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Veltroni

Le molto veltroniane amnesie di Veltroni su Leone

La riabilitazione di Leone scritta sul Corriere della sera da Veltroni è abbastanza sulfurea e reticente... I Graffi di Damato.

In un pur vistoso proposito di riabilitazione storica della buonanima di Giovanni Leone, tornato sulla prima pagina del Corriere della Sera in fotografia fra due cavalli di bronzo, come le facce di quanti ne reclamarono e ottennero nel 1978 le dimissioni da capo dello Stato per chiedergli scusa piò o meno esplicitamente dopo vent’anni, Walter Veltroni alla fine ha ceduto alla sua passione politica. Ed ha ridotto il ruolo principale invece svolto dal suo partito, il Pci, in quella vicenda.

Essa non fu così drammatica come il linciaggio nel 1944 dell’ex direttore del carcere romano di Regina Coeli, Donato Carretta, dallo stesso Veltroni raccontato in un libro fresco ancora di stampa e fra i più venduti in questi giorni, ma fu ugualmente oscena, forse ancora di più per il tanto tempo trascorso nel 1978 dal clima caotico di 34 anni prima, a guerra ancora in corso e con l’Italia fisicamente, politicamente e militarmente spaccata in due.

LE DIMISSIONI DI LEONE, SECONDO VELTRONI

“Leone – racconta Veltroni – fu costretto alle dimissioni, primo caso della storia repubblicana, in seguito a ripetute campagne di stampa contro di lui”. Che in effetti ci furono, per carità, tutte tendenti a coinvolgerlo in alcuni scandali, Ma non furono quelle a far dimettere Leone. Fu un diktat del Pci, subìto dalla Dc in una maggioranza di governo condizionata dall’appoggio esterno dei comunisti, per avere egli osato mettersi di traverso durante il sequestro di Aldo Moro sulla strada della linea della cosiddetta fermezza.

Veltroni la mette invece così in un passaggio dell’articolo, scritto dopo avere consultato anche le carte di Leone depositate in Parlamento: “I giornali ogni giorno picchiano sul Quirinale, il sistema politico è già scosso dalle conseguenze del devastante assassinio di Moro. I referendum sulla legge Reale e sul finanziamento pubblico dei partiti hanno disvelato un profondo malcontento, la Dc è nella bufera, il Pci in verità non regge più una solidarietà nazionale che è divenuta un simulacro e usa il caso Leone per dare un segnale”. Un segnale.

“Paolo Bufalini – racconta ancora Veltroni, che a 23 anni già frequentava come un mezzo dirigente la sede del Pci alle Botteghe Oscure – si fa ricevere dal capo della segreteria Valentino per comunicare la decisione presa. È il primo atto dello sganciamento del Pci, dopo la morte di Moro, da una un equilibrio di solidarietà nazionale che nessuno sembra più volere”. La decisione, naturalmente, è quella di farlo dimettere, di deporlo sei mesi prima della scadenza del mandato.

Lo stesso Bufalini – racconta più avanti Veltroni – “ammetterà: A me non risultò mai nulla contro di lui. Infatti il Pci non si associò alla campagna di stampa che lo aveva preso di mira”. Esso fece di più: impose alla Dc e ai suoi uomini, a cominciare dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti e dal segretario del partito Benigno Zaccagnini, le dimissioni di Leone, in uno scenario più da Cremlino, di allora e di oggi, che da Quirinale. Una vergogna rimasta semplicemente impunita.

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