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Perché cresce l’abisso tra Meloni e Schlein

Le mosse di Giorgia Meloni, le traversie di Elly Schlein. Il corsivo di Battista Falconi

 

Non si può dare torto a chi osserva che tra le due leader politiche del nostro paese, Giorgia Meloni ed Elly Schlein, c’è un “abisso”. Certo, queste sono considerazioni estemporanee (giacché condizionate dai risultati delle ultime amministrative disastrosi per il Partito Democratico), superficiali (perché puntano sulla questione di genere, che non dovrebbe avere eccessiva rilevanza nelle analisi politiche) e soggettive (poiché ovviamente influenzate dalle posizioni degli osservatori). Da quest’ultimo punto di vista, però, si realizza una paradossale convergenza per la quale, contro la neosegretaria dem, si esprimono tanto i suoi potenziali sostenitori, insoddisfatti dell’attuale gestione, quanto i suoi avversari, che invece godono di quella che appare una sostanziale incapacità, o almeno immaturità. La leader palesa imbarazzo, incostanza, assenza, pigrizia, astrattezza: le si associa molto spesso l’espressione “supercazzola”, desunta dal film “Amici miei”, a intendere quanto riesca a inerpicarsi in vacue perifrasi, relative a temi di scarso interesse popolare. Per esempio, “diritti” quali la GPA – gestazione per altri, o maternità assistita, o utero in affitto – pratica per la quale la maggioranza procede sulla definizione di “reato universale” ma che, al di là di ciò, viene molto criticata anche da femministe e esperti.

A proposito delle prime, servirebbe invece che non un partito ma l’intera società si facesse carico con maggiore costanza e minore emotività dell’orribile prosecuzione dei cosiddetti femminicidi. Tra gli ultimi, quelli della giovane Giulia, incinta di sette mesi, e della poliziotta uccisa ieri, per le quali si sono spese da parte di troppi osservatori valutazioni quali l’esortazione alla “riprovazione sociale” o il suggerimento di non recarsi agli appuntamenti proposti dai compagni violenti. Un’involontaria colpevolizzazione delle vittime. Occorre invece dire due cose sgradevoli: che questo delitto va combattuto ma è consustanziale alle dinamiche relazionali concrete – come i “morti sul lavoro”, per capirci – e che nel trattamento di questo crimine non sono ovviamente esaustive né il supporto sociale né la durezza della pena, ma nessuno dei due può fare a meno dell’altro. Pertanto bisogna incidere anche sull’aspetto repressivo: la proposta che giunge da centrodestra di puntare sull’aggravante per chi commette violenza contro donne incinte va inserita in tale contesto.

Nel tracollo del Partito Democratico si registrano poi la spaccatura e le ambiguità sulla guerra, che ieri hanno determinato l’ennesima crisi al momento di votare sui finanziamenti PNRR per la guerra in Ucraina. A sinistra c’è indubbiamente un profondo problema culturale, identitario. Dopo la pandemia e dopo la guerra abbiamo rinunciato a due valori fondanti come la libertà e la pace, ma per i progressisti la rinuncia pesa di più, poiché li priva di due pilastri sui quali ha sempre poggiato la propria costruzione ideologica. Peraltro, di un approccio alle crisi internazionali più articolato ci sarebbe bisogno, visto che alla questione ucraina si sta aggiungendo quella kosovara, sottovalutata per indifferenza e ignoranza ma che rischia di deflagrare in modo persino più esteso e destabilizzante per l’Unione di quanto non sia il conflitto tra Kiev e Mosca.

Va detto poi che la sorte e la capacità di Giorgia Meloni sottraggono, a chi la vuole contestare, molto terreno sotto i piedi. Ancora Ieri sono arrivati i dati sull’aumento dei posti di lavoro, che seguono a ruota quelli dell’Istat sulla crescita del PIL: migliore, la cosa va avanti da mesi, di quella tedesca e francese. E se ha ragione un’osservatrice esperta ma decisamente ostile come Linda Laura Sabbadini, dirigente Istat, quando dice al Sole 24 Ore che l’Italia è avvantaggiata dal fatto di avere più terreno da recuperare rispetto agli altri paesi avanzati dell’Europa, e però anche vero che, con tutte le incertezze e l’alternanza degli indicatori, la nostra capacità di sviluppo in questo periodo è senz’altro buona.

Il quadro è senz’altro di incertezza e qualunque atto di fiducia deve essere contemperato con la cautela, come dice il governatore Ignazio Visco. In particolare c’è da considerare le posizioni della Banca Centrale Europea e di quella americana: ieri Cristine Lagarde ha rimarcato che i tassi di interesse verranno ancora alzati per contenere il rischio inflattivo ma l’inflazione, lo sappiamo bene, è un effetto collaterale del progresso economico e pigiare contemporaneamente su freno ad acceleratore è estremamente complicato.

Ha ragione chi, come il politologo Giovanni Orsina, parla di declino europeo delle sinistre. Ma almeno per quella italiana di certo la soluzione non è affidarsi a osservatori come Romano Prodi che, complice forse l’età, insiste nel paventare una destra “autoritaria”. Un’altra tentazione dalla quale il Pd farebbe bene a tenersi lontano è contare troppo sull’alleanza con i magistrati che le è stata preziosa in passato, soprattutto ai tempi di Berlusconi, ma che oggi non è altrettanto praticabile. Sì è vero, ci sono sei indagati per Cutro e lo spettro delle indagini contro le attività di governo aleggia sempre anche se, come dimostrano casi recenti, si tratta di una strada senza uscita. Ma se si guarda al cosiddetto scontro tra la Corte dei conti e il governo sul controllo in itinere del Piano nazionale di ripresa e resilienza, la posizione decisa di un esperto come Cesare Mirabelli la dice lunga sul fatto che la casta dei giudici non è più compattamente progressista come un tempo.

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