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Fratelli d’Italia, i consigli di Giulio Tremonti a Giorgia Meloni

Da "Appunti per un programma conservatore" a cura di Fratelli D'Italia: "Indipendenza è sovranità - Un'Europa confederale per la sfida della deglobalizzazione con il contributo di Giulio Tremonti

 

Oggi non è la fine del mondo, ma certo è la fine di un mondo. La fine di quel “mondo globale” che per tre decenni si è sviluppato ruotando sull’asse ideologico del mercato. Il mercato, matrice di un nuovo tipo d’uomo, un uomo che non ha più un passato perché ha solo il futuro. Il mercato dominante nel disegno di una nuova architettura politica: il mercato sopra e gli Stati sotto, l’economia sopra e la politica sotto: nazioni senza ricchezza, ricchezza senza nazioni.

Tre decenni unici, perché mai nella storia un cambiamento così intenso è stato in un tempo così breve. Nel 1989, con il muro di Berlino cade la semisecolare opposizione tra comunismo e democrazia; nel 1994, con il “Trattato WTO”, si ha l’ingresso del mercato nella nuova geopolitica del mondo grazie alla quale la Cina conoscerà una fase storica di forte crescita; nel 2008, con la prima crisi globale emerge nella parte più ricca del mondo il lato oscuro della globalizzazione: la follia della produzione in Asia e dei consumi in Occidente. Con in mezzo gli oceani da inquinare trasportando milioni di container. Invece di introdurre regole per un mercato equo oltre che libero, come proposto dal Governo italiano di centrodestra nel 2009, ci si è dati alla ricerca della “stabilità finanziaria”. Con la conseguenza che di financial stability se ne è vista davvero poca e la crisi interna alla globalizzazione non è stata superata, ma solo rinviata creando moneta dal nulla (“helicopter money”, “whatever it takes”, regulated quantitative easing”). È così che oggi, come mai è stato nella storia, la massa della “ricchezza” finanziaria è tre volte quella reale. Ed è anche in questo – non solo nella guerra – il rischio grave di una catastrofe globale.

LE 5 PIAGHE DELLA GLOBALIZZAZIONE (5 FINORA) E LE CURE PER GUARIRNE

C’è nella Bibbia un mito che ci aiuta a capire la crisi del tempo presente: il mito della Torre di Babele. L’umanità sfida la divinità, erigendo verso il cielo una torre sempre più alta. La divinità reagisce, privando l’umanità della lingua unica. È stato lo stesso con la pandemia: la diffusione globale del virus ha infatti hackerato il software della globalizzazione, ne ha spezzato la dominante ideologica costituita dal pensiero unico. È così che gli effetti della pandemia non sono stati o sono solo quelli sanitari, ma effetti più vasti e più generali. Ed è così che oggi vediamo apparire le “piaghe” portate dalla modernità globale e queste oggi ci si presentano in sequenza: una sull’altra, una dopo l’altra:

a) l’inquinamento, spinto dalla globalizzazione fino ad un livello enormemente più alto di quello prodotto dalla vecchia civiltà industriale. In parallelo e conseguente viene una grande parte delle attuali alterazioni climatiche. Tutto questo, tra l’altro, è l’habitat ideale per nuovi virus.

b) lo svuotamento della democrazia, sversata nella “Repubblica internazionale del denaro”, questa il regno dei “crematisti”, i credenti nella metafisica potenza del denaro. Oggi in realtà vediamo lo sgretolarsi della montagna incantata, con il denaro che, per la via dell’inflazione, diviene esso stesso causa dei problemi economici e sociali che invece doveva risolvere;

c) globalizzazione e “rete” (“web”) dovevano insieme essere l’origine di uno stesso fenomeno. L’idea che il vecchio “cogito ergo sum” potesse essere sostituito da un nuovo “digito ergo sum”, questo oggi sviluppato fino alla creazione, nel “metaverso” di un mondo nuovo artificiale e spettrale, alternativo rispetto a quello reale. E così con il trionfo sugli Stati dei giganti della rete!

d) il crollo demografico, a partire dalla conversione del sesso umano, dalla responsabilità al piacere. Di riflesso, la mutazione della famiglia tradizionale in una “horizontal family”. E l’apparizione, nell’individualismo terminale, di tanti eliogabali con l’ipad;

e) da ultimo i conflitti e le guerre. La storia, la storia che doveva essere terminata sta infatti tornando, con il carico degli interessi arretrati ed accompagnata dalla geografia, in un “mundus furiosus” non poi troppo diverso da quello che c’era prima. L’ironia della cronaca è oggi nel fatto che le elites globali, proprio le elites che sono state protagoniste di quest’ultima parte della storia, proprio queste oggi cercano di capitalizzare la loro esperienza restando sulla scena con il ruolo di guaritori, animando, con i loro “Piani”, un nuovo benevolo leviatano digitale, ambientale, sociale, così cercando di interessare l’umanità in quello che loro chiamano “build back better the world”. Serve all’opposto – come qui oggi – la semina di idee e valori diversi, idee e valori all’apparenza vecchissimi e tuttavia proprio per questo attualissimi! La tattica senza strategia è l’agonia che prelude all’insuccesso. All’opposto, la strategia senza tattica è la via più breve per il successo Il Cancelliere Metternich usava dire: “L’Italia è solo un’espressione geografica”. Non può essere così, non è ancora così, ma certo l’Italia non può a lungo restare come risulta oggi: privata con il “Britannia” di una quota strategica della sua industria è poi divenuta, dopo la “chiamata dello straniero” del 2011 contro l’ultimo governo di centrodestra, un Paese a sovranità limitata.

Ma non può essere così. Ciò che oggi dobbiamo e possiamo fare è infatti credere nella funzione che la storia ha assegnato ed assegna all’Italia, in Europa e nel mondo.

LA CONFEDERAZIONE TRA STATI EUROPEI

Come è stato in evoluzione per gli Stati Uniti d’America, l’idea di un’Europa federale non è necessariamente alternativa, ma deve in ogni caso essere successiva rispetto all’idea originaria ed attuale di un’Europa strutturata come confederazione tra Stati. Come è stato nel 1957 con il Trattato di Roma e poi ed a lungo dopo. Ma purtroppo si è oggi arrivati alla confusione tra la forza degli ideali morali europei e la debolezza degli attuali strumenti politici dell’UE. Chi ancora oggi contesta l’idea confederale ignora in realtà il fatto che l’Ucraina è oggi il simbolo dell’idea patria! Ed è per questo che in Europa oggi ancora non si possono ignorare gli Stati, ma piuttosto è necessario unirli in una logica funzionale, a partire dalla difesa. E’ in vista ed al servizio di tutto questo che oggi può e deve essere centrale il ruolo dell’Italia, come lo è stato per anni con i governi di centrodestra.

LA POLITICA CHE SERVE ALL’ITALIA

Serve all’Italia una politica capace di intendere la “cifra” drammatica del cambiamento che è in atto. Deve in specie essere chiaro che, se anche la guerra finisce, con questa certo non finisce la crisi della globalizzazione, una crisi non avvertita dalle nostre elites, intente a gettare monetine nella fontana di Trevi. Quando la storia compie una delle sue grandi svolte, quasi sempre ci troviamo davanti l’imprevedibile, l’irrazionale, l’oscuro, il violento e non sempre il bene. Già altre volte, del resto, il mondo è stato governato anche dai demoni. È così che sta prendendo forma un “Mundus Furiosus”, in cui non si può neppure pensare ad una semplice “reverse engineering” della globalizzazione. Le migliaia di filiere e catene produttive e commerciali che per decenni sono state stese tra continenti ed oceani, questi un tempo pacificati dal mercato, devono oggi essere ristrutturate, ridirezionate, accorciate, ma in un mondo che ormai non è più pacificato come era al principio. Un mondo che anzi è destinato ad alterarsi proprio per effetto del “reshoring” degli impianti industriali, con la conseguente necessaria e non facile ridefinizione delle industrie, dei commerci, dei prezzi, delle materie prime e dei prodotti.

CHE FARE?

Per cominciare è vitale conservare le due nostre ricchezze principali: la nostra manifattura, la seconda d’Europa (l’agricoltura è la prima) ed il nostro risparmio (il più grande d’Europa). Per conservare la manifattura è strategico detassare tutte le attività di rimpatrio dall’estero e di reinstallazione in Italia dei nostri impianti. Sempre per la produzione: moratoria legislativa, vitale in un sistema che conta, vanto del governo, quasi 1000 “Decreti attuativi” fatti in un anno (tre al giorno, domeniche incluse)! Una forte deregulation può essere strategica anche per attrarre in Italia investimenti da fuori. Forse è da riprendere il nostro “tutto è libero, tranne ciò che è vietato”. Per l’agricoltura: più terreni coltivati, nuovi invasi, digitale. Per il risparmio ricordare che, se abbiamo un grande debito pubblico, abbiamo però anche un grande risparmio privato, così che avvicinandosi una crisi la soluzione non è in una patrimoniale “europea”, ma nella possibile spontanea combinazione tra queste due grandezze, garantita e non imposta dallo Stato. Questo è primum vivere, a livello di sistema. Devono poi certo vivere anche le persone e le famiglie e per questo lo Stato dovrebbe cominciare a rinunciare a sfruttare l’inflazione come sua fonte di entrata fiscale, restituendo il maltolto. E naturalmente tanto altro, come è risultato ieri ed oggi e come risulterà nei prossimi mesi. Infine, un’idea per una azione piccola, ma non marginale: in un mondo in cui cresceranno i bisogni, il nostro “5×1000” (2005) va elevato al “10×1000”.

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