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Giorgetti

Sicuri che Calenda e Letta non si fidanzeranno?

Che cosa succede tra il Pd di Enrico Letta e Azione di Carlo Calenda. I Graffi di Damato

Se questo primo giorno di agosto si rivelerà davvero decisivo per la definizione dei cartelli, poli o come altro vogliamo chiamare quelli destinati a fronteggiarsi nelle urne del 25 settembre per il rinnovo, finalmente, delle Camere elette nel 2018, bisogna riconoscere che non è cominciato nel migliore dei modi per il segretario del Pd Enrico Letta. Al quale l’ex ministro Carlo Calenda ha lanciato un segnale più forte del solito contro il tentativo di inglobarlo con esponenti della sinistra radicale e transfughi del MoVimento 5 Stelle per fronteggiare il centrodestra dato generalmente vincente a guida meloniana, per quanti sforzi faccia Silvio Berlusconi di riproporre la sua funzione centrale e di garanzia col modesto 9 per cento che gli assegnano i sondaggi, contro poco più o poco meno del 13 per cento dei leghisti e il 23 per cento e forse anche più della destra post-missina dei fratelli d’Italia.

Intervistato dal Corriere della Sera, Calenda ha parlato di Enrico Letta un po’ come Giuseppe Conte parlava di Mario Draghi prima o apposta per ritirargli la fiducia, farlo dimettere e accelerare un po’ masochisticamente le elezioni. E con le elezioni anche la fine del famoso “campo largo” coltivato col Pd per salvare i resti del movimento grillino. “Abbiamo presentato un documento preciso su come intendiamo governare il Paese. Non abbiamo avuto alcuna risposta”, ha detto Calenda quasi come Conte – ripeto – il mese scorso parlava dei fogli in nove punti consegnati personalmente a Draghi per reclamare “discontinuità” e “cambio di passo” nell’azione di governo.

“E’ una settimana che gli chiedo di rispondermi ed è una settimana che entrano nella coalizione persone che rappresentano il contrario di quello che dovremmo fare”, ha insistito Calenda tradendo una certa insofferenza sulla strada di un polo alternativo, con Matteo Renzi ed Emma Bonino, sia al centrodestra di tendenza meloniana sia al centrosinistra di memoria prodiana perseguito dal Pd. “Il cartello – ha osservato quasi solleticandolo Stefano Folli su Repubblica – non è destinato a sottrarre voti al Pd (Renzi, dice un sondaggio, è gradito solo all’1 per cento dell’elettorato dem), mentre è in grado di dare uno sbocco al malessere della destra moderata, specie quella che per anni si é riconosciuta in Forza Italia”. Da dove sono uscite le ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna per essere festosamente accolte da Calenda e portate per ora nella segreteria del suo movimento, in attesa di candidarle al Parlamento fra qualche giorno, si vedrà come e dove.

Lo storico Ernesto Galli della Loggia, divisosi oggi fra un editoriale sul Corriere della Sera per niente o non del tutto prevenuto verso Giorgia Meloni e un’intervista a Libero, ha colto bene le difficoltà in cui Calenda ha messo Enrico Letta, o in cui questi già si trovava di suo affrontando le trattative per il suo campo largo verso il centro e non più verso Conte. “Deve rendere compatibili i suoi presunti alleati – ha detto Galli della Loggia di Enrico Letta a Libero – con tre-quattro correnti del Pd che hanno idee opposte in proposito. E quand’anche ci riuscisse, poi dovrebbe rendere compatibili tra loro tutti gli alleati. Una fatica da Sisifo”.

Fra “le tre-quattro correnti del Pd” andrebbe collocata anche quella ideale dell’ex editore di Repubblica Carlo De Benedetti, propostosi una volta come “tessera numero uno” del Pd. Sentite come il suo nuovo giornale, Domani, fondato dall’ingegnere dopo avere rinfacciato ai figli di avere svenduto Repubblica alla famiglia Agnelli, ha proprio oggi rappresentato in un editoriale firmato da Curzio Maltese la situazione: “Il Pd di Letta non può fare a meno dei Cinque stelle”. “Lo capisce pure un bambino”, avverte il titolista, rigorosamente in rosso.

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