla Russia di cui è sospettato il Sudafrica, o il silenzio tombale di un Paese come il Vietnam su cui molto sta investendo l’America nel suo sforzo di ricollocare in Paesi amici le produzioni un tempo basate in Cina.

Errori strategici

Non hanno aiutato comportamenti americani come la politica rialzista della Fed o le palpitazioni sul tetto al debito.

A casa di queste défaillance, gli Usa non stanno riuscendo a capitalizzare la visione negativa della Cina nutrita dalle opinioni pubbliche di molti Paesi ed emersa in un recente e clamoroso sondaggio del Pew Research Center.

Assenza di vision

E qui emerge secondo Bloomberg l’attuale problema degli Usa alle prese con il declino della propria influenza globale: la mancanza di una narrazione convincente almeno tanto quella di attori come Cina e Russia che mirano a fare del Global South la leva con cui scardinare l’attuale ordine mondiale.

Con la sua enfasi sul multilateralismo e sulla sovranità monetaria, la vision cinese si candida insomma ad essere il grido di battaglia con cui compattare al proprio seguito i Paesi emergenti. L’America è avvertita.

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