Skip to content

trump

Trump è meno ideologico della Heritage Foundation

Analogie e differenze tra il programma di Trump e l'agenda "Project 2025" elaborata dal think tank conservatore Heritage Foundation. L'approfondimento di Lorenzo Castellani, docente alla Luiss, tratto dal sito della Fondazione Feltrinelli

 

La coalizione di interessi dell’amministrazione Trump II si caratterizza per essere una sorta di “accelerazione reazionaria” in grado di tenere insieme sia il futurismo richiesto dai tecnologi e dai loro finanzieri che puntano allo sviluppo industriale, alla deregulation e alla sburocratizzazione sia la reazione del popolo di stretta osservanza trumpiana che richiede protezione dalla globalizzazione e dall’immigrazione e rifiuta la pedagogia progressista.

Ci si chiede come il progetto trumpiano si leghi alla corposa agenda “Project 2025”, elaborata dalla Heritage Foundation, un prestigioso think tank conservatore nato nell’era reaganiana. Durante la campagna elettorale Donald Trump ha cercato di prendere le distanze dal documento, che pende di più verso la reazione che l’accelerazione in particolare per quanto concerne diritti civili (aborto) e guerra culturale al progressismo.

Possiamo dire che Trump, con la sua variegata coalizione, è meno ideologico del programma sciorinato dalla Heritage Foundation. Non mancano tuttavia alcune similitudini: il progetto di smantellare pezzi dello Stato amministrativo, con la chiusura di numerose agenzie federali; l’avversione alle politiche green; l’idea di un ampio rimpatrio degli immigrati regolari; l’aumento delle posizioni burocratiche soggette allo spoil-system invece che al merito; la riforma del Dipartimento della Giustizia, percepito come troppo potente nei confronti della Presidenza.

Anche se la sovrapposizione non è totale, entrambi i programmi bene esprimono la concezione di una democrazia populista che si accoppia con idee fortemente conservatrici. Un programma che, se realizzato in forma integrale e le incognite che ciò possa davvero accadere sono molte, porrebbe fine alla democrazia progressiva e liberale costruita da Franklin Delano Roosevelt fino a Joe Biden e rafforzata dal consenso sulle dinamiche della globalizzazione condivise da Democratici e Repubblicani fino al 2008.

Ciò non implicherebbe il tramonto della democrazia in America o il collasso della separazione dei poteri, almeno fino a che la Costituzione resterà immodificata, ma segnerebbe l’ingresso in un ciclo politico nuovo i cui contorni hanno già iniziato a presentarsi dal 2016.

(Estratto di un approfondimento pubblicato sul sito della Fondazione Feltrinelli; qui l’articolo completo)

Torna su