Che cosa succederà in Siria dopo la fine del regime di Assad?
In dieci giorni le milizie di Al Jolani, leader di Hayat Tahir al-Sham (Hts) e in passato legato all’ISIS e ad Al Qaeda, hanno preso la Siria di Bashar al-Assad, costringendo il presidente a riparare in Russia. Aleppo, Hama, Daraa, Homs e, infine, Damasco, le città sono cadute l’una dopo l’altra trovando una resistenza scarsa e gettando la Siria in un caos che, per certi versi, ricorda quello libico dopo la deposizione di Muʿammar Gheddafi.
LA SIRIA CADE IN DIECI GIORNI
“In maniera particolarmente efficace e sorprendente il cartello di forze, l’alleanza militare che si oppone al regime di Bashar al-Assad ha portato avanti un’offensiva militare che non ha incontrato una risposta da parte delle forze di Assad – ha detto Tiziano Marino, analista Asia e Pacifico del CeSI, Centro Studi Internazionali –. È partita dalla zona della regione di Idlib, è scesa verso la capitale Damasco, ha attraversato Aleppo e altri siti strategici senza trovare resistenza. Ciò che rende particolare questa alleanza è il fatto che mette insieme delle istanze diverse, è guidata dall’HTS, a cui capo c’è Al Jolani, un ex jihadista che in questo momento ha scelto una posizione più moderata. Questa alleanza militare è riuscita a sfruttare la debolezza del regime e probabilmente anche la disattenzione di attori esterni, Russia e Iran su tutti, che hanno agito a sostegno del regime dal 2011 in poi.
L’ISIS GUARDA AL CAOS SIRIANO CON INTERESSE
Al Jolani, nel primo discorso dopo la caduta di Assad, ha parlato di “nazione islamica”, tanto da far pensare che la caduta di Assad possa avere degli effetti sul rafforzamento dell’ISIS nella zona. “Questo è uno degli aspetti più interessanti. In questa fase in Siria ci sono una serie di milizie che agiscono in zone diverse del paese e che hanno interessi anche diametralmente opposti. HTS, la sigla guidata dal Al Jolani, non condivide interessi strategici e obiettivi con l’ISIS. Tuttavia, l’ISIS è operativa, soprattutto nell’est del paese; quindi, potrebbe avvantaggiarsi del caos che si verrà verosimilmente a creare nel paese di qui a poco – spiega l’analista del CeSI -. Perché dobbiamo sottolineare che la Siria è in mano a fazioni, tribù e signori della guerra. Un paese, al momento, difficilmente pacificabile su larga scala. Ancora in queste ore si combatte nei settori nordorientali, dove le forze curde si scontrano con le milizie pro-turche. Quindi, sì, l’ISIS potrebbe avvantaggiarsi del caos. Non ha vinto l’ISIS o forze strettamente collegate all’ISIS ma potrebbe avvantaggiarsi. Questo è un dato reale.
LA PARTITA DI IRAN E RUSSIA IN SIRIA
Nella partita siriana giocano grandi potenze, regionali e internazionali, che hanno basi, più o meno ufficiali, in Siria. Non a caso Assad si è immediatamente rifugiato in Russia. “La Russia, probabilmente, cercherà di instaurare un legame con le forze che in questo momento controllano le regioni attorno ai siti militari strategici per il paese e cercherà di ottenere delle garanzie per mantenere la presenza nel paese – spiega Marino -. D’altro canto, però, la Russia si prende la ‘patata bollente di Assad’ perché pensa di poter giocare la carta di Assad nel momento in cui in paese ci fosse instabilità. Uno scenario che al momento non sarebbe da escludere, anzi probabilmente è il più probabile”.
L’Iran sembra, invece, il grande sconfitto in questa vicenda. “La perdita della Siria è una sconfitta strategica ampia, totale, che ha colto di sorpresa la Repubblica islamica, la isola ulteriormente. Soprattutto perché la Siria era un elemento fondamentale nella strategia regionale del paese. La Siria rappresentava quel retroterra che consentiva di collegarsi ai proxy attivi nei territori palestinesi, ma anche in Libano, penso a Hezbollah – continua l’analista -. L’Iran è stato colto di sorpresa, non è riuscito e non ha optato per l’opzione militare e, quindi, in questo momento si trova tagliato fuori dal paese. Sicuramente dei tentativi per rientrare li farà. Ci sono tante componenti etniche e religiose vicino all’Iran all’interno della Siria, su queste l’Iran potrà fare leva, da qui ai prossimi mesi, se non anni, per provare in qualche modo a rientrare. Uscire dalla porta per rientrare dalla finestra.
LA CADUTA DI ASSAD FAVORISCE ISRAELE
La caduta della Siria nelle mani delle milizie di Al Jolani avrà ripercussioni anche sul conflitto in corso tra Israele e Hamas. “Quello che si augura Israele è che Hezbollah risulti indebolito. L’Iran riusciva a fornire rifornimenti e assistenza militare attraverso un collegamento terrestre garantito dalla Siria di Assad – aggiunge Tiziano Marino -. Quindi ci potrebbe essere un ulteriore indebolimento di Hezbollah e questa è la ragione principale per cui Israele segue la partita con grandissimo interesse. D’altro canto, però, l’affermazione di forze jihadiste o islamiste al confine con il Libano non fa dormire sogni tranquilli a Tel Aviv. Questo è, credo, l’impatto maggiore che ci sarà, almeno nel breve, su quel conflitto. In prospettiva è molto probabile che molte realtà all’interno della Siria, parlo di coloro i quali hanno vinto, scelgano di sostenere la causa palestinese. Questa è la seconda preoccupazione di Israele, che però porta a casa, ripeto, un buon risultato”.
Ma Israele ha svolto un ruolo indiretto? “Israele ha bombardato le forze fedeli a Bashar al-Assad per diversi mesi prima di questa offensiva. Ripeto, la caduta di Assad, la favorisce nel conflitto in Libano con Hezbollah”.
IL DISIMPEGNO DEGLI USA ANCHE NEI CONFRONTI DELLA SIRIA
Il presidente Biden ha detto che gli USA non avrebbero permesso un ritorno in forze dell’ISIS. Certo questa posizione potrebbe cambiare l’avvicendamento tra Biden e Trump, per lo meno nel senso della predisposizione all’impegno per evitarlo. “Sicuramente l’attenzione rimane alta. C’è una differenza tra le forze che hanno marciato su Damasco e l’ISIS. Malgrado, in passato, il leader sia stato collegato con l’ISIS e, prima ancora, con Al Qaeda, non sono queste le forze che hanno fatto cadere Assad – spiega Marino . Quindi, direi che nessuno ha favorito un’avanzata dell’ISIS. Tuttavia, queste sono forze islamiste e jihadiste, a modo loro, non si chiamano ISIS, hanno altre sigle e hanno portato a casa un risultato ottimale. Detto ciò, la rimozione di Assad fa piacere agli Stati Uniti”.
In prospettiva, Trump ha promesso un disimpegno dalla regione. “Questo è il tema. Al momento stazionano alcuni militari in Siria, è assolutamente improbabile che quei militari riescono ad andare via nel breve periodo. Anzi, sarebbe lecito attendersi un maggiore impegno degli Stati Uniti – conclude l’analista -. Tuttavia, conosciamo Trump, la sua politica estera è assolutamente imprevedibile. L’esperienza afghana ci dimostra che gli Usa vogliono disinteressarsi da questi teatri. Trump potrebbe anche optare per un ritiro delle truppe ma non credo che cesserà l’attenzione sulla Siria. Anche se non ci sarà presenza militare ci saranno gli occhi puntanti dell’intelligence statunitense. Quello della Siria è uno dei quadri più complessi dello scacchiere internazionale, ricorda, per certi versi la Libia post Gheddafi, uno scenario almeno altrettanto complesso”.