Francesco Merlo, collegato con lo studio televisivo di Marianna Aprile e Luca Telese, de la 7, deve avere pensato a Eugenio Scalfari quando ha ribadito i dubbi appena espressi su Repubblica sulla sostanziale copertura che il giornalismo italiano sta dando alla vicenda della giovane collega Cecilia Sala. Che il regime iraniano ha odiosamente sequestrato, incarcerandola, per strappare al governo italiano – diciamolo senza infingimenti – il rifiuto all’estradizione chiesta dagli Stati Uniti per un ingegnere arrestato a Malpensa, di doppia nazionalità, iraniana e svizzera. Un ingegnere “esperto”, eufemisticamente, in droni usati nelle guerre in corso cui partecipa a suo modo, direttamente e indirettamente, l’Iran degli ayatollah.
Se il mio amico Francesco Merlo ha pensato a Scalfari parlando genericamente degli scomparsi maestri della nostra professione presumibilmente in sofferenza dove potrebbero seguirci, io ho pensato a Indro Montanelli e agli anni trascorsi insieme al Giornale. Quando, per esempio, il terrorismo contava anche sull’informazione per portare avanti le sue scellerate campagne. Ci ho pensato e mi son detto che sì, anche lui, Montanelli, non se ne sarebbe stato zitto di fronte a quella forma di complicità, aiuto, distrazione che è stata chiesta e concessa di fronte ai guai nei quali Cecilia Sala – sia chiaro – non si è messa ma è stata messa dal regime iraniano che ha deciso così indecentemente di usarla per cercare di non privarsi di qualcuno un po’ più consistente di un esperto in droni e simili. E in ciò a cui servono.
Ecco, è proprio in questa rappresentazione riduttiva di quell’uomo, e di ciò che gli sta dietro e intorno, in un orribile intreccio internazionale, in difesa del quale il regime iraniano si è mobilitato usando come ostaggio una giornalista colpevole solo della professione che esercita, e delle circostanze del tutto casuali che l’hanno voluta in quei giorni in Iran piuttosto che altrove, che io trovo personalmente non condivisibile il comportamento scelto da noi, suoi colleghi, in Italia nella presunzione di proteggerla di più e meglio. E non mi si venga a invocare per favore, il garantismo per giustificare la pretesa del regime iraniano di considerare quell’ingegnere, appunto, solo e non più di un esperto in droni e simili.
Il garantismo è quello che pratichiamo ogni giorno qui, sul Dubbio, raccontando e commentando ciò che accade, non quello che vorrebbe imporre all’Italia e al suo governo, e non solo al giornalismo italiano, il regime iraniano.