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Tunisia

Le pulsioni grillesche del Pd sull’Ucraina

Il Pd non ha saputo resistere al richiamo del "pacifismo" sull'Ucraina. “Non è accettabile l'uso dei fondi del Pnrr e di coesione per produrre munizioni e armamenti", dice Schlein. Ma se quei soldi provenissero dalle tasse degli italiani, cambierebbe qualcosa? L'analisi di Gianfranco Polillo.

 

C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine il richiamo della foresta si è fatto sentire. La musica ambigua e zuccherosa è stata ancora una volta quella del pacifismo: la sirena alla quale Elly Schlein non ha potuto o voluto resistere. Ed ora le distanze, rispetto a Giuseppe Conte ed a tutti i 5 stelle, sono indubbiamente diminuite. Anche se è difficile dire se questa sarà la mossa sufficiente che consentirà al PD di superare la crisi in cui si dibatte.

LA POSIZIONE DI SCHLEIN SULLE ARMI ALL’UCRAINA

L’ambiguità delle posizioni assunte risulta evidente dall’analisi letterale delle dichiarazioni rese su Instagram. “Non è accettabile l’uso dei fondi del Pnrr e di coesione per produrre munizioni e armamenti.” Per poi rimarcare la dose: “Non è accettabile che si pensi di togliere soldi dagli asili nidi per metterli sulle munizioni di armi”. E se invece quei soldi provenissero dalle tasse degli italiani o da un maggiore indebitamento: cambierebbe qualcosa? E poi perché in alternativa agli “asili nido”? Potrebbero essere tranquillamente al posto di qualsiasi altra spesa pubblica: dai mille rivoli dei trasferimenti che dilagano nelle pieghe del bilancio dello Stato, fino alle non sempre giustificabili esenzioni fiscali.

Questo tanto per rimarcare il carattere strumentale di certi accostamenti. In parte resisi anche necessari, a seguito di una rottura, intervenuta a livello europeo. Quel voto contrario, sull’analoga proposta avanzata nel Parlamento europeo dai Socialisti, e non ritenuta accettabile dagli europarlamentari pidiessini. Un modo per la stessa Schlein per ribattere alle critiche di chi, all’interno del suo stesso partito, l’accusa di essere prigioniera del “tortellino bolognese”. Spostando ancora a sinistra l’asse della sua segreteria, il tentativo è stato quello di voler dimostrare il contrario. Cavalcando le pulsioni profonde di un partito che, per i motivi più vari, mal sopporta l’attivismo di Zelensky e la resistenza dei patrioti ucraini.

LE PRECISAZIONI

Puro equilibrismo: tant’è che la segretaria, nel suo stesso intervento, è stata poi costretta a coprirsi dalle possibili critiche dei riformisti del suo partito. Tanti o pochi che siano: “abbiamo nessun dubbio al pieno supporto all’Ucraina, – ha dovuto aggiungere – così come siamo favorevoli a un avanzamento nella difesa comune europea”. Come se queste cose non comportassero soldi per carri amati, missili, droni e via dicendo, che non nascono spontanei nel grande giardino del pacifismo. Che, invece, a quanto sembra, si riduce, sempre più, ad una piccola oasi in un deserto in cui il rumore degli eserciti in marcia è sempre più assordante.

Che sia Papa Francesco a richiamarci ai valori della pace, non solo è giusto, ma doveroso. Ma che questo afflato si traduca nell’impegno unilaterale di una sola forza politica è inaccettabile. È come lavorare per il Re di Prussia. Ossia per i veri guerrafondai, che sono quelli che invadono gli altri Paesi. Mentre, in questo caso, si vorrebbe sguarnire le difese di chi, invece, ha diritto (non solo morale, ma positivo) di difendersi. “Si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace prepara la guerra) dicevano, con saggezza, gli antichi. È doloroso doverlo constatare, ma dall’ultimo dopoguerra in poi è stato “l’equilibrio del terrore” a preservare la pace. Anche se non ha impedito l’esplodere di pur sanguinosi conflitti più o meno locali. Comunque circoscritti.

Del resto come dimenticare che il “tradimento” di tanti scienziati occidentali, nel fornire all’URRS i piani per la costruzione dell’atomica, rispondevano a quella profonda convinzione. Lo squilibrio delle forze in campo, almeno fin quando l’umanità non avrà trovato mezzi diversi per dirimere i conflitti, alimenta il pericolo dello scontro armato. Non lo riduce. Lo stesso Putin, nel parlare di “missione militare speciale”, data la sproporzione delle forze contrapposte, era convinto di poter ripetere l’Ungheria del 1956 o la Primavera di Praga del 1968. Se avesse saputo valutare, con maggior realismo e consapevolezza, le conseguenze di quella scelta, probabilmente avrebbe agito diversamente. E certo, oggi, non si troverebbe nel cul de sac in cui si è cacciato.

IL M5S PRESSA IL PD

Sono quindi tante le possibili critiche all’intervento della Schlein. Comprensibile la pressione esercita ai fianchi del suo stesso partito da parte dei 5 stelle. Ma non bisogna mai dimenticare la diversità delle relative origini. Da una parte un pezzo di storia nazionale, che affonda le sue radici in oltre 100 anni di battaglie e di lotte. A volte vittoriose, altre volte perdenti. Ma sempre guidate da una bussola non solo pratica, ma teorica. Dall’altra parte un movimento figlio delle contraddizioni di una congiuntura che non lascia spazio per i passi lunghi del pensiero politico. Ma che rischia di consumarsi rapidamente. Ed allora altro che “mettetevi comodi, perché siamo qui per restare”. Si rimane se si ha qualcosa da dire, oltre che giocare a quella specie di rubamazzo che sembra essere l’attività prevalente nel cosiddetto “campo largo”.

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